Finalmente è stato scoperto il “progenitore comune” di tutti gli esseri viventi ed ha anche un nome: LUCA. Questo faceva capire la copertina di Nature del 19 febbraio 2004, che titolava: «Il mio nome è LUCA: Svelando l’ultimo progenitore universale comune». Essendo Nature una delle riviste
scientifiche più prestigiose, se non la numero uno, molti hanno certamente
pensato che il problema fosse risolto: leggendo invece l’articolo all’interno,
si ha l’impressione completamente diversa.
L’articolo si
intitola “Nato in una comunità acquatica” (p. 674-676) e fa parte della
rubrica che presenta le novità nei diversi campi della scienza (“news feature”);
è firmato da John Whitfield, scrittore di argomenti scientifici che vive e
lavora a Londra. L’Autore, appoggiandosi anche su interviste ad importanti
scienziati evoluzionisti, tira le somme delle attuali conoscenze sull’origine
e l’evoluzione delle forme di vita. Lo stato di salute delle relative teorie
non risulta buono già dal sottotitolo: «Se andiamo indietro sufficientemente
lontano, gli umani, le rane, i batteri e le muffe hanno un progenitore comune.
Ma gli scienziati non riescono a mettersi d’accordo a cosa quest’ultimo
assomigli, e neanche se si trattava di una creatura singola».
Nel 1859 Darwin
scrisse che «probabilmente tutti gli esseri organici vissuti sulla Terra sono
discendenti da una qualche forma primordiale». Naturalmente Darwin non poteva
immaginare quale potesse essere quella forma. La recente completa decifrazione
(sequenziamento) del genoma di numerose specie, aveva fatto sperare che si
potesse configurare la struttura del progenitore comune, tant’è che a quest’ultimo,
nel 1999, era stato anche dato un nome: LUCA (Last Universal Common Ancestor:
Lazcano A e coll., Mol Evol 49, 411-412, 1999).
Nonostante i
progressi nello studio del genoma, scrive però Whitfield, «LUCA è risultato
indefinibile», e «gli sforzi per ricostruire i geni di LUCA in base agli
alberi familiari delle sequenze dei genomi (DNA e RNA), sono finiti in
frustrazione». Le sequenze dell’RNA sono particolarmente adatte, perché i
cambiamenti tra le specie sono minimi e consentono la costruzione di alberi
genealogici che abbracciano lunghi periodi di tempo, anche 3,5 miliardi di anni.
Tuttavia, anche con l’RNA «il numero di alberi possibili aumenta
esponenzialmente con ogni nuova specie […] ed il numero di alberi possibili è
astronomico».
Nonostante
queste difficoltà si continua a sperare: «Dopotutto il codice genetico e gran
parte dei meccanismi biochimici sono universali, quindi forse LUCA può essere
svelato trovando un set di geni che codifica le funzioni biologiche fondamentali
e sia presente in tutti gli organismi». Anche questa strada è però risultata
infruttuosa: «Stranamente, questo confronto tra le sequenze dei genomi di
organismi molto diversi tra loro, ha identificato solo 60 geni che appaiono
universali e quindi probabilmente appartenenti a LUCA». Numero troppo esiguo:
secondo Eugene Koonin, ricercatore di genetica evolutiva presso il Centro
Nazionale di Informazione Biotecnologica di Bethesda, Maryland, USA, «con
questi soli geni LUCA non andrebbe lontano. Non c’è nulla che riguarda la
membrana cellulare, il metabolismo energetico, o qualsiasi capacità di sintesi.
Avrebbero dovuto esserci molti più geni».
Un LUCA che ha molti
e complessi geni crea però altri problemi: «Se un singolo LUCA è il fondatore
della moderna diversità delle membrane, del metabolismo, ecc., allora esso deve
aver avuto, oltre i 60 geni universali, molte differenti versioni di numerosi
altri geni importanti. Le linee successive si sarebbero a questo punto evolute
perdendo tutti questi geni tranne uno, dando così origine alle attuali vie
biochimiche fondamentali». Un simile scenario è però inaccettabile per le
teorie evolutive: «L’idea che andando più vicino alle radici della vita gli
organismi diventano più complessi, anziché meno complessi, è impossibile da
digerire».
Per ovviare a questo
nuovo problema si è ricorsi al meccanismo di trasferimento orizzontale di
materiale genetico (horizontal transfer): ci sarebbero cioè stati tanti
organismi che vivevano in una “comunità” nella quale liberamente si
scambiavano geni, producendo nuove forme di vita. Le ricerche in questa
direzione hanno però riservato altri imprevisti: «Il risultato sorprendente di
questa ricerca è stato che il tipo di genealogia cambia a seconda del gene che
si prendeva in considerazione. Questo indica che i geni saltavano tra le linee
genealogiche» (Brown JR e coll., Microbiol. Mol. Biol. Rev. 61,
456-502, 1997).
Al fine di inserire
il transfer orizzontale nelle teorie dell’evoluzione, nel 1998 Carl Woese,
docente di biologia evolutiva presso l’Università di Illinois in
Urbana-Champaign, USA, ha proposto che il progenitore comune sia considerato non
un singolo organismo, ma «una comunità di organismi che condividono dei geni
(Woese C, Proc. Natl. Acad. Sci USA 95, 6854-6859, 1998). In questo mondo comunitario i diversi organismi primordiali hanno indipendentemente sviluppato soluzioni diverse per problemi simili, ad esempio come costruire membrane o produrre energia. Tutti questi geni erano disponibili per tutte le cellule della comunità». Un mondo, insomma, di «geni modulari» in grado di
«funzionare per conto proprio». «Laddove oggi molte funzioni cellulari, come
la traduzione e replicazione del DNA, dipendono da macchinari complessi
codificati da un insieme di geni, quasi tutti i geni della comunità di LUCA
avrebbero dovuto poter funzionare per conto proprio, come dei cassetti che
possono essere caricati, rimossi e rimpiazzati. I geni della resistenza agli
antibiotici funzionano oggi allo stesso modo. Il batterio ha bisogno di
acquisirne solo uno per diventare resistente all’antibiotico».
L’idea che i geni
saltino da un organismo all’altro è però incompatibile con le teorie
evolutive classiche: «Per coloro che tentano di tracciare l’albero della vita
fin dalle radici, le indicazioni che il transfert orizzontale ha composto le
filogenie è un duro colpo». Secondo lo stesso Woese «l’impatto sulla
biologia evolutiva è stato quello dell’irruzione di una volpe nel pollaio».
Alcuni scienziati, come Ford Doolittle dell’Università Dalhousie in Halifax,
Canada, pensano addirittura che accettare l’idea del transfer orizzontale
equivale a dichiarare LUCA non conoscibile (Doolittle WF, Curr. Opin. Struct.
Biol. 10, 355-358, 2000). Per Patrick Forterre, dell’Istituto
Pasteur di Parigi, l’idea della comunità è semplicemente incompatibile con
il concetto di evoluzione: «Pensare a LUCA nei termini di una comunità
significa eliminare il darwinismo dalle fasi iniziali dell’evoluzione». A
peggiorare le cose è arrivato un modello matematico della supposta comunità
dei geni, creato da Peter Antonelli e Solange Rutz dell’Università di
Alberta, Edmonton, Canada. Secondo questo modello la comunità ipotizzata da
Woese sarebbe instabile e destinata all’estinzione (Antonelli PL e coll.,
Nonlin. Analysis: Real World Appl 4, 743-753, 2003).
La concezione di
Woese di un’iniziale comunità genetica e biochimica è diventata la teoria
dominante delle forme antiche di vita, essa però non è condivisa da tutti.
Koonin ancora crede possibile arrivare ad una definizione accettabile di un
singolo LUCA avente, ad esempio, circa 600 geni (Koonin EV, Nature Rev.
Microbiol. 1, 127-136, 2003).
Tuttavia, anche
prendendo per valida l’ipotesi della iniziale comunità, questo non risolve il
problema dell’origine della vita. Come si è formata questa comunità? Di
questo problema gli scienziati hanno ormai smesso di occuparsi e Carl Woese
pensa che se ne dovrebbe occupare qualcun altro: «Noi non sappiamo come
produrre novità dal nulla - questa è una domanda per i biologi del futuro».
Commento
L’articolo
riassunto sopra mette in evidenza come l’approfondimento delle conoscenze
nella biologia - in particolare della struttura del DNA e dell’RNA - smentisca
anziché confermare le teorie dell’evoluzione. Gli alberi genealogici basati
sul DNA e sull’RNA sono un “numero astronomico”, diversi tra loro e in
discrepanza con gli alberi classici dell’evoluzione, costruiti in base alle
conoscenze della paleontologia e dell’anatomia comparata. La forma originaria
e primitiva di vita (il progenitore comune) non solo non diventa più chiara, ma
sembra elusiva, indefinibile, addirittura “non conoscibile”. Per quanto
riguarda le domande sull’origine della vita, la situazione è, se possibile,
addirittura peggiore: gli scienziati nemmeno tentano di rispondere e lasciano
tale compito alle generazioni future.
Tutto questo è
esattamente l’opposto di ciò che è scritto nei testi scolastici e
universitari, secondo i quali le scoperte della genetica confermano l’evoluzione
e spiegano molti aspetti che prima erano poco chiari, e la conoscenza della
struttura del DNA/RNA confermerebbe e renderebbe più precisa la storia dell’evoluzione.
In altre parole, a livello didattico e divulgativo vengono propagandati messaggi
forse “politicamente corretti”, ma scientificamente (ed intellettualmente)
falsi. Coloro che giudicano negativamente il tentativo del Ministero dell’Istruzione,
tendente a riposizionare l’insegnamento del darwinismo a scuola dovrebbero
riflettere: forse le motivazioni del ministro dell’istruzione erano più
scientifiche di quelle dei suoi oppositori.
Speriamo che in
questo riassunto molti lettori troveranno anche risposte alle loro domande, alle
quali non sempre - o comunque non in tempo ragionevole - abbiamo risposto.
Spesso la mancata risposta è stata considerata come prova della nostra scarsa
preparazione negli argomenti trattati. Pur avendo la presunzione di essere in
grado di valutare correttamente le conclusioni cui giungono i ricercatori,
dobbiamo riconoscere che, salvo pochissime eccezioni, non siamo direttamente
coinvolti in ricerche nel campo della biologia, geologia e cosmologia evolutive.
Proprio per questo abbiamo preferito dar voce ad importanti e quotati
scienziati, che sono in grado di esprimere alcuni concetti meglio e con più
autorità di noi. Si tratta di ricercatori nel campo della biologia evolutiva
che sono totalmente schierati nel campo evoluzionista, ma le loro conclusioni
sono del tutto diverse da quelle proposte nei testi scolastici, nella maggior
parte dei programmi scientifici televisivi e nei libri divulgativi - milioni di
copie - di Richard Dawkins e di altri propagandatori dell’evoluzione.
di Mihael
Georgiev
(10/11/2004)
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