di
Geoffrey Allen
Questo ottimo volume non tocca direttamente l’argomento della Creazione e neanche quello dell’interpretazione dei primi undici capitoli della Genesi. Piuttosto tratta un tema necessariamente propedeutico a tale discorso: quello della data e delle modalità della composizione del Pentateuco che, ovviamente, include i capitoli cruciali del racconto della Creazione. Se infatti tutto il Pentateuco, come insinuano i critici, è più “leggenda” che storia, è evidente che la parte più antica di esso – la narrazione della Creazione – non potrebbe in nessun modo essere presa sul serio.
La "ipotesi di sviluppo" della cosiddetta “scuola di Graf-Wellhausen”, che postula un’origine del Pentateuco attraverso un processo di “evoluzione letteraria”, è stata largamente accettate in maniera acritica (anche in un’opera ad ampia diffusione come la Bibbia di Gerusalemme). Alfredo Terino esamina in maniera approfondita e dettagliata le teorie in questione e le trova in molti punti carenti, riproponendo al loro posto, in modo convincente, la tesi tradizionale di un’origine del Pentateuco vicina al tempo di Mosè e anzi, in gran parte, opera della sua stessa mano. L’autore ha fatto su questo terreno un lavoro davvero eccellente.
Il libro, anche se affronta un argomento “tecnico”, non è stato scritto solo per gli “addetti ai lavori”, ma soprattutto per il lettore non specialista, anche se comunque necessariamente dotato di una discreta cultura generale e biblica. Il tono è piacevolmente pacato e rispettoso, gli argomenti vengono sviluppati con grande metodo, con organicità e con una documentazione ampia, disponibile in buona parte in italiano.
Dopo una Parte I d'introduzione generale, la Parte II presenta la “ipotesi di sviluppo” nelle sue successive manifestazioni storiche: la prima teoria esaminata è quella di Jean Astruc (1753), basata sulla constatazione dell’uso dei diversi nomi per la Divinità (“Jahveh” ed “Elohim”) nel libro della Genesi; si passa poi alle opere di Hupfeld, di Graf, di Wellhausen e della scuola di Uppsala, concludendo con un riassunto della teoria nella sua forma ormai diventata “ortodossia” convenzionale.
La Parte III presenta alcune delle difficoltà fondamentali insite nella teoria di Wellhausen: il presupposto sempre meno convincente, e comunque mai dimostrato né dimostrabile, di una “evoluzione” del concetto di Dio nell’antica Israele; l’indiscutibile carattere soggettivo del metodo di analisi; e la necessità di dare per scontata la prassi della falsa attribuzione delle opere letterarie, della quale non esiste nessun caso documentato nell’antichità pre-ellenica (prima cioè del III secolo a.C.).
La Parte IV propone e difende, come valida alternativa, l’interpretazione “conservatrice”, o “tradizionale”, più rispettosa dell’autorità che tutte le Chiese attribuiscono alla Scrittura e del soprannaturalismo che fa parte dei presupposti della fede giudeo-cristiana.
La Parte V esamina onestamente le difficoltà principali avanzate contro questa interpretazione: la varietà dei nomi di Dio, le presunte diversità di vocabolario e di stile (tranquillamente attribuibili, per l’Autore, alle differenze di contenuto e di genere letterario), le supposte “ripetizioni” e “doppioni”, le prescrizioni apparentemente contraddittorie che riguardano gli altari e la centralizzazione del culto, gli anacronismi. Questa parte dell'opera si conclude con un utilissimo excursus sulla data di composizione dell’Esodo, adducendo forti argomenti a favore di quella tradizionale, o “anteriore”, del 15° secolo a.C. (la stessa conclusione alla quale il sottoscritto era già arrivato per conto proprio).
La Parte VI “tira le somme”, valutando le due prospettive prima nei confronti della Genesi, poi dell'insieme Esodo-Levitico-Numeri ed infine del Deuteronomio, dimostrando in maniera convincente come l’interpretazione tradizionale, il più delle volte, combaci meglio con i dati storici e letterari.
La Parte VII offre un riassunto della strada percorsa ed esamina la posta in gioco, cioè le implicazioni teologiche (particolarmente interessante, ai fini del dibattito creazionista, è il capitolo 24, intitolato "Il posto cruciale di un Pentateuco autentico"). Tre utili Appendici contengono materiale prezioso, che viene così messo a disposizione del lettore di lingua italiana; esse sono: 1) uno schema riassuntivo della critica “convenzionale”; 2) considerazioni dello studioso ebreo U. Cassuto sull’utilizzo dei nomi divini nella letteratura rabbinica post-biblica; 3) un quadro della struttura della Genesi tratto da un’opera dell’assirologo e biblista D. J. Wiseman.
In conclusione mi hanno colpito, durante la lettura di questo affascinante e piacevolissimo libro, i numerosi parallelismi tra il dibattito “creazione/evoluzione” e quello, seppure più specialistico, sul Pentateuco. Il metodo di argomentare in maniera circolare adoperato in entrambi i casi dalla scuola “evoluzionistica” (presupponendo, in ultima analisi, ciò che sarebbe da dimostrare); il presupposto del “progresso” (opposto a quello della Bibbia, che insegna al contrario una “decadenza”); il modo di propagandare come “fatto scientifico” quello che è, e rimane, una teoria, peraltro intrinsecamente non dimostrabile… la lista potrebbe continuare.
Consiglio vivamente quest'opera a chiunque voglia approfondire l’argomento delle origini letterarie e storiche del Pentateuco, soprattutto a coloro la cui fede in questi libri fondamentali della Bibbia è stata turbata dalle ipotesi indimostrate dell’imperante scuola critica.
|