Il
codice genetico consiste nella corrispondenza fra terne di basi nella
struttura del DNA, o acido desossiribonucleico, e amminoacidi delle
proteine. E’ un codice universale e, dal punto di vista
chimico, arbitrario, sulla cui origine “invece che di
“problema”, si dovrebbe parlare ai enigma. Il codice non
ha senso se non è tradotto. Il meccanismo traduttore della
cellula moderna comporta almeno cinquanta costituenti
macromolecolari, anch’essi codificati nel DNA. Il codice
genetico può dunque essere tradotto solo dai prodotti stessi
della traduzione. E’ questa l’espressione moderna
dell’omne vivum ex ovo. Ma quando e come questo anello
si è chiuso su se stesso? E’ molto difficile anche solo
immaginarlo“(1)dice Monod, che qui, nel suo
campo specifico, è rigoroso, salvo poi pretendere, poco dopo,
di spiegare tutto con il solito binomio caso-necessità(2). Spieghiamo
meglio questo paradosso: il processo di traduzione necessita di
proteine ed enzimi che vengono prodotti grazie ad un processo
anch’esso (ovviamente) di traduzione. Quale selezione casuale
avrebbe potuto portare ad evolvere un sistema che per costruire anche
i primi “operai” necessari alla sua produzione necessita
di quegli stessi “operai”? Si trattava praticamente di
adempiere ad un compito che non esisteva in quanto senza di loro quel
processo non poteva compiersi. A questa si aggiunge un’altra
enorme difficoltà: la distinzione fra i primi coacervati e le
prime cellule viventi è stata la possibilità per queste
ultime di duplicarsi lasciando ad ognuna delle nuove entità le
proprie caratteristiche, il proprio genoma. Questo nelle cellule
primitive sarebbe stato un proto-DNA, cioé un DNA molto
semplice, ma sempre un DNA. Questo, per attuare il proprio
processo di replicazione -prima fase della creazione di due cellule
“figlie” che crea due DNA uguali da ripartire nella
successiva divisione-, avrebbe avuto bisogno di quelle stesse
proteine che abbiamo visto sopra, ma che non era ancora capace di
tradurre perché erano ancora troppo pochi evoluti i vari
meccanismi biochimici cellulari (non esistevano le proteine giuste, i
vari RNA necessari, ecc.). Senza dividersi in due cellule
-attraverso un primordiale processo mitotico- la cellula non solo non
la si sarebbe potuta definire vivente, ma sarebbe stata destinata a
“morire” dopo periodi variabili, ma non troppo lunghi.
Non esistono infatti cellule che vivano per sempre, se non
“rinnovandosi” attraverso la loro duplicazione. Ma se
quella cellula era destinata a morire in breve tempo, come si sarebbe
mai potuta evolvere in milioni di anni? *** (1) Jacques
Monod,Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia
naturale della biologia contemporanea, tr. it., 7a ed.,
Mondadori, Milano 1974, p. 139. (2)Ibid., pp.
140-142. Storia libera
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