Le scimmie hanno il
senso del tempo?
Gli
esperimenti non chiariscono la questione.
Ma
l’evoluzionismo obbliga a dare una risposta affermativa, anche
se gli esperimenti dimostrassero il contrario.
L’evoluzionismo,
che con la sua desinenza in -ismo non va confuso con l’idea di
evoluzione, è quella deformazione del pensiero
scientifico che tende a spiegare in termini di evoluzione
(darwiniana) ogni aspetto della realtà assurgendo così
ad ideologia. La cosa fu ben chiara aTheodosius
Dobzhansky che nel 1973 scrisse una frase che sarebbe
stata ripetuta innumerevoli volte divenendo un vero slogan: «in
biologia niente ha senso se non alla luce dell’evoluzione».
E
anche l’intelligenza degli
scimpanzé viene studiata cercando di capire come questa
caratteristica si sia sviluppata in grado, non in qualità, per
giungere fino a Homo sapiens. Dell’argomento se n’è
occupata Le Scienze riprendendo un
articolo intitolato “A New
Frontier in Animal Intelligence”
pubblicato sulla versione in inglese Scientific
American. L’articolo in italiano riprende fedelmente
il titolo originale “La
nuova frontiera dell’intelligenza animale“,
rendendo disponibile anche a chi non legge l’inglese i
contenuti sull’argomento. Quel che emerge è il fatto che
certi animali, in particolare lo scimpanzé, sono in grado di
compiere quelli che si chiamano “viaggi nel tempo“,
cioè delle esperienze in cui ci si immagina nel passato o nel
futuro, fatto che consente di elaborare comportamenti in previsione
di certe situazioni.
A
far scoprire queste proprietà è stato il
comportamento di quella che è una vera e propria star
delle scimmie, lo scimpanzé Santino noto
per la sua abitudine di scagliare pietre contro i visitatori, la fama
acquisita è testimoniata dal fiorire di un merchandising
intorno al fenomeno:
Come
testimoniato nell’articolo sul Times e da quello
ben più importante su Scientific American, Santino avrebbe
cambiato il nostro modo di vedere gli scimpanzé mostrando la
loro capacità di elaborare un pensiero premeditato, infatti
essendosi accorto che quando preparava le pietre da lanciare
lasciandole in un determinato posto queste gli venivano sottratte, lo
scimpanzé ha iniziato a nasconderle da un’altra parte.
Da questo i ricercatori hanno tratto delle conseguenze riportate
nell’articolo su Le Scienze:
Se
un animale, grazie alla memoria episodica, può immaginare se
stesso mentre in passato interagiva con il mondo – come Santino
quando ricorda di non essere riuscito a colpire un uomo che l’aveva
visto con una pietra in mano – è ovvio che potrebbe
anche essere in grado di immaginare se stesso nel futuro in uno
scenario simile, e pianificare di conseguenza il proprio
comportamento….
La
capacità di rappresentare se stessi e le proprie azioni con
l’occhio della mente – sia nel passato che nel futuro –
è quello che gli scienziati chiamano viaggio mentale nel
tempo.
Queste
sono le conclusioni a cui è giunto lo psicologo Thomas Zentall
dell’Università del Kentucky, ma non tutti sono
d’accordo, infatti nello stesso articolo su Le Scienze
leggiamo:
Lo
psicologo Thomas Suddendorf, dell’Università del
Queensland, sostiene che, nonostante “i tentativi ingegnosi per
dimostrare la memoria episodica o la simulazione del futuro negli
animali non umani, ci sono pochi segni che gli animali agiscano con
la flessibile lungimiranza così caratteristica degli esseri
umani”.
Ma
proprio un collega di Suddendorf che ne condivideva
l’opinione avrebbe recentemente rivisto le sue posizioni, il
riferimento è a Michael Corballis,
psicologo dell’Università di Auckland,
che all’inizio di quest’anno ha capito che aveva torto,
che gli animali possono fare viaggi mentali nel tempo, ma il fatto
sorprendente è che non esiste nessuna prova sperimentale l’ha
indotto a cambiare idea.
La
prova che gli ha fatto cambiare idea non arriva dall’osservazione
del comportamento degli animali, ma dalla misura dei loro cervelli.
“Il
viaggio mentale nel tempo ha basi neurofisiologiche che risalgono
molto indietro nell’evoluzione, e non può essere –
come hanno sostenuto alcuni, me compreso - una caratteristica
esclusiva degli esseri umani”, scrive Corballis.
Il
motivo per cui Corballis ha cambiato idea è nel
fatto che le basi neurofisiologiche sono indietro
nell’evoluzione e il viaggio
mentale quindi “deve”
appartenere in misura minore anche agli animali.
La
dinamica del cambiamento d’idea di Corballis rappresenta un
caso in cui la teoria prende il sopravvento sulla realtà,
un’applicazione della massima hegeliana per la quale “Tanto
peggio per i fatti se non si accordano con la teoria”.
In
contrapposizione con tanta evoluzionistica certezza molto giusta
appare la conclusione dell’articolista di Scientific American,
lo psicologo Justin Gregg:
…forzando
lentamente il coperchio della scatola nera della mente animale, gli
scienziati continueranno a non essere d’accordo su quali forme
si vedono emergere dal buio.
Per
quanti sforzi potranno fare le neuroscienze, per quante conclusioni
possano essere tratte dai dogmi evoluzionistici, la mente, anche
quella più semplice degli animali, resterà una scatola
nera.
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