In
un articolo intitolato “Evoluzione senza selezione?” si
parla di alcuni punti che sono alla base della nostra critica alla
teoria neodarwiniana.
Un
inizio che in prospettiva non potrà che condurre al pieno
riconoscimento delle nostre tesi.
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“La
conquista di nuove nicchie potrebbe
non derivare dall’adattamento ad un nuovo ambiente sotto
pressioni selettive, ma dalla possibilità di esprimere
continuamente variazioni fenotipiche guidate dall’evolvibilità.”
Con
questo sotto titolo viene introdotto su Pikaia un
articolo del 4 maggio a firma di Mauro
Mandrioli.
Quello che da subito cattura l’attenzione è quel passo
(sottolineatura non presente in originale) in cui si prende in
considerazione l’ipotesi che alla base della conquista di nuove
nicchie e, a maggior ragione, dell’evoluzione possa non esserci
la selezione naturale. Questa affermazione va a rafforzare l’idea
che il ruolo della selezione sia del tutto marginale nell’evoluzione,
che vada cioè ad assolvere quella funzione che aveva ben
individuato Edward
Blyth, il biologo da cui Darwin prese
l’ispirazione. Come è noto però Darwin ne
modificò la funzione che da conservatrice e stabilizzatrice
diventava invece quella di motore del cambiamento.
Che
la selezione abbia un ruolo di riduzione della diversità è
stato proprio recentissimamente ribadito su queste pagine
nell’articolo Addio
nonna Lucy… Cosa resta del darwinismo? in
cui, tra altre considerazioni, si ripropone proprio un ruolo della
selezione naturale come fattore di diminuzione di diversità
e non come fattore di incremento della stessa.
Questo
già sarebbe un fatto importante ma,
come avviene in tutti i casi in cui si intervenga in un sistema
articolato, non si può pensare di toccare un punto senza che
ci siano ripercussioni da altre parti. Ed ecco infatti che
nell’articolo troviamo una seconda affermazione di grande
importanza:
A
questo proposito, un numero progressivamente crescente di biologi
evoluzionisti ha fatto proprio il concetto di evolvibilità,
termine che indica l’abilità di
un organismo di evolvere attraverso meccanismi
il cui fine è creare la variabilità genetica necessaria
alla sopravvivenza di ogni specie. L’evolvibilità si
basa quindi sulla presenza
di “strumenti” molecolari specificatamente implicati
nella produzione di mutazioni e riarrangiamentimolecolari in
grado di determinare la comparsa di una variabilità fenotipica
selezionabile dall’ambiente in modo vantaggioso.
.
Ecco
quindi che se la selezione naturale,
la pressione selettiva, non è quello che spinge letteralmente
verso nuove nicchie gli organismi mutati, deve necessariamente
esserci una causa per l’evoluzione che non può essere la
mutazione casuale. Il concetto di “evolvibilità”
è così quello che introduce una “abilità
dell’organismo ad evolvere”, e sottolineiamo il termine
“abilità“.
Appare subito evidente che un’abilità è
incompatibile con la casualità, facendo un semplice esempio
possiamo dire che se un giocatore principiante fa un tiro a Golf e fa
centro da una lunga distanza diciamo che è un “caso”,
se invece lo fa un campione parliamo di “abilità”.
Quindi l’abilità degli organismi ad evolvere deve
risiedere in qualcosa che non è un casuale colpo di fortuna.
Ma
non è tutto,
il concetto è rafforzato dall’affermazione che si tratta
di “meccanismi il cui
fine è creare la variabilità genetica“,
siamo quindi in presenza di una teoria secondo la quale esistono dei
meccanismi finalizzati all’evoluzione, siamo in “presenza
di “strumenti” molecolari specificatamente implicati
nella produzione di mutazioni e riarrangiamenti“.
Questo
non comporta certamente che l’evoluzione sia orientata da una
“causa finale”,
si può ancora legittimamente obiettare che il meccanismo che
orienta verso una grande variabilità sia stato originato a sua
volta da meccanismi del tipo “causa e necessità”
che hanno selezionato qualcosa che consentiva una maggiore
possibilità di successo.
Certo. Ma
anche in questo caso assistiamo comunque ad un vistoso arretramento
delle posizioni neodarwiniste che
devono abbandonare 70 anni di spiegazioni forzate e ammettere che
senza l’introduzione di un meccanismo che vada molto oltre le
singole mutazioni casuali, la teoria è inadatta a spiegare
l’evoluzione. Proprio
quello che sin dall’inizio è stato sostenuto da tutti
gli autori di CS.
Sembra
dunque che adesso il “caso” neodarwiniano stia seguendo
lo stesso destino del “Dio tappabuchi“ dei
creazionisti, mostrandosi
per quello che effettivamente è, cioè il “Caso
tappabuchi“. Le posizioni neodarwiniste si
rivelano quindi , come abbiamo sempre detto, posizioni sostenibili
solo con atti di fede.
Nell’articolo
apparso su Pikaia vengono riportate anche posizioni più
sfumate sull’evolvibilità di cui è corretto fare
menzione, ma non ci soffermiamo almeno per oggi su questo punto.
Quello
che si vuole porre all’attenzione è che le nostre
posizioni sono state finalmente riconosciute come fondate dalla
ricerca più avanzata nel campo dell’evoluzione.
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