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PIKAIA: FINALMENTE RICONOSCIUTI I NOSTRI ARGOMENTI
di E. Pennetta - 17/05/13
 



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In un articolo intitolato “Evoluzione senza selezione?” si parla di alcuni punti che sono alla base della nostra critica alla teoria neodarwiniana.

 

Un inizio che in prospettiva non potrà che condurre al pieno riconoscimento delle nostre tesi.

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 La conquista di nuove nicchie potrebbe non derivare dall’adattamento ad un nuovo ambiente sotto pressioni selettive, ma dalla possibilità di esprimere continuamente variazioni fenotipiche guidate dall’evolvibilità.”

 Con questo sotto titolo viene introdotto su Pikaia un articolo del 4 maggio a firma di Mauro Mandrioli. Quello che da subito cattura l’attenzione è quel passo (sottolineatura non presente in originale) in cui si prende in considerazione l’ipotesi che alla base della conquista di nuove nicchie e, a maggior ragione, dell’evoluzione possa non esserci la selezione naturale. Questa affermazione va a rafforzare l’idea che il ruolo della selezione sia del tutto marginale nell’evoluzione, che vada cioè ad assolvere quella funzione che aveva ben individuato Edward Blyth, il biologo da cui Darwin prese l’ispirazione. Come è noto però Darwin ne modificò la funzione che da conservatrice e stabilizzatrice diventava invece quella di motore del cambiamento.

Che la selezione abbia un ruolo di riduzione della diversità è stato proprio recentissimamente ribadito su queste pagine nell’articolo Addio nonna Lucy… Cosa resta del darwinismo? in cui, tra altre considerazioni, si ripropone proprio un ruolo della selezione naturale come fattore di diminuzione di diversità e non come fattore di incremento della stessa.

 Questo già sarebbe un fatto importante ma, come avviene in tutti i casi in cui si intervenga in un sistema articolato, non si può pensare di toccare un punto senza che ci siano ripercussioni da altre parti. Ed ecco infatti che nell’articolo troviamo una seconda affermazione di grande importanza:

A questo proposito, un numero progressivamente crescente di biologi evoluzionisti ha fatto proprio il concetto di evolvibilità, termine che indica l’abilità di un organismo di evolvere attraverso meccanismi il cui fine è creare la variabilità genetica necessaria alla sopravvivenza di ogni specie. L’evolvibilità si basa quindi sulla presenza di “strumenti” molecolari specificatamente implicati nella produzione di mutazioni e riarrangiamentimolecolari in grado di determinare la comparsa di una variabilità fenotipica selezionabile dall’ambiente in modo vantaggioso.

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Ecco quindi che se la selezione naturale, la pressione selettiva, non è quello che spinge letteralmente verso nuove nicchie gli organismi mutati, deve necessariamente esserci una causa per l’evoluzione che non può essere la mutazione casuale. Il concetto di “evolvibilità” è così quello che introduce una “abilità dell’organismo ad evolvere”, e sottolineiamo il termine “abilità“. Appare subito evidente che un’abilità è incompatibile con la casualità, facendo un semplice esempio possiamo dire che se un giocatore principiante fa un tiro a Golf e fa centro da una lunga distanza diciamo che è un “caso”, se invece lo fa un campione parliamo di “abilità”. Quindi l’abilità degli organismi ad evolvere deve risiedere in qualcosa che non è un casuale colpo di fortuna.

Ma non è tutto, il concetto è rafforzato dall’affermazione che si tratta di “meccanismi il cui fine è creare la variabilità genetica“, siamo quindi in presenza di una teoria secondo la quale esistono dei meccanismi finalizzati all’evoluzione, siamo in “presenza di “strumenti” molecolari specificatamente implicati nella produzione di mutazioni e riarrangiamenti“.

Questo non comporta certamente che l’evoluzione sia orientata da una “causa finale”, si può ancora legittimamente obiettare che il meccanismo che orienta verso una grande variabilità sia stato originato a sua volta da meccanismi del tipo “causa e necessità” che hanno selezionato qualcosa che consentiva una maggiore possibilità di successo.

Certo. Ma anche in questo caso assistiamo comunque ad un vistoso arretramento delle posizioni neodarwiniste che devono abbandonare 70 anni di spiegazioni forzate e ammettere che senza l’introduzione di un meccanismo che vada molto oltre le singole mutazioni casuali, la teoria è inadatta a spiegare l’evoluzione. Proprio quello che sin dall’inizio è stato sostenuto da tutti gli autori di CS.

Sembra dunque che adesso il “caso” neodarwiniano stia seguendo lo stesso destino del “Dio tappabuchi“ dei creazionisti, mostrandosi per quello che effettivamente è, cioè il “Caso tappabuchi“. Le posizioni neodarwiniste si rivelano quindi , come abbiamo sempre detto, posizioni sostenibili solo con atti di fede.

Nell’articolo apparso su Pikaia vengono riportate anche posizioni più sfumate sull’evolvibilità di cui è corretto fare menzione, ma non ci soffermiamo almeno per oggi su questo punto.

Quello che si vuole porre all’attenzione è che le nostre posizioni sono state finalmente riconosciute come fondate dalla ricerca più avanzata nel campo dell’evoluzione. 

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Sito a cura dell'A.I.S.O. Associazione Italiana Studi sulle Origini - aggiornato il 31/01/2014 

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