Chi erano veramente i
Neanderthal
Approfondimento
di Leonetto su “Chi erano veramente e come si sono estinti i
Neanderthal”
La
puntata del 13 prende spunto per fare delle riflessioni
e considerazioni dall’articolo
delprof.Pennetta ( http://www.enzopennetta.it/2013/04/neanderthal-chi-erano-e-come-si-sono-estinti-cosa-dicono-veramente-i-dati/ ) relativo
alla recente la scoperta che tra i Neanderthal e Sapiens
avvenne un incrocio.
I
Neanderthal sono stati prima ritenuti antenati del
Sapiens, successivamente una ‘specie’ parallela per
scoprire in ultima battuta che i 2 si incrociavano..Il concetto di
specie è tutt’altro che universalmente concordato e ne
esistono definizioni che trovano la loro applicazione in un ambito
ristretto. Però,Pennetta lo fa notare, se due
popolazioni danno una discendenza fertile questo di per sé è
condizione sufficiente per dire che si possano considerare come
varietà di una medesima specie.
Ed
è così che avviene per i Neanderthal ed i
Sapiens. Questo
grafico permette di avere una
chiara idea di questa cosa. Vi sono ipotesi che indicherebbero il
Neanderthal come una popolazione collegata gli avi degli antichi
Galli, ma non solo. Parlare di incrocio, specialmente fra uomini può
non essere molto ‘felice’, che magari potrebbe rimandare
a concetti come quello di ‘mescolanza razziale’,
evidentemente non è lì che il discorso va a parare,
anzi porta proprio in direzione opposta.. Uomini i Sapiens, uomini i
Denisova, uomini i Floresiensis,uomini i Neanderthal, uomini gli
Hilderbengensis, uomini gli Erectus etc..Perfino Focus si era tempo
addietro occupato di questo aspetto che riguarda il Neanderthal
(http://www.focus.it/scienza/siamo-tutti-un-po–neanderthaliani-sequenziato-il-dna-dell-uomo-di-neanderthal_C12.aspx ).
Come si vede in virtù dei rapporti mostrati nel grafico
precedente, tutti gli uomini moderni, a eccezione degli africani,
hanno infatti nel proprio Dna dal 1 al 4 % del suo patrimonio
genetico.
Pikaia,
il portale dell’evoluzione, mostra come i toscani
siano i ‘più neanderthal’
(http://www.pikaia.eu/EasyNe2/Notizie/I_piu_Neanderthal_sono_i_toscani.aspx )
.
Ognuno
di noi, se non è africano, porta un po’ di Dna di
Neanderthal. Insomma la storia dei nostri antenati è
un po’ più ingarbugliata di come non si pensasse, il
prof T.Pievani lo spiega
(http://www.unita.it/scienza/notizie/che-storia-ingarbugliata-br-quella-dei-nostri-antenati-1.318771)
e mostra come il nostro sia un “Dna arlecchino”, ”frutto
di una piccola promiscuità genetica che ha accompagnato una
elevata promiscuità fisica con tante altre specie di uomini.
Il nostro successo – la nostra fortuna – è anche
il frutto di questa capacità di saper accettare e abbracciare
l’altro.” Le stessa cosa è avvenuta tra i sapiens
asiatici e membri della specie Homo di Denisova, perché nel
Dna di uomini moderni che vivono in Nuova Guinea e in Melanesia sono
state trovate tracce (intorno al 5-8%) di quegli antichi discendenti
degli Ergaster.
Abbiamo,
dunque delle prove che i Sapiens dividessero il pianeta con almeno
altre quattro specie appartenenti al genere Homo (Neandertal,
Homo di Denisova, Homo Erectus soloensis e Homo Floresiensis). E
questa convivenza è durata con tanto di ‘incroci’,
almeno con alcuni, secondo le datazioni stimate e condivise,fino a
poche migliaia di anni fa. Una storia ricca di ‘colpi di
scena’, e questo significa che non è esattamente la
storia che pensavamo… e che è stata offerta invece più
volte come grossomodo accertata
( http://www.enzopennetta.it/2012/03/le-scienze-unidea-sbagliata-sulle-origini-delluomo/ )Invece,” Sulla
base dei fossili rinvenuti in Europa, gli archeologi hanno a lungo
ritenuto che in qualche momento della loro storia gli Homo sapiens si
fossero trasformati da «esseri umani arcaici» in «esseri
umani moderni» capaci di usare simboli, praticare riti e
inventare utensili più complicati. L’ipotesi di una
rivoluzione del Paleolitico, di cui sono state discusse varie
possibili cause, discende in realtà dall’applicazione di
un fenomeno esclusivamente regionale alla scala globale, ed è
legata a una tradizione di spiegazioni narrative di tipo
prescientifico.” Neanderthal,Erectus avevano qualità
che ai fatti non possono che essere ritenute se non esclusivamente
umane,in quanto nessun primate ne ha mai dato prova minimamente. L’H.
Erectus, a quanto pare, per esempio, cominciò ad utilizzare il
fuoco 300.000 prima di quanto si fosse ipotizzato
(http://news.discovery.com/human/human-ancestor-fire-120402.html).
Il
prof Pennetta va quindi, preso atto di queste cose, a
mostrare quale sia il quadro della situazione che emerge e per
illustrarlo si avvale di un caso familiare in cui si constatano forti
differenze morfologiche all’interno di una stessa specie, ossia
riferendosi ai canidi.
(http://www.flickr.com/photos/90303254@N02/8660676991/in/photostream/lightbox/ehttp://www.flickr.com/photos/90303254@N02/8661778374/in/photostream/)
.Il lupo è un canide che ha 78 cromosomi,
se ne osservano varie forme che differiscono per pelo, statura
etc.. non cambiano troppo la loro forma visto anche che si
incrociano di rado, e ciò vale anche tra i vari ‘clan’
del lupo. Il coyote
(http://www.flickr.com/photos/90303254@N02/8660689115/in/photostream/lightbox/ )
si può incrociare col, in Canada centrale, per esempio,dove i
coyote sono di grossa e media taglia si incrociano con il lupo (con
la separazione genetica attraverso il riposizionamento dei geni in
cromosomi differenti, a volte diventano sterili, ma non sempre e
l’informazione resta sempre e comunque la stessa). Nella costa
invece i coyote sono di taglia piccola e non si incrociano col
lupo per ragioni ’pratiche’, ma il coyote è in
generale in grado di incrociarsi in modo fertile col lupo così
come lo è il jackal (sciacallo). Rifacendo riferimento
al primo grafico si vede come poi, pur avendo tutti un’
origine in popolazione di lupi, bulldog(88), chihuahua (63), il
Collie(2), il Bluthund (69) mostrino evidenti differenze nel loro
fenotipo ma siano assolutamente varietà di una stessa specie.
Così come il jackal, il dingo, il coyote etc.. La stessa cosa
avviene in altri tipi di animali, per esempio ibabisura e
la scrofa, che si incrociano .
Un
cane frutto di un incrocio di ‘razze’ (termine
che sarebbe ad uso esclusivo per indicare varietà da
allevamento) canine diverse vengono chiamate meticci o più
erroneamente bastardi. A differenza dei cani di razza, dei quali vi è
una forte mercificazione, i cani meticci non hanno un valore
commerciale,però, non hanno la stessa entità
di problemi ereditari dei cani di razza. Ciò non
vuole dire che non avranno mai problemi di salute,
semplicemente alcuni disturbi comportamentali e malattie
genetiche che appartengono ad alcune razze da pedigree specifiche non
li interesseranno. Per esempio un incrocio con
Labrador (151), potrebbe soffrire di displasia dell’anca, ma in
forma meno grave perché la razza è fondamentalmente
“diluita”. Lo stesso vale per i disturbi di aggressività
tipici di alcune razze pure,o di malattie ‘geriatriche’
cardiache, renali, problemi di respirazione problemi ad adattarsi a
nuovi cibi, nel caso degli incroci ci saranno meno probabilità
di sviluppare questi problemi. E qui la cosa si fa
interessante, spiega il prof.Pennetta, infatti le forti
differenze tra le razze canine,bovine,suine etc.. sono un chiaro
frutto della selezione, ma di una selezione che ha
ridotto il patrimonio genetico ottenendo le varietà
per impoverimento. La controprova sta nel
fatto, che tutti gli allevatori di ogni tipo conoscono bene, che
lasciando incrociare liberamente le varietà che hanno
selezionato si ritorna all’origine, se possibile, o ci si
avvicina molto. Le differenze morfologiche tra Sapiens e
Neanderthal, varietà di una stessa specie ,in
base a quanto testimoniato dal DNA, appaiono infatti analoghe a
quelle di due varietà canine di taglia molto vicina, come
appare dal confronto degli scheletri .
Ad
un certo punto i Neanderthal poi si estinsero, il perché
lo prova a spiegare Pennetta con un’ipotesi costruita su quanto
affermato in un passaggio di un articolo pubblicato su Le
Scienze nel febbraio 2012 con il titolo “Neanderthal:
già verso l’estinzione all’arrivo dei sapiens“:
“La
quantità di variazione genetica nei Neanderthal geologicamente
più antichi, come in Asia, era altrettanto grande di quella
degli esseri umani moderni, mentre la variazione tra gli
ultimi Neanderthal europei non era superiore a quella degli esseri
umani moderni in Islanda”, spiega Götherström
Anders, dell’Università di Uppsala.”
I
Neanderthal avevano quindi verosimilmente una piccola
variabilità genetica, e una piccola variabilità
genetica significa che non è più possibile ottenere
altre varietà, il che comporta una rigidità che rende
meno flessibili nell’adattamento all’ambiente. Il Sapiens
invece ha mantenuto maggior variabilità genetica,così a
differenza degli altri che hanno visto il loro patrimonio
genetico ridursi, non si sono estinti. A questo punto è
bene aprire una parentesi sull’evoluzione neodarwiniana.
L’evoluzione avverrebbe per forza di cose perché
l’equilibrio di H&W(Hardy-Weinberg) viene
rotto. In che modo?Attraverso diversi processi, eventi quali
incroci non casuali, deriva genetica, migrazioni, selezione
artificiale,tutta una serie di contingenze.. ibridazioni,
speciazioni, formazione di chimere, mutazioni intra-specie
(robertsonian fusion, tandem fusion etc..), trasposizioni,
adattamenti all’ambiente propri di certe specie
(metaprogrammazione, borrowed information), endogenizzazione,
simbiosi, ,processi Innovazione – Amplificazione –
Divergenza, processi Potenziamento – Attualizzazione –
Perfezionamento e molti altri.. Però tutti questi da soli non
possono rompere mai l’equilibrio, manca un evento fondamentale,
manca la formazione di nuova informazione. Manca il
motore dell’evoluzione, che il neodarwinismo
vorrebbe trovare nelle mutazioni casuali. La comparsa di un nuovo
carattere all’interno di una popolazione è cosa mai
osservata (sia per meccanismi neodarwiniani che per altri) e ciò
fa si che il neodarwinismo non sia corroborato.
Ciò
non vuol dire che si pretende di vedere fra un banco di pesci un
pesce con zampe (non pinne carnose)no una scimmia che
legga Dante all’interno di un gruppo di scimmie o una lucertola
che uscita dall’uovo spicchi il volo. Però bisognerebbe
che un processo come quelli elencati prima producesse una nuova
funzione,infinitesima anche, ma nuova, allora poi insieme a tutti gli
altri meccanismi potrebbe avvenire l’evoluzione neodarwiniana.
Ma non c’è.
Già Blyth scriveva
:
“… Ogni
specie è essenzialmente distinta e separata da ogni altre
specie; altrimenti non sarebbe una specie ma una varietà.Le
specie più simili, pertanto, sono solo affini reciprocamente
in conseguenza della la somiglianza della loro organizzazione
generale.. ”
Tutti
i casi che vengono portati, per dirla brutalmente, sono in
verità espressioni del pool genico della popolazione d’origine
che viene man mano selezionato senza che si formi nessuna vera novità
e quindi non permettendo anche in tempi lunghissimi che si possa
verificare una evoluzione.
Nell’espeimento
di Lenski,
di Nasvall (http://www.enzopennetta.it/2012/11/neodarwinismo-la-montagna-che-partorisce-topolini/),
nel caso del nylonase, del Leptospirillum
(http://www.enzopennetta.it/2012/04/il-leptospirillum-si-e-evoluto-si-in-leptospirillum/),
della resistenza dei batteri agli antibiotici
(http://www.enzopennetta.it/2011/09/antibiotici-smentita-definitivamente-l%E2%80%99evoluzione-dei-batteri/),
dell’anemia falciforme, degli animali ciechi delle grotte etc
etc.. ci sono de attivazioni di geni e mutazioni che portano
comparsa di individui all’interno della popolazione, senza però
che compaia nuova informazione. Senza contare, va ricordato,che la
generazione per meccanismi neodarwiniani di un nuovo carattere sfida
ogni probabilità la comparsa di un nuovo carattere
(http://www.enzopennetta.it/2012/05/e-provato-matematicamente-aderire-al-neodarwinismo-e-come-credere-ai-miracoli/ ).
Infine affinché le novità significative
possano fissarsi in una popolazione, è necessario che questa
sia piccola. Le grandi popolazioni, infatti, presentano un’inerzia
genetica eccessiva. Quindi deve avvenire una speciazione o un evento
selettivo che prevede che abbiano successo soprattutto le nuove
mutazioni che insorgono in qualche piccola popolazione isolata di una
certa specie, magari situata al margine dell’area di
distribuzione principale. Detto questo, si può
comprendere che il caso del Neanderthal non giovi per nulla alla
teoria neodarwiniana. Infatti questo andrebbe ad essere
l’ennesimo caso in cui, quando si verificano tutte le
condizioni previste dal neodarwinismo affinché si possa
verificare l’evoluzione, non solo questa non avviene ma si va
incontro a decimazioni ed estinzioni
(http://www.enzopennetta.it/2012/05/neodarwinismo-alla-deriva/ ),
come spiega Pennetta la selezione impoverisce il
patrimonio genetico e questo impoverimento, lungi dal portare
all’evoluzione, porta all’estinzione.
Sempre
Blyth scriveva che la forma originale e tipica di un
animale è senza dubbio meglio adattata alle sue abitudini
naturali di qualsiasi modifica di tale forma, quest’ultimo in
uno “stato di natura”,stato che però uomo ed
ambiente possono mutare. Pertanto da leggi esistenti in natura, pur
mantenendo le qualità tipiche di una specie, individui
possono venire convertiti in diverse varietà, ma è
anche chiaro che, se non viene tenuto il passo (regolando il loro
rapporto sessuale), queste “razze”, sarebbero
tutte naturalmente ripristinate al loro tipo originale.
Questo scriveva Blyth. Cosa che allevatori sanno e che si può
constatare e si è avuto modo di constatare. Chi per spinta
selettiva subisce un adattamento vede fiorire delle specializzazioni
,vantaggio che comporta uno scotto da pagare. E così se poi
non è più possibile onorare questo pagamento o come
ricorda Blyth si riunisce alla popolazione che ha mantenuto la
variabilità genetica o si avvia all’estinzione. Il caso
del Neanderthal, oltre quanto detto e sottolineato, sottolinea
Pennetta, porta ancora una volta a constatare che esiste
un ‘gradino’ che definire brusco sarebbe smussarlo
enormemente.
Fra
scimmie e uomo si crea un salto che il gradualismo non sa spiegare.
I neodarwinisti per fede confidano che lo farà, ma non lo fa.
Ed è evidente che l’accettazione di tale salto, spiega
Pennetta, comporti delle ricadute sulla società per la visione
antropologica. Ed è per questo che a chi fa comodo una visione
neodarwinista delle cose , faccia comodo animalizzare l’uomo e
elevare l’animale a livello dell’uomo. Con tutte le
conseguenze che ciò comporta. E ciò in parte porta a
riflettere e magari comprendere perché rispetto gli altri
campi della scienza sull’evoluzione ci sia un certo interesse e
ci siano diverse discussioni che poi toccano altri ambiti oltre
quello scientifico. Infatti M.P.Palmarini scrive
in “Gli errori di Darwin”:
“Il
neodarwinismo è assunto come un assioma: non viene mai,
letteralmente, messo in questione. Una concezione che sembri
contraddirlo, direttamente o per implicazione, è ipso facto
rifiutata, per quanto plausibile possa sembrare. Interi
dipartimenti, riviste e
centri di ricerca operano secondo questo principio. Di
conseguenza il darwinismo sociale cresce rigoglioso, come il
darwinismo epistemologico, il darwinismo psicologico, l’etica
evoluzionistica e, il cielo ci scampi, l’estetica
evoluzionistica.”
Ed
è proprio in relazione alla mancanza di un’alternativa,
che in trasmissione si spendono alcune parole. I neodarwinisti,
quando vengono mosse critiche al neodarwinismo, spesso e volentieri
affermano che per muovere tali critiche si dovrebbe portare
un’alternativa. Pennetta, con una metafora, spiega l’assurdità
di questo pensiero. Un uomo arriva ad un ascensore per salire al
piano di sopra,un uomo lì vicino gli spiega che non
funziona,schiacciando il pulsante l’ascensore non sale.E quello
gli dice che se non gli mostra un’alternativa per salire di
sopra non può dire che l’ascensore non funziona e così
sta lì a schiacciare quel pulsante. E schiaccia…schiaccia…
Affermazione quindi che rischia di cadere nel ridicolo,dove già
cade altro,spiega Pennetta
(http://www.enzopennetta.it/2013/04/il-rischio-del-ridicolo/ ),
infatti per celare quelli che sono i problemi della teoria,e darne
invece un’illusione di continua efficacia e predizione,si va a
fare un cambio di definizione. Come definizione di evoluzione,
comunemente data e condivisa,si sceglie dunque :
“cambiamento
nel tempo della frequenza genica in una popolazione“
Questa
definizione che apparentemente è efficace nel descrivere
l’evoluzione, ad una semplice analisi si dimostra assolutamente
inadeguata. Il termine “frequenza” è ciò
che cambia in questa definizione di evoluzione, e con
“frequenza” si intende per frequenza il
numero delle unità statistiche su cui una
sua modalità (le modalità sono i
valori numerici o gli attributi che un carattere può
assumere) si presenta. Se la componente di
base del processo evolutivo è il cambiamento nelle frequenze
alleliche nel tempo all’interno delle popolazioni,ed il pool
genico di una popolazione è il set di alleli unici a tutti i
loci in una popolazione e la frequenza allelica (allele frequency,
gene frequency) è proporzione relativa di un allele in una
popolazione allora qualcosa non torna.
Le
unità statistiche, spiega Pennetta, sono ad esempio gli
elementi di una popolazione, in altri termini la frequenza è
il numero di casi in cui un gene viene riscontrato nel campione
analizzato, cioè quante volte troviamo un certo gene, in
percentuale, nella popolazione. Come è
evidente la variazione della frequenza di un determinato “carattere”
(genetico nel caso dell’evoluzione), non porta alla comparsa di
un nuovo carattere. E come si è visto prima, parlando
dell’equilibrio di H&W, senza la comparsa di un nuovo
carattere non si ha possibilità di evoluzione, che era invece
quello che si voleva definire con il periodo da cui siamo partiti.
E
fa notare Pennetta questo è ridicolo.
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La
puntata è disponibile al seguente link:
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Le
puntate precedenti sono al seguente link:
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