H2>Di Enzo
Pennetta - 11
settembre 2012 2
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Eppure il titolo di Marco Ferraguti apparso su
Pikaia lasciava sperare che finalmente ci fosse un chiaro criterio di
falsificabilità.
Ma non è così.
Una cosa importante va però detta: il titolo di
quello stesso articolo è una ammissione che il problema
esiste.
“L’evoluzione
è falsificabile!“, così inizia
l’articolo di Marco Ferraguti pubblicato su
Pikaia il 6 settembre scorso.
Un’affermazione esclamata come l’
“eureka” di Archimede, un’esclamazione che è
a tutti gli effetti un grido liberatorio, qualcosa che sta a
significare che siamo in presenza di una scoperta: eureka,
l’evoluzione è falsificabile!
Un’enfasi che non può che
lasciare basiti chi, come noi, è da sempre che
lamenta la mancanza di falsificabilità della teoria
neo-darwiniana, e quindi la sua non scientificità secondo i
canoni della scienza moderna. Ma questo punto non è mai stato
riconosciuto dalla controparte darwiniana. E adesso invece si
proclama la soluzione di un problema che non era mai stato ammesso…
un modo di fare quantomeno un po’ curioso.
Ma purtroppo, come molte altre volte, il
titolo si presta ad errori di interpretazione. Ricordiamo
che con il termine evoluzione si intende il fatto che nella storia
del pianeta si sono succedute diverse forme viventi, realtà
sintetizzata con brillante efficacia dalla frase di Alessandro
Giuliani “non vedo dinosauri in giro”; la teoria
darwiniana invece è una possibile spiegazione di quel fatto
che è l’evoluzione.
E qui abbiamo una buona notizia:
l’evoluzione è sempre stata falsificabile. Lo è
secondo un’altra frase di grande sintesi ed efficacia, quella
pronunciata in proposito da J. B. S. Haldane
quando gli chiesero che cosa avrebbe potuto smentire l’evoluzione:
«Conigli fossili nel Precambriano».
Non è quindi l’evoluzione ad
essere priva di un efficace criterio di falsificabilità, ma la
teoria darwiniana.
Fatta questa necessaria precisazione,
passiamo ad analizzare cosa effettivamente dice l’articolo
apparso su Pikaia, in esso l’autore pone correttamente la
distinzione tra “evoluzione” e “la
formulazione di meccanismi della storia passata“:
Siamo
venuti grandi, giusto o sbagliato che sia, con l’idea che
un’affermazione, per essere scientifica, deve essere
falsificabile, ossia che esista la possibilità logica di
contraddirla con un’osservazione o con un esperimento. Quando
si parla di studio dell’evoluzione questo punto è
difficile da sbrogliare. A occhio si può dire che l’evoluzione
in quanto “storia della vita sulla Terra” risponda
al requisito di falsificabilità, mentre la formulazione di
meccanismi della storia passata presenti più problemi.
Un
bell’esempio della prima affermazione è la vicenda
dell’origine degli orsi bianchi come si è sviluppata
negli ultimi 10 anni circa sulla letteratura scientifica.
Ecco quindi che ci troviamo di fronte ad una
falsificazione che viene attribuita al primo caso, quello
della “storia della vita sulla Terra”, punto sul quale
non ci sono mai stati dubbi. Ma quel che segue
davvero non giustifica l’enfasi iniziale, sarebbe sta
infatti una notizia, questa sì clamorosa,
il ritrovamento di «Conigli fossili nel
Precambriano», cosa che avrebbe davvero mandato all’aria
tutto il discorso sull’evoluzione, ma qui ci troviamo solamente
davanti ad un caso di riscrittura dell’evoluzione degli orsi
bianchi a partire da quelli bruni, niente insomma che possa
rivoluzionare qualcosa.
Ma leggiamo un passaggio interessante in cui
si riassumono le conclusioni di un recente studio:
La
conclusione di questo studio conferma quella di Heiler et al.: orsi
bianchi e orsi bruni sono specie sorelle, che si sono separate fra
quattro e cinque milioni di anni fa, poco dopo (meno di un milione di
anni) la separazione del loro antenato comune dall’orso nero,
ma in alcune parti del loro areale, come l’arcipelago
Alexander in Alaska, hanno continuato ad ibridare fino a tempi
recenti.
Insomma l’orso bianco e l’orso
bruno sono diventate specie separate (speciazione comunque,
non evoluzione con acquisizione di nuovi caratteri) tra i quattro e i
cinque milioni di anni fa. Ma” in alcune parti hanno
continuato ad ibridare fino a tempi recenti…“!
Ma a quale concetto di specie ci stiamo
riferendo? Secondo quello di Dobzhansky e
Mayr, la specie è rappresentata da quegli
individui che incrociandosi tra loro generano potenzialmente una
prole illimitatamente feconda, un concetto che applicato agli
orsi bianchi e bruni li metterebbe nella stessa specie, limitando la
differenza al livello di “varietà”.
Cosa prova dunque il caso proposto nell’articolo su
Pikaia?
Che orsi bianchi e bruni sembrerebbero
essere in realtà delle varietà della stessa specie, un
po’ come avviene nelle differenze degli animali d’allevamento
che se non vengono tenuti separati si incrociano nuovamente tornando
alla forma originale.
Il punto è che la teoria darwiniana
era e rimane non falsificabile.
E per quanto riguarda il caso riportato su
Pikaia, nonostante l’enfasi, non si tratta neanche di
evoluzione.
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