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ALESSANDRO GIULIANI E LA CRISI NEO-DARWINISTA
Tratto da "Critica scientifica" 20/07/12
 


Alessandro Giuliani, primo ricercatore dell’ISS, espone in un’analisi chiara ed efficace la crisi del modello neo-darwinista.



Alessandro Giuliani

Mi piacerebbe riuscire a fare un po’ d’ordine in una materia che si presenta molto ingarbugliata, e cioè la natura dell’opposizione al neodarwinismo o, meglio, quali sono i problemi più gravi da un punto di vista scientifico che io noto in questo paradigma. Intanto vediamo di mettere tutte le carte in tavola …allora a io sono d’accordo con Leonardo da Vinci (solo su questo punto però, per il resto trovo il personaggio ambiguo e sgradevole e decisamente sopravvalutato come pittore) quando dice che la teoria ‘serve al nocchiero per entrare in porto’ in altre parole una teoria si giudica da quanto ci aiuta a far luce sui problemi che ci si pongono davanti, siano essi di natura pratica (costruzione di macchine , di medicine, di edifici..) che puramente conoscitivi. Questo è ancora più vero per un argomento come quello dell’evoluzione biologica che certo non ci consente di tornare indietro nel tempo a vedere come le cose siano andate veramente e che quindi più che una teoria falsificabile si presenta come ‘uno sfondo interpretativo generale’ che ci aiuti, da tante possibili soluzioni, a scegliere quella più adatta alla bisogna nei vari casi.


Dovremo quindi chiederci ‘in cosa il neodarwinismo ci aiuta, qui e ora, per avanzare nella conoscenza della biologia e, eventualmente nel curare o diagnosticare malattie o trovare rimedi a problemi come la conservazione dell’ambiente?’


La mia risposta è ‘non ci aiuta per niente, anzi si dimostra controproducente’ o, per usare il termine utilizzato dal premio Nobel per la fisica del 1998, Robert Laughlin proprio riferendosi al neodarwinismo esso è ormai ‘un’ anti-teoria’ (R.Laughlin ‘Un Universo Diverso’ Codice Editore). Per ‘anti-teoria’ Laughlin intende una teoria che , ormai diventata una tautologia (e quindi immodificabile per pura forza dei dati che vengono comunque re-immessi più o meno forzatamente all’interno del medesimo quadro interpretativo che ha ormai acquisito una tale flessibilità da poter accettare tutto e il contrario di tutto)  invece di essere proficua per lo sviluppo della conoscenza provocando economia interpretativa, si interpone ad ogni cambiamento di paradigma che consenta un reale avanzamento della nostra visione del mondo. Perché il neodarwinismo, che ha avuto degli innegabili meriti nei decenni passati, si trova ora ad essere di impaccio? Io credo che ciò derivi da una serie di limiti stilistici che lo rendono inadatto al tipo di problemi a cui ci troviamo di fronte di questi tempi, ecco i due limiti più evidenti:

  1. Il suo carattere continuo. Questo è il limite più grave, in un mondo biologico che, a tutti i livelli, ci appare ormai come fortemente discreto con poche ‘forme ottimali’ effettivamente presenti rispetto al numero transfinito di possibili alternative. Pochi esempi: a) solo 200 tipi di tessuti in tutti i metazoi, ciascuno con un profilo di espressione genica fortemente invariante laddove con 30000 geni che possono variare su 4 ordini di grandezza ci aspetteremmo uno spazio continuo, b) poco più di 1000 fold proteici a fronte di un numero potenzialmente infinito di forme, c) impossibilità di passare da un fold proteico all’altro con cambiamenti successivi di singoli residui (gran parte delle forme intermedie semplicemente sarebbero insolubili). Questo ci dice che abbiamo bisogno di una teoria discreta che abbia al suo interno un concetto di campo che permetta di valutare la ‘conformità energetica complessiva’ delle forme e non un processo continuo di piccoli aggiustamenti che esplora le alternative nel continuo, insomma i salti sono NECESSARI così come la stabilità degli attrattori (gran parte dei cambiamenti non dovrebbero avere conseguenze). Abbiamo insomma urgente bisogno di un quadro teorico generale in cui ‘le forme’ non siano solo degli epifenomeni di un mutare continuo ma qualcosa di REALE di dotato cioè di una sua giustificazione (energetica ?) in termini di ‘valori ammessi’ in uno spazio di riferimento multidimensionale. Non tutti i metabolismi sono possibili, non tutte le proteine sono solubili, non tutte le reti geniche di regolazione sono materialmente istanziabili. Cosa decide di questa ammissibilità siamo ancora ben lontani dal capirlo, di questi ‘campi’ abbiamo solo notizie fenomeniche, sappiamo però che esistono, e che strutturano in maniera molto efficiente lo ‘spazio a disposizione’ della variabilità biologica. Non a caso la letteratura scientifica più avveduta parla ormai di ‘evoluzione post-darwiniana)

(vedi: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/bies.201100031/abstract;jsessionid=C74FEA7328AB32C69DC63195D8496A8F.d04t04?userIsAuthenticated=false&deniedAccessCustomisedMessage=

http://www.nature.com/nature/journal/v453/n7194/abs/nature06965.html

http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0958166906001194 )

  1. La sua indifferenza ai diversi ordini di organizzazione. Nel neodarwinismo il gioco si fa tutto a livello di cambiamenti genici ed ogni gene fa gioco a sé e noi sappiamo ormai che: a) i geni lavorano in reti fortemente integrate di co-espressione, b) malattie come il cancro che si pensavano avere origine a livello della singola cellula sono in realtà ‘malattie dei tessuti’ emergenti ad un livello di organizzazione completamente differente da quello regolato dalle singole mutazioni e piuttosto legato alle proprietà emergenti delle interazioni cellula-cellula, c)l’eredità epigenetica sembra essere di tipo Lamarckiano e consentirebbe una evoluzione molto più rapida ed efficiente del processo neodarwiniano, d) il metabolismo è guidato da reti proteiche organizzate attraverso effetto allosterico intermolecolare ed organizzazione ‘solid-state-like’ lungo le fibre del citoscheletro, poche speranze di miglioramento (ma anche di peggioramento) con mutazioni.



In altre parole è arrivato il momento in cui si comincia a delineare un possibile posizionamento della vita all’interno del mondo fisico in cui i vincoli posti dalla termodinamica del non-equilibrio, dall’ancora giovane ma promettente meccanica statistica delle reti e dalla dinamica non-lineare, se pur ancora in maniera largamente fenomenologia (ma non di meno passibile di analisi quantitativa) permettono di rendere ‘fisicamente plausibile la vita’ permettendo di superare lo sconcerto che molti di noi abbiamo avuto nei nostri anni universitari quando il professore di chimica ci dimostrava l’estrema rarità di urti coinvolgenti più di due specie molecolari in soluzione e il professore di biochimica , l’anno successivo ci presentava candidamente reazioni ordinate (ciclo di Krebs, biosintesi dei lipidi..) coinvolgenti dozzine di urti seriali che avvenivano in rigida ordinata sequenza.

Domini di coerenza dell’acqua, effetto tunnel, soglia di percolazione (si pensi a quegli animaletti come l’Artemia salina che hanno normalmente un ciclo vitale di settimane ma che possono rimanere in animazione sospesa essiccati per anni per poi ‘tornare a vivere’ appena la quantità d’acqua raggiunge una soglia che permette la ‘ripartenza del metabolismo’ con un meccanismo che i fisici chimano appunto a soglia di percolazione che ci parla di ancora misteriosi ma affascinanti ‘continui’ attraversanti differenti scale di organizzazione), sono termini che si stanno affacciando prepotentemente nella biologia e che presuppongono appunto un ‘Universo Diverso’ rispetto a quello dove si accomodava la sintesi neodarwiniana.

E’ un Universo organizzato e coerente in cui le variazioni evolutive, per sopravvivere devono essere canalizzate e coerenti, che ha molto poco a che spartire con i ‘geni’ come agenti intelligenti che agivano ognuno per suo conto e che indipendentemente venivano selezionati del racconto neodarwinista.

Continuare con la teoria neodarwiniana è a questo punto come cercare di entrare nel porto di Genova con la carta nautica relativa al porto di Napoli…una sciocchezza pericolosa, poi magari sicuramente nell’evoluzione il processo neodarwiniano di caso e necessità avrà avuto un ruolo, ma le conseguenze pratiche e conoscitive di questo ruolo sulla ‘scienza di tutti i giorni’ si sono esaurite da più di 50 anni, abbiamo bisogno di un’altra ‘narrazione’ che a me sembra di individuare nella teoria della complessità, intendendo con ciò una specie di ‘vulgata’ di termodinamica del non-equilibrio, meccanica statistica, dinamica non lineare, e teoria dei grafi che è ancora a livello fenomenologico (metafore buone per andare avanti) ma già sta dando dei frutti molto promettenti.

Svuotare la polemica dai dogmi, ammettere serenamente che l’evoluzione è sicuramente avvenuta ma che ancora non sappiamo in che modo e con che meccanismi e che se dobbiamo guardare in qualche direzione per capirlo è nella biologia di oggi e non in quella di un secolo e mezzo fa e che, soprattutto non possiamo permetterci di ‘cercare un gene per ogni cosa’ e così imporre una spiegazione fittizia a tutto è una sfida di importanza capitale.





 

Sito a cura dell'A.I.S.O. Associazione Italiana Studi sulle Origini - aggiornato il 31/01/2014 

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