Alessandro Giuliani, primo ricercatore dell’ISS,
espone in un’analisi chiara ed efficace la crisi del modello
neo-darwinista.
Alessandro Giuliani
Mi piacerebbe
riuscire a fare un po’ d’ordine in una materia che si
presenta molto ingarbugliata, e cioè la natura
dell’opposizione al neodarwinismo o, meglio, quali sono i
problemi più gravi da un punto di vista scientifico che io
noto in questo paradigma. Intanto vediamo di mettere tutte le carte
in tavola …allora a io sono d’accordo con Leonardo da
Vinci (solo su questo punto però, per il resto trovo il
personaggio ambiguo e sgradevole e decisamente sopravvalutato come
pittore) quando dice che la teoria ‘serve al nocchiero per
entrare in porto’ in altre parole una teoria si giudica da
quanto ci aiuta a far luce sui problemi che ci si pongono davanti,
siano essi di natura pratica (costruzione di macchine , di medicine,
di edifici..) che puramente conoscitivi. Questo è ancora più
vero per un argomento come quello dell’evoluzione biologica che
certo non ci consente di tornare indietro nel tempo a vedere come le
cose siano andate veramente e che quindi più che una teoria
falsificabile si presenta come ‘uno sfondo interpretativo
generale’ che ci aiuti, da tante possibili soluzioni, a
scegliere quella più adatta alla bisogna nei vari casi.
Dovremo
quindi chiederci ‘in cosa il neodarwinismo ci aiuta, qui e ora,
per avanzare nella conoscenza della biologia e, eventualmente nel
curare o diagnosticare malattie o trovare rimedi a problemi come la
conservazione dell’ambiente?’
La mia
risposta è ‘non ci aiuta per niente, anzi si dimostra
controproducente’ o, per usare il termine utilizzato
dal premio Nobel per la fisica del 1998, Robert Laughlin proprio
riferendosi al neodarwinismo esso è ormai ‘un’
anti-teoria’ (R.Laughlin ‘Un Universo Diverso’
Codice Editore). Per ‘anti-teoria’ Laughlin intende una
teoria che , ormai diventata una tautologia (e quindi immodificabile
per pura forza dei dati che vengono comunque re-immessi più o
meno forzatamente all’interno del medesimo quadro
interpretativo che ha ormai acquisito una tale flessibilità da
poter accettare tutto e il contrario di tutto) invece di essere
proficua per lo sviluppo della conoscenza provocando economia
interpretativa, si interpone ad ogni cambiamento di paradigma che
consenta un reale avanzamento della nostra visione del mondo. Perché
il neodarwinismo, che ha avuto degli innegabili meriti nei decenni
passati, si trova ora ad essere di impaccio? Io credo che ciò
derivi da una serie di limiti stilistici che lo rendono inadatto al
tipo di problemi a cui ci troviamo di fronte di questi tempi, ecco i
due limiti più evidenti:
Il suo
carattere continuo. Questo è il limite più grave, in
un mondo biologico che, a tutti i livelli, ci appare ormai come
fortemente discreto con poche ‘forme ottimali’
effettivamente presenti rispetto al numero transfinito di possibili
alternative. Pochi esempi: a) solo 200 tipi di tessuti in tutti i
metazoi, ciascuno con un profilo di espressione genica fortemente
invariante laddove con 30000 geni che possono variare su 4 ordini di
grandezza ci aspetteremmo uno spazio continuo, b) poco più di
1000 fold proteici a fronte di un numero potenzialmente infinito di
forme, c) impossibilità di passare da un fold proteico
all’altro con cambiamenti successivi di singoli residui (gran
parte delle forme intermedie semplicemente sarebbero insolubili).
Questo ci dice che abbiamo bisogno di una teoria discreta che abbia
al suo interno un concetto di campo che permetta di valutare la
‘conformità energetica complessiva’ delle forme e
non un processo continuo di piccoli aggiustamenti che esplora le
alternative nel continuo, insomma i salti sono NECESSARI così
come la stabilità degli attrattori (gran parte dei
cambiamenti non dovrebbero avere conseguenze). Abbiamo insomma
urgente bisogno di un quadro teorico generale in cui ‘le
forme’ non siano solo degli epifenomeni di un mutare continuo
ma qualcosa di REALE di dotato cioè di una sua
giustificazione (energetica ?) in termini di ‘valori ammessi’
in uno spazio di riferimento multidimensionale. Non tutti i
metabolismi sono possibili, non tutte le proteine sono solubili, non
tutte le reti geniche di regolazione sono materialmente
istanziabili. Cosa decide di questa ammissibilità siamo
ancora ben lontani dal capirlo, di questi ‘campi’
abbiamo solo notizie fenomeniche, sappiamo però che esistono,
e che strutturano in maniera molto efficiente lo ‘spazio a
disposizione’ della variabilità biologica. Non a caso
la letteratura scientifica più avveduta parla ormai di
‘evoluzione post-darwiniana)
(vedi:
http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/bies.201100031/abstract;jsessionid=C74FEA7328AB32C69DC63195D8496A8F.d04t04?userIsAuthenticated=false&deniedAccessCustomisedMessage=
http://www.nature.com/nature/journal/v453/n7194/abs/nature06965.html
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0958166906001194
)
La sua
indifferenza ai diversi ordini di organizzazione. Nel neodarwinismo
il gioco si fa tutto a livello di cambiamenti genici ed ogni gene fa
gioco a sé e noi sappiamo ormai che: a) i geni lavorano in
reti fortemente integrate di co-espressione, b) malattie come il
cancro che si pensavano avere origine a livello della singola
cellula sono in realtà ‘malattie dei tessuti’
emergenti ad un livello di organizzazione completamente differente
da quello regolato dalle singole mutazioni e piuttosto legato alle
proprietà emergenti delle interazioni cellula-cellula,
c)l’eredità epigenetica sembra essere di tipo
Lamarckiano e consentirebbe una evoluzione molto più rapida
ed efficiente del processo neodarwiniano, d) il metabolismo è
guidato da reti proteiche organizzate attraverso effetto allosterico
intermolecolare ed organizzazione ‘solid-state-like’
lungo le fibre del citoscheletro, poche speranze di miglioramento
(ma anche di peggioramento) con mutazioni.
In altre
parole è arrivato il momento in cui si comincia a delineare un
possibile posizionamento della vita all’interno del mondo
fisico in cui i vincoli posti dalla termodinamica del non-equilibrio,
dall’ancora giovane ma promettente meccanica statistica delle
reti e dalla dinamica non-lineare, se pur ancora in maniera
largamente fenomenologia (ma non di meno passibile di analisi
quantitativa) permettono di rendere ‘fisicamente plausibile la
vita’ permettendo di superare lo sconcerto che molti di noi
abbiamo avuto nei nostri anni universitari quando il professore di
chimica ci dimostrava l’estrema rarità di urti
coinvolgenti più di due specie molecolari in soluzione e il
professore di biochimica , l’anno successivo ci presentava
candidamente reazioni ordinate (ciclo di Krebs, biosintesi dei
lipidi..) coinvolgenti dozzine di urti seriali che avvenivano in
rigida ordinata sequenza.
Domini di
coerenza dell’acqua, effetto tunnel, soglia di percolazione (si
pensi a quegli animaletti come l’Artemia salina che hanno
normalmente un ciclo vitale di settimane ma che possono rimanere in
animazione sospesa essiccati per anni per poi ‘tornare a
vivere’ appena la quantità d’acqua raggiunge una
soglia che permette la ‘ripartenza del metabolismo’ con
un meccanismo che i fisici chimano appunto a soglia di percolazione
che ci parla di ancora misteriosi ma affascinanti ‘continui’
attraversanti differenti scale di organizzazione), sono
termini che si stanno affacciando prepotentemente nella biologia e
che presuppongono appunto un ‘Universo Diverso’ rispetto
a quello dove si accomodava la sintesi neodarwiniana.
E’
un Universo organizzato e coerente in cui le variazioni evolutive,
per sopravvivere devono essere canalizzate e coerenti, che ha molto
poco a che spartire con i ‘geni’ come agenti intelligenti
che agivano ognuno per suo conto e che indipendentemente venivano
selezionati del racconto neodarwinista.
Continuare con
la teoria neodarwiniana è a questo punto come cercare di
entrare nel porto di Genova con la carta nautica relativa al porto di
Napoli…una sciocchezza pericolosa, poi magari
sicuramente nell’evoluzione il processo neodarwiniano di caso e
necessità avrà avuto un ruolo, ma le conseguenze
pratiche e conoscitive di questo ruolo sulla ‘scienza di tutti
i giorni’ si sono esaurite da più di 50 anni, abbiamo
bisogno di un’altra ‘narrazione’ che a me sembra di
individuare nella teoria della complessità, intendendo con ciò
una specie di ‘vulgata’ di termodinamica del
non-equilibrio, meccanica statistica, dinamica non lineare, e teoria
dei grafi che è ancora a livello fenomenologico (metafore
buone per andare avanti) ma già sta dando dei frutti molto
promettenti.
Svuotare la
polemica dai dogmi, ammettere serenamente che l’evoluzione è
sicuramente avvenuta ma che ancora non sappiamo in che modo e con che
meccanismi e che se dobbiamo guardare in qualche direzione per
capirlo è nella biologia di oggi e non in quella di un secolo
e mezzo fa e che, soprattutto non possiamo permetterci di ‘cercare
un gene per ogni cosa’ e così imporre una spiegazione
fittizia a tutto è una sfida di importanza capitale.
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