Piero
Citati, nell'articolo che sintetizziamo sotto, con slancio e partecipazione
collega la Genesi col rapporto che, in Occidente, l'uomo ha con la natura. Passa
poi a considerare le implicazioni culturali dell'incarnazione di Cristo ed il
passo dell'apostolo Paolo sulla natura che geme e attende la redenzione (Romani
8:19-23). Noi abbiamo in larga parte apprezzato questo articolo (titolo a
parte), ma anche chi avesse delle riserve dovrebbe, come Citati, cercare di
cogliere i collegamenti fra le varie dottrine bibliche e vederne poi anche la
rilevanza per la cultura dell'intera società. L'articolo comincia nella prima
pagina, proseguendo poi nell'interno.
da
"La Repubblica" del 25/9/2000, pp. 1 e 18
E
la Bibbia creò l'uomo superbo
Con
quale inesausto ardore, con quale giovanile freschezza, nei primi capitoli della
Genesi e nei Salmi, Dio crea le cose, organizzando sovranamente le distese
deserte e vuote che esistevano sotto di lui. Ci sembra di assistere a un teatro
primigenio, brulicante di vita, di movimento di germi, grondante di acque, di
luci e di colori, come nei testi dei Padri e nei quadri del Rinascimento che si
ispirarono a queste righe. [...] Una sola cosa mi inquieta in questo glorioso
prologo della civiltà occidentale. L'uomo, che Dio ha appena creato, deve
"dominare sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su
tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla
terra". [...] Questo passo della Genesi ha interrotto la mobile,
ininterrotta catena di rapporti che da Dio discende a tutte le creature, e fa sì
che l'erba e i rami degli alberi siano prossimi al sangue degli uomini. Si è
prodotta una lacerazione, che col passare dei secoli si è allargata e
approfondita. Ne è discesa una totale desacralizzazione dell'universo: una
condanna nascosta della natura [...].
L'incarnazione
di Cristo è il paradosso più sublime della teologia cristiana. Il Dio che
diventa uomo: un Dio innominabile, impronunciabile e indefinibile che assume un
nome: l'infinito che accetta il finito, l'illimitato che assume il limite, ciò
che è spirito o al di sopra dello spirito che si trasforma in carne: qualcosa
di eterno e immortale che cerca la morte: l'Essere che vuole il niente; la
suprema saggezza che desidera la follia: - mai, credo, l'immaginazione
intellettuale dell'uomo aveva concepito qualcosa di così meravigliosamente
assurdo. Nessuna idea sconvolse mai tanto il mondo; e dovrebbe continuare a
sconvolgere, se la sentissimo sino in fondo, ognuno di noi. I Greci e i Cinesi
non potevano accettare che Dio si modificasse e si trasformasse, perché egli
ignora qualsiasi mutamento; né che assumesse una carne umana. Secondo loro, un
dio non doveva morire di una morte violenta e ignominiosa: né scendere sulla
terra, e sacrificarsi per noi. Tutto il dolore, l'impotenza, la fragilità, la
debolezza di Dio - ciò che esalta ogni cuore cristiano, perché ci pare
l'ultimo segno della sua forza - sembrava loro completamente incomprensibile.
Da questo paradosso nasce tutta la civiltà dell'Occidente. Senza l'incarnazione
di Cristo, la nostra religione non avrebbe senso. Per secoli, nessuna mano
avrebbe dipinto un quadro o scritto un libro. Non sarebbe esistita quella
grandiosa invenzione che è il romanzo europeo. I filosofi non avrebbero
posseduto i quadri mentali entro cui pensare. Tutte le più grandi e umili
espressioni della vita quotidiana avrebbero perso ogni valore e ogni alone.
Oso dire che il dominio dell'idea dell'incarnazione spiega anche i vizi
dell'Occidente. La superbia dell'uomo, che si crede superiore a tutte le
creature perché Dio si è incarnato in lui: l'incapacità di comprendere le
cose spirituali se non assumono un aspetto fisico: il disprezzo della natura
perché non è stata redenta: degli alberi perché Dio non è diventato un
albero: la pretesa (più bizantina che occidentale) che, a causa
dell'incarnazione, la stessa sostanza dell'uomo è stata divinizzata ed è
superiore a quella degli angeli ... Così gli uomini hanno dimenticato uno dei
due racconti della Genesi. Non siamo stati creati soltanto a "immagine e
somiglianza di Dio"; ma con la polvere del suolo: siamo fatti di terra e
siamo legati al destino della terra e diventeremo polvere. Abbiamo perduto o
rischiamo di perdere quella discrezione, quel senso del limite, quel rifiuto
della dismisura, senza i quali l'uomo si perde. [...]
Nella
Lettera ai Romani di San Paolo, c'è un passo mirabile, che affascinò Origene e
Massimo il Confessore. "[...] Sappiamo infatti che tutta la creazione geme
e soffre fino ad oggi insieme a noi nelle doglie del parto; essa non è la sola,
ma anche noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo in noi stessi
aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo". [...]
Non dobbiamo dimenticare le parole di Paolo. Cristo non è il sovrano di un
mondo esclusivamente umano, dove noi, a nostra volta, siamo i dominatori della
creazione. Cristo regna sugli alberi, gli animali, i fiori, i mari, i pesci, gli
uccelli; e non ha bisogno di mediazioni umane. Nei grandi periodi del pensiero e
dell'arte cristiani, lo si vedeva riflesso non soltanto nel nostro corpo, ma nel
sole e nella luna. [...] Allora l'incarnazione e la resurrezione di Cristo,
senza le quali il Cristianesimo non potrebbe esistere, erano la chiave di un
immenso edificio cosmico.
Piero Citati
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