Il darwinismo afferma che tutte
le cose viventi sulla Terra hanno iniziato a esistere non secondo uno
scopo o un piano, ma solo come il risultato di eventi casuali. Il
primo anello di questa catena di eventi è che la prima cosa
vivente apparve all’interno della materia inerte. Per poter
discutere se vi sia stato o meno un processo di evoluzione, bisogna
prima dimostrare che la vita abbia potuto davvero iniziare per caso
da una materia inerte.
E così, quando paragoniamo
questo “anello” a dei dati scientifici, cosa emerge? In
altre parole, può il caso formare un organismo vivente da una
materia inerte?
Una volta si pensava che le
osservazioni e gli esperimenti avessero dato una risposta affermativa
a queste domande. Si credeva cioè che delle creature viventi
potessero evolvere spontaneamente all’interno della materia
inerte. Ma queste osservazioni ed esperimenti, che sembravano
confermare quelle asserzioni, erano estremamente rudimentali.
Gli antichi Egizi che vivevano
lungo il fiume Nilo pensavano che il numero di rane aumentasse
durante la stagione delle piogge perché il fiume le generava
dal fango. Essi credevano che non solo le rane, ma anche i serpenti,
i vermi e i topi venissero formati dal fango quando il Nilo allagava
le sponde ogni estate. Osservazioni superficiali che portarono gli
Egizi a credere in questa superstizione.
Il confine tra cose viventi e
inanimate non era chiaro non soltanto nell’antico Egitto. Molte
antiche società pagane credevano che questo confine fosse
facilmente valicabile. Secondo la mitologia indu, il mondo cominciò
ad esistere partendo da un enorme, agglomerato rotondo di
materia chiamato prakriti. Da questa materia si sono evolute
tutte le cose animate e inanimate e ad essa vi faranno ritorno.
Anassimandro, l’anziano
filosofo greco discepolo di Talete, scrisse nel suo libro “Sulla
Natura” che gli animali venivano dall’evaporazione del
fango al calore del sole.
Alla base di tutte queste
superstizioni vi era la credenza che le cose viventi fossero delle
strutture semplici. Questa opinione fu a lungo sostenuta in Europa,
dove la scienza moderna cominciò a svilupparsi nel XVI secolo.
Ma l’idea che la struttura della vita fosse semplice tenne
banco per almeno altri trecento anni, poiché gli scienziati
non avevano i mezzi per osservare i minuti dettagli delle cose
viventi, specialmente le cellule microscopiche e le minuscole
molecole.
Poche superficiali osservazioni
ed esperimenti convinsero gli scienziati che la vita fosse semplice.
Ad esempio il chimico belga Jan Baptista van Helmont (1577-1644)
sparse del grano su una camicia sporca e, dopo un certo tempo,
osservò che dei topi scorrazzavano attorno alla camicia. E
concluse che i topi venivano prodotti dalla combinazione del grano
con la camicia. Lo scienziato tedesco Athanasius Kircher (1601-1680)
fece un esperimento simile. Versò del miele sopra delle mosche
morte e più tardi vide che altre mosche ronzavano attorno al
miele; ed egli pensò che combinando miele e mosche morte si
producessero mosche vive.
Scienziati più attenti
furono in grado di capire che tutte queste idee erano sbagliate. Lo
scienziato italiano Francisco Redi (1626-1697) fu il primo a fare
degli esperimenti controllati al riguardo.
Usando il metodo dell’isolamento,
scoprì che le larve sulla carne non nascevano spontaneamente,
ma si sviluppavano dalle uova depositate dalle mosche. Redi provò
che la vita non poteva venire da una materia inerte, ma solo da
un’altra cosa vivente – un punto di vista che diventò
conosciuto come biogenesi. Il nome dato alla generazione
spontanea della vita fu abiogenesi.
Il dibattito scientifico tra
sostenitori della biogenesi e dell’abiogenesi continuò
nel XVIII secolo tra John Needham (1713-1781) e Lazzaro Spallanzani
(1729-1799). Ognuno di loro bollì un pezzo di carne, e poi lo
isolò. Needham osservò che le larve apparivano sulla
carne e considerò questo fatto la prova dell’abiogenesi.
Spallanzani ripeté lo stesso esperimento, ma fece bollire la
carne più a lungo. In questo modo, tutte le forme organiche di
vita furono distrutte, e non comparve nessuna larva. Eppure,
nonostante Spallanzani avesse invalidato la teoria dell’abiogenesi,
in molti non gli credettero; affermarono che Spallanzani aveva
bollito la carne tanto a lungo da uccidere il “potere vitale”
all’interno di essa.
Mentre Charles Darwin sviluppava
la sua teoria, la questione delle origini della vita fu offuscata da
dibattiti di questo tipo. Molte persone credevano che la materia
inerte potesse generare batteri e altri germi, se non creature
visibili come le larve. Nel 1860, il famoso chimico francese Louis
Pasteur smentì le vetuste asserzioni dell’abiogenesi,
sebbene questa permanesse nella mente di molti.
Darwin non considerò quasi
mai come la prima cellula fosse venuta in vita. Non menziona mai
questo tema nel suo libro L’origine delle Specie
pubblicato nel 1859. Anche quando gli esperimenti di Pasteur
rappresentarono un grosso problema al riguardo, egli a stento trattò
l’argomento. La sua sola spiegazione per l’origine della
vita fu che la prima cellula avrebbe potuto essere nata in un
“piccolo, stagno caldo”.
In una lettera a Joseph Hooker
nel 1871 Darwin scrisse:
Si dice spesso che ora sono
presenti tutte le condizioni per la prima produzione di un organismo
vivente, quali potrebbero essere sempre state presenti. Ma se noi
immaginiamo che in una qualche calda, piccola pozzanghera, in
presenza di tutti i tipi di sali di ammonio e di fosforo, luce,
calore, elettricità, ecc., si sia formato un composto proteico
pronto a sottostare a un cambiamento ancora più complesso , al
giorno d’oggi tale materia verrebbe istantaneamente divorata o
assorbita, cosa che non si sarebbe verificata prima che le creature
viventi si formassero.7
In breve Darwin sostiene che se
una piccola, calda pozzanghera avesse contenuto i materiali grezzi
necessari alla vita, essi avrebbero potuto formare le proteine, che
si sarebbero poi moltiplicate, per combinarsi a formare una cellula.
E aggiunge che tale formazione è impossibile al giorno d’oggi
nelle condizioni attuali del mondo, ma che avrebbe potuto verificarsi
in un precedente periodo.
Ambedue le affermazioni di Darwin
sono pure congetture, senza alcuna fondatezza scientifica.
Ma avrebbero ispirato quegli
evoluzionisti che vennero dopo di lui, spingendoli verso un lavoro
infruttuoso che sarebbe durato per più di un secolo.
Questo sforzo senza speranza si
basava su un errore difeso per secoli, che aveva ingannato anche
Darwin, e cioè che la vita è dovuta al puro caso e a
una legge di natura.
Da quel momento è
trascorso più di un secolo, e migliaia di scienziati hanno
provato a spiegare le origini della vita in termini di evoluzione.
Due scienziati che aprirono una
nuova strada in questa ricerca furono Alexander Oparin e J.B.S.
Haldane — uno russo, e l’altro inglese, ma entrambi
Marxisti.
Essi anticiparono la teoria
conosciuta come l’“evoluzione chimica” e
suggerirono, come Darwin aveva sognato di fare, che le molecole –
il materiale grezzo della vita – potessero, con l’aggiunta
di energia, evolversi spontaneamente e formare una cellula vivente.
A metà del XX secolo, la
teoria di Oparin e Haldane guadagnò terreno perché la
complessità della vita non era stata ancora capita. E un
giovane chimico di nome Stanley Miller diede un sostegno
apparentemente scientifico alla tesi dell’“evoluzione
chimica”.
Tratto da: C’era
una volta il darwinismo
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