NOTA REDAZIONALE. Gli evoluzionisti
sostengono che l'uomo deriva da un antenato scimmiesco. Giuseppe Sermonti,
genetista di fama internazionale, fa vedere che con quegli stessi dati si può
sostenere meglio la tesi opposta, cioè che è la scimmia a derivare dall'uomo.
Sermonti non difende l'interpretazione letterale della Genesi, ma abbiamo
riportato ugualmente il suo pensiero perché ci abbiamo trovato spunti
interessanti e per far vedere quanto siano fragili le prove e le argomentazioni
portate dagli evoluzionisti. Il libro è introvabile nel senso che è fuori
commercio, ma dovrebbe essere reperibile nelle biblioteche pubbliche meglio
fornite. Fra i libri di Sermonti ce sono altri due per noi particolarmente
significativi: uno, ormai anch'esso fuori commercio, in collaborazione con
Roberto Fondi ("Dopo Darwin", Rusconi, Milano, 1980); dell'altro abbiamo fatto
la recensione su questo sito ("Dimenticare Darwin", Rusconi, Milano
1999). Tutto il sottostante testo è da considerarsi virgolettato, essendo una
trascrizione letterale delle parti de "La luna nel bosco" che abbiamo ritenute
più importanti. Da ogni capitolo abbiamo preso qualcosa, tranne dai capp.11 e
12. Fra parentesi quadre abbiamo messo: 1) parti di testo saltate […]; 2) pagine
dalle quali è tratto il testo riportato [p. 5]; 3) e le note della redazione
[ndr]. Il sottostante estratto rappresenta il 10% circa del testo
originale.
di Giuseppe Frasca
1.
PROLOGO
Che
l'uomo derivi dalla scimmia non è stato mai dimostrato e, al limite, nessuno lo
ha mai detto, neanche Darwin. Eppure nessuna verità è, come questa, emblema
irrinunciabile del nostro secolo. Per il moderno qualunque altra ipotesi è
intollerabile. [p. 5]. […]. La tesi di questa mia operetta è che, per i
principi con cui la nostra scienza colloca le specie nel tempo e assegna
ascendenze e discendenze, l'uomo non ha mai avuto un ascendente scimmiesco ed è
semmai lo scimmione che è derivato dall'uomo. […] Il leit-motiv di tutto il mio
lavoro è dunque la grande antichità della nostra specie e la sua eterna
fanciullezza, in confronto alla rapida senescenza dello scimmione. […] Penso
infine che questa mia sia un'operetta consolante. L'uomo ne risulta infatti come
liberato da un odore di giardino zoologico, e ricondotto verso pure aurore
lontane, nei regni della favola e del mito, da dove è misteriosamente emerso,
con un processo che richiama piuttosto angeliche ascendenze che gravidanze
belluine [cioè animali, ndr]. [pp. 5-8]. […].
2. ADDIO ALL'EVOLUZIONISMO
[…].
Avevo letto ed ascoltato varie descrizioni di come la scimmia si sarebbe
trasformata in uomo e tutte mi erano sembrate di un livello scientifico così
misero che mi stupivo di sentirle sostenere da persone rispettabili. […]. Tutto
l'evoluzionismo mi appariva di questa cattiva stoffa, ed io lo tolleravo come
una condanna inevitabile perché essa si appoggiava all'autorità delle cattedre e
delle grandi case editrici, verso le quali mi avevano insegnato il rispetto.
[…]. Ciò che mi era particolarmente insopportabile era la risposta che gli
evoluzionisti opponevano ad ogni dubbio avanzato sulla loro intoccabile teoria.
La risposta era sempre: "Quale altra spiegazione puoi dare?". E così mi trovavo
costretto ad accettare una spiegazione insensata per il fatto di non avere una
mia personale insensatezza da opporvi. […]. In quegli anni mi accadeva di
viaggiare spesso in America e mi era capitato quasi per caso, tra le mani, un
numero di "Harper's Magazine" (febbraio 1976). Conteneva un articolo di Tom
Bethell dal titolo "Darwin's mistake", l'errore di Darwin. Vi lessi alcune
citazioni che mi fecero trattenere il respiro. […]. Quando rientrai in Italia
avevo già deciso di cominciare la mia lotta contro l'evoluzionismo. [pp. 11,12].
[…]. Curiosamente la paleontologia, la stratigrafia e l'anatomia comparata
erano state fondate da Georges Cuvier al principio dell'Ottocento. Proprio
Cuvier è sempre citato come il grande oppositore dell'evoluzione [...]. Quanto
meno l'evoluzionismo non risultava così immediatamente dai fatti, se colui che
aveva offerto i fatti al mondo, Georges Cuvier, lo rifiutava decisamente.
[p.13]. […]. Mentre formulavo queste riserve sulla realtà dell'evoluzione
incontrai, ad una conferenza, Roberto Fondi, un giovane paleontologo di Siena,
che era più radicale di me nel denunciare l'evoluzionismo. Fondi aveva una
documentazione che io, estraneo alla paleontologia, non avrei mai potuto
procurarmi. Era convinto, e convinse me, della fondamentale costanza della
varietà e complessità dei viventi dopo il Cambriano, e della inesistenza delle
forme intermedie tra i gruppi naturali. […]. [pp. 14,15]. Ricordo,
all'Accademia dei Lincei, dopo una conferenza del professor Guido [cioè Pietro,
ndr] Omodeo di Padova, una domanda dalla platea: "Come definirebbe
l'evoluzione?". Omodeo restò pensieroso per un po' e quindi dichiarò: "La teoria
che afferma la parentela tra i viventi". Povero vecchio edificio in rovina,
l'evoluzione era una teoria ridotta a spiegare la trasformazione attraverso il
più conservativo dei principi, la parentela. La parentela mantiene eguali, ma
cosa fa le differenze? [p. 16]. […].
3. UN CONVEGNO IN VATICANO
Nella primavera dell'82 mi giunse inaspettata una lettera
dell'Accademia Pontificia delle Scienze che mi invitava a partecipare ad un
gruppo di lavoro internazionale sui Recenti Sviluppi nell'Evoluzione dei
Primati. […]. Già dal principio del convegno era stato enunciato un profondo
disaccordo tra i paleontologi e i biologi molecolari. […]. Si trattava di
questo: i dati e i calcoli dei biologi molecolari avevano portato a concludere
che, quattro-cinque milioni di anni fa, le linee dell'uomo e dello scimpanzè si
erano separate. I paleontologi avevano invece nei loro ossari un primate
asiatico datato intorno a quindici milioni di anni fa, che avevano battezzato
Ramapithecus. Il ramapiteco era stato considerato abbastanza concordemente un
ominide, cioè un appartenente alla linea umana. Ma come poteva esistere un
ominide prima che la linea dell'uomo e quella dello scimpanzé si fossero
separate? Di fronte alle incongruenze dei suoi dati, la scienza difficilmente
ammette di aver perduto la verità, e preferisce provvisoriamente servirsi di una
verità biforcata, di un paio di ipotesi reciprocamente tolleranti, in attesa di
un compromesso.[…]. All'inizio del convegno il compromesso era già pronto: i
paleontologi erano già preparati a sacrificare il piccolo ramapiteco, a farlo
cadere dal ramo degli ominidi e degradarlo a ominoide, cioè a membro del più
vasto gruppo che raccoglie, oltre agli ominidi, gli scimmioni. […]. I biologi
molecolari dovevano anticipare la loro data a sette milioni di anni fa. La data
parve un decoroso compromesso, una riga tracciata ben al di sotto di tutti i
fossili a stazione eretta, che richiedeva dai biologi molecolari soltanto
l'ammissione che il loro "orologio" fosse un po' indietro, o che l'evoluzione
delle molecole dei primati superiori, per qualche strano motivo, fosse
rallentata, rispetto a quella degli altri viventi. [pp. 18-23]. […].
4. PERCHÉ NON PARLA
[…]. Quando Darwin trattò l'argomento dell'origine del
linguaggio, nel Discent of man (1871), dava l'origine dell'uomo da qualche forma
inferiore come condizione già accertata. […]. La sua tèsi di fondo è che non vi
è "differenza fondamentale tra l'uomo e i mammiferi più elevati per quanto
riguarda le facoltà mentali". Se è così, le doti superiori dell'uomo si sono
sviluppate per gradi, attraverso l'uso. […]. Darwin considera come "ereditati"
cioè come primitivi i caratteri posseduti in comune dai membri di un gruppo e
come modificati, quindi derivati, quelli posseduti in esclusiva da un membro
straordinario. La straordinarietà dell'uomo ne faceva l'essere derivato per
eccellenza, il meno primitivo, il più evoluto. L'idea che i progenitori degli
uomini e delle scimmie fossero sostanzialmente scimmie riposava su un
pregiudizio di fondo, che era quello della bestialità delle origini, e non
richiedeva di essere documentata. [pp. 30-32]. […]. È da queste poche
considerazioni che per oltre un secolo è rimasta agli uomini europei l'idea di
un'ascendenza scimmiesca, benché la premessa su cui essa si fondava, essere
l'uomo profondamente modificato e la scimmia sostanzialmente immodificata, non
trovasse sostegno né nell'anatomia né nella paleontologia, ma solo nella
sociologia e nell'agiografia. L'idea della derivazione dell'uomo dalla scimmia
aveva riposte radici mitiche e si collegava alla visione progressista della
società industriale dell'Ottocento inglese. […]. Ad un secolo di distanza da
Darwin […] il problema della parola e del pensiero è rimasto al di là dei
reperti anatomici e microscopici, ed anzi si è ulteriormente oscurato quando
l'analisi è scesa all'osservazione submicroscopica dei neuroni e delle loro
connessioni. […]. Cercheremo invano il pensiero e la parola nelle pieghe del
cervello, anche se il cervello si dimostra l'organo attraverso il quale essi
possono essere soppressi. È più degna impresa cercare l'uomo nell'anatomia del
pensiero e nelle circonvoluzioni dei suoi discorsi. La parola era prima
dell'uomo: la parola ha concepito l'uomo, gli ha dato un nome e una figura.
Tentiamo di capire come dalla parola è disceso l'uomo, poiché non ci sarà mai
dato di capire come dall'uomo sia discesa la parola. [pp.33-35]. […].
5. IL MARCHIO DI CAINO
[…]. La metafisica darwiniana poneva tutta la malvagità, tutta la
crudeltà, tutto il male alle origini, nel bestiale. Portando questo pensiero a
conseguenze estreme che certo non sono cristiane, Darwin collocava all'origine
il Diavolo, faceva dell'uomo un dèmone redento. "L'origine della nostra specie"
scrisse "è la causa delle nostre passioni malvage!! Il Diavolo sotto forma di
Babuino è nostro nonno!". Questa dottrina fu coltivata e approfondita dal cugino
di Darwin, il grande statistico Francio Galton. […]. Per quanto riguardava la
collettività mondiale, il rimedio biologico era il più drastico, ed era quello
di affermare la razza anglosassone rispetto a tutte le altre razze selvagge. Il
darwinismo sociale, di cui Galton fu uno dei precursori, adotterà questa
filosofia come dottrina della liberazione non tanto dai peccati quanto dai
peccatori. Così agisce la selezione naturale. Sigmund Freud attinse ampiamente
alla tradizione di pensiero evoluzionista, e collocò gli istinti primordiali,
come il sesso e l'aggressività, nelle tenebre dell'inconscio, elementi
dell'eredità irrazionale derivante all'uomo dalla sua ascendenza animale. [pp.
39,40].[…]. Il darwinismo, reincarnazione moderna della antica gnosi, non può
immaginare che un creare ragionevole, frammentario, per accumulazione ed
aggiunte, sotto il governo del caso o dell'inespressa intenzionalità della
natura. La negazione dei sei giorni toglie alla creazione l'incanto e il
mistero, e la trasferisce, all'ottavo giorno, nella bottega umana, entro le
furbesche leggi dell'economia. […]. Avere la propria radice in un dèmone maligno
è sembrato, all'uomo della civiltà degli strumenti, un'origine comunque più
realista e positiva che non una discesa da una creatura celeste, da un angelo.
[p. 45].
6. ASCESA O REGRESSO
Quando Charles Darwin pubblicò a Londra "L'origine delle specie",
in Germania due celebri embriologi si elevarono a esprimere la loro opinione. Il
vecchio Carl Ernst von Baer (1792-1876) aveva quasi settant'anni ed espresse
un'opinione decisamente contraria; Ernst Haeckel (1834-1919) non era ancora
trentenne e fu un entusiasta di Darwin, entro la cui teoria incorporò la sua
"Teoria della Ricapitolazione" che diventerà per il mondo il più solido
argomento e la più immediata illustrazione del darwinismo. Von Baer era
l'assertore delle famose "Leggi dello sviluppo" e la sua avversione per Darwin
fu esasperata dalla sua insofferenza per la legge di Haeckel e dal clamore che
l'aveva accolta. [..]. Le Leggi dello Sviluppo sono così espresse da von Baer:
1) I caratteri generali di un grande gruppo di animali appaiono nell'embrione
prima dei caratteri specifici; 2) Le caratteristiche meno generali si sviluppano
dalle più generali, e così via, sinché compaiono quelle più specializzate. In
altre parole, lo sviluppo è un processo di individualizzazione, procede dal
generale al particolare. [pp. 46-47]. […]. La legge di Haeckel, pomposamente
proclamata come "Legge Biogenetica Fondamentale", ha trovato un espressione
sintetica in questa epitome: "l'ontogenesi ricapitola la filogenesi", o, in
altri termini: "lo sviluppo embrionale ricapitola lo sviluppo evolutivo". […].
Così posta la legge della Ricapitolazione incontrava palesi incongruenze. I
viventi dovevano diventare sempre più enormi e sempre più decrepiti per poter
accogliere stadi aggiuntivi rispetto allo sviluppo di loro precursori. […]. Von
Baer rifiuta decisamente l'idea che i successivi stadi dell'embriogenesi
rappresentino la serie degli adulti delle forme inferiori. Non c'è mai, egli
osserva, una completa corrispondenza morfologica tra un embrione e qualche
antenato adulto […]. All'interno di un tipo, tuttavia, si poteva avere
l'impressione, l'illusione di una Ricapitolazione. Ma ciò si doveva al fatto che
gli animali inferiori rassomigliano di più al loro embrione che non quelli
superiori. [pp. 48-50]. […].
7. GIOVINEZZA DELL'UOMO
Alla fine dell'Ottocento l'uomo era visto, sulle tracce sacre
della prima Genesi e quelle profane di Darwin e di Haeckel, come la forma
vivente più alta e più evoluta. [p. 57]. […]. Considerare il pensiero umano
l'ultimo traguardo zoologico vuol dire immiserirlo a strumento di sopravvivenza.
Riferire poi quel pensiero alle dimensioni cerebrali è un abuso biologico,
poiché questa relazione non è mai stata dimostrata. […]. L'uomo moderno pensa
con un cervello di 1345 cm3 in media, mentre l'uomo abile, tre milioni di anni
fa, disponeva di appena la metà di tanto (645 cm3). Il suo corpo pesava però
press'a poco la metà di quello dei moderni e quindi egli poteva vantare un
cervello, come il nostro, che rappresentava i due centesimi della propria
carnalità. […]. Lo sviluppo cranico dell'uomo nei milioni di anni ha
sostanzialmente seguito quello del suo peso corporale e l'insistenza sul suo
valore assoluto è bugiarda e vale quanto offrire all'elefante mille volte più
intelletto che al topolino. [pp. 58,59]. […]. Non destinato ad alcuna
funzione speciale, il corpo umano è dedicato all'indefinito, e in questo destino
ineffabile, di ascesa o di caduta, brilla la scintilla del divino. […]. Tutte le
ragioni scientifiche e tutta la filosofia che ci obbligava all'ascendenza
scimmiesca erano cadute. Innanzitutto, per quanto ciò possa valere, la scimmia
risultava, nella documentazione fossile, più recente dell'uomo. All'uomo abile,
per tacere dell'uomo australe, era assegnata la venerabile età di almeno quattro
milioni di anni, mentre i fossili degli scimmioni erano tutti recenti e non
superavano in nessun caso il milione di anni. [p. 64]. […]. Quando le forme
si spostano verso i confini del loro areale esse sono costrette in angustie che
le obbligano a soluzioni specializzate e le impoveriscono geneticamente.
Emergono i caratteri recessivi, cioè i segni della perdita di funzione di alcuni
geni, non più chiamati ad operare, in una condizione di limitata plasticità. La
forma specializzata rappresenta un impoverimento biologico rispetto alla forma
generale. La specializzazione è in altre parole un processo irreversibile che
non può regredire verso la generalità. La selezione naturale abbandona gli
adattati alle necessità locali, dove si destreggiano meglio organismi
biologicamente più poveri. […]. Un ritorno dallo specializzato al generale è
biologicamente impossibile. La trasformazione della scimmia in uomo è un
percorso proibito, è il ritorno indietro dell'irreversibile. [p. 65].
[…].
8. IL CAVALIERE NERO
[…]. La graduale evoluzione dei cavalli fu narrata per primo dal
russo V. O. Kowalevskij oltre cento anni fa (1874), e dopo un secolo, nonostante
essa fosse stata smentita, la si racconta ancora negli stessi termini. […]. La
storia del cavallo, come ce la rappresentano gli evoluzionisti, somiglia alla
storia che è stata ricostruita per il suo cavaliere. […]. Piccolo, goffo e
scervellato sulle prime, via via cresce, migliora l'andatura, sviluppa il
cervello ed emerge alla fine come "White Anglo-Saxon Protestant". […]. Gli
equidi non si sono gradualmente trasformati, ma sono comparsi in modo esplosivo,
a partire da un'origine comune remota e ineffabile. [pp. 71-73].[…]. La
contemporaneità dei vari tipi di Ominidi è emersa drammaticamente dagli scavi
condotti da Richard Leakey nella località di Koobi Fora, presso il lago Turkana
(Lago di Rodolfo). […]. Accanto alle considerazioni paleontologiche, sono i
confronti anatomici che portano alla conclusione che l'uomo australe, l'abile e
l'eretto non possono essere i nostri ascendenti. Essi sono più differenziati,
più derivati, più specializzati di noi. Si può al più supporre che essi siano
contemporanei a noi, sorti insieme all'uomo moderno dal ceppo comune a tutti i
primati, dalla grande madre di uno dei più antichi ordini di mammiferi. Porre
gli uomini fossili in successione progressiva, scrive Genet-Varcin,
"significherebbe reiterare l'errore denunciato a proposito degli equidi, ma
cento anni più tardi, che è grave! […]". L'uomo a caratteri più generalizzati
che conosciamo è l'uomo attuale, e siamo autorizzati a presumere che egli, o una
sua più diafana immagine, sia stato presente sin dall'origine della varia
progenie di nanetti che abitava la terra milioni e milioni d'anni fa […]. [pp.
76-78].
9. LE MOLECOLE DI PETER PAN
[…]. L'uomo è una specie poco evoluta, essa, all'opposto di
quanto aveva pensato Darwin, non si è modificata che poco nei milioni di anni,
mentre gli scimmioni subivano rilevanti trasformazioni. All'analisi molecolare e
cromosomica l'uomo appare la specie più conservatrice, l'immutabile,
l'antichissima. […]. Il suo remoto ascendente non va cercato fuori nel mondo, ma
dentro di lui, nei ricordi perduti di una primissima infanzia, dove il tempo era
come sospeso, incantato, e regnava il possibile come "le ancor non deste
intenzioni di Dio". [pp. 87, 88].
10. UNA CAPRIOLA FOSSILE
Tutto quanto ho scritto nei capitoli che precedono porta ad una
conclusione che in termini brutali può essere esposta dicendo che lo scimpanzé è
derivato dall'uomo. In termini più garbati si può dire che l'antenato comune di
uomo e scimpanzé somigliava molto all'uomo, e che i tratti caratteristici dello
scimpanzé sono apparsi posteriormente. […]. Questo è esattamente il contrario di
ciò che Darwin aveva affermato. [p. 89]. […]. Non è stata la foresta a
formare lo scimpanzé, ma la forma dello scimpanzé a relegare questo sugli alberi
della foresta. […]. Nella sua disarmonia, lo scimpanzé è tuttavia una forma
coerente e ben congegnata e non può essere nata dalla distrazione o dalla
stanchezza della natura. Egli ha una sua tipicità e un suo stile che in qualche
modo doveva essere predisposto. [p. 91,92]. […]. Cercare l'origine dei
viventi tra i fossili è come cercare l'origine dei vasi pompeiani tra i cocci
preservati nei secoli, mentre l'origine era altrove, nella bottega del vasaio,
dove la molle creta era modellata sulla ruota paziente del tornio. [p. 93].
[…].
13. EPILOGO
Questo libro non è dedicato all'origine dell'uomo, la quale viene
solo a perdersi nel passato e nel mistero. Da quale spiritello o folletto
arboreo, da quale angelo terreno l'uomo sia fisicamente derivato è una questione
che non ho voluto né potuto approfondire. […]. Più che discendere dagli
antropomorfi, l'uomo è un antropomorfo, più che discendere dai primati egli è un
primate, un mammifero, un vertebrato. […]. Come la Bibbia dice, Iddio fece il
nostro corpo a sua immagine e somiglianza. L'anima che soffiò in noi era l'anima
dell'innocenza. Perduta la sua semplicità originale, l'uomo si è avviato verso
una vita pensata e realistica, ha portato la sua anima verso un'umana maturità,
verso una triste, accigliata vecchiaia. L'uomo accompagna l'eterna fanciullezza
delle sue forme con la senilità della sua mente, e in questo è veramente il
vecchio tra tutti i viventi. Nell'angelico corpo dell'uomo alberga un essere
stanco e intristito da millenni di astrazioni, furbizie e soperchierie. [pp.
109-111]. […].
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