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QUALCHE OBIEZIONE ALL' EVOLUZIONISMO……….spiegata a mia nipote Luna
di Fernando De Angelis - 04/02/11 -
 

QUALCHE OBIEZIONE ALL’EVOLUZIONISMO

spiegata a mia nipote Luna

(14/1/11-b)



1. PREMESSA

Mi avrebbe fatto piacere avere in classe le mie due nipoti Sara e Silvia, ma non è successo. Ora è un decennio che sono in pensione, intanto Luna (figlia di Sara) è cresciuta e frequenta il secondo anno di ragioneria: proprio quella scuola dove ho a lungo insegnato Scienze naturali e Geografia. Recentemente c’è stata l’occasione per riprendere il dialogo con Luna e le accennato alle mie convinzioni anti-darwiniste. Luna si è un po’ incuriosita e allora l’ho presa come una sfida da non ignorare.

Nel 2009 è uscito il mio libro “Cultura e Bibbia” (Gribaudi) ed è quella la mia risposta alla questione evoluzione/creazione, ma è troppo ampia per Luna e allora colgo l’occasione per immaginarmi di nuovo in classe, realizzando in qualche modo l’antico desiderio di far lezione ad una mia nipote.

Sull’evoluzionismo a scuola applicavo (e applicherò ora) due criteri: uso del libro di testo e oggettività delle argomentazioni. Con un obiettivo dichiarato: far vedere agli studenti che la questione dell’origine dei viventi, sul piano scientifico, non solo non è risolta, ma appare sempre più irrisolvibile, perciò la risposta che ciascuno necessariamente si deve dare, dipende soprattutto dalle convinzioni di partenza (i presupposti) con i quali si comincia a ragionare.



TESTO SCOLASTICO DI RIFERIMENTO:

A. Gainotti e A. Modelli, “Scienze della natura”, Zanichelli, terza edizione, 2008. In particolare “Unità 3, La teoria dell’evoluzione” (pp. C50-C67), facente parte della “sezione C, La varietà della vita”.



2. MESCOLANZA DI TESI DIVERSE

Se si sostengono contemporaneamente tesi diverse o perfino contrapposte, si può dare l’impressione di aver dimostrato tutto risolvendo solo il problema più semplice, o addirittura quello contrario! Il libro di Darwin si intitola “L’origine delle specie…” e l’origine più difficile da spiegare è quella della PRIMA forma vivente, cioè l’origine della vita, ma su questo aspetto Darwin e gli evoluzionisti tendono a sorvolare. C’è poi da spiegare come si è passati dalla prima forma di vita unicellulare e acquatica, agli organismi pluricellulari acquatici e poi a quelli pluricellulari terrestri. Com’è potuta comparire la prima cellula? Come si è arrivati ai pesci, come hanno fatto certi pesci a diventare anfibi (rane)? Come hanno fatto certi anfibi a diventare rettili, poi uccelli e infine mammiferi? Il prodursi di questi cambiamenti è totalmente diverso dal prodursi dei cambiamenti all’interno di una specie (le diverse razze di cani, per esempio). Bisogna infatti spiegare come compaiono organi nuovi e non basta dire che si modificano organi vecchi, cioè già esistenti.

Insomma, bisogna distinguere la macroevoluzione (cioè una evoluzione che produrrebbe specie molto diverse da quella di partenza e con organi nuovi), dalla microevoluzione (cioè dalle modifiche di organi già esistenti e che non cambiano le strutture di base della specie). Siccome poi la tesi fondamentale dell’evoluzionismo è quella di un aumento della complessità, allora è importante non metterla insieme con quei cambiamenti che comportano una perdita della complessità e che chiameremo perciò involuzione.

Mentre la microevoluzione e la involuzione sono chiaramente dimostrate e constatabili (evoluzione osservata), la macroevoluzione non è stata mai vista e dimostrata (evoluzione supposta). La domanda che perciò ci poniamo è se il testo scolastico in esame fornisce prove di macroevoluzione (per esempio, passaggio da rettili a uccelli o da mammiferi terresti a mammiferi acquatici): d’ora in poi, comunque, per evoluzione intenderemo soprattutto la macroevoluzione. I tre fenomeni (microevoluzione, involuzione e macroevoluzione) sono insomma chiaramente distinti e non si possono portare esempi di microevoluzione (o peggio, di involuzione) come se dimostrassero la macroevoluzione. Per esempio, se viene fuori una nuova razza di pecore con le gambe sensibilmente più corte, e quindi non in grado di saltare i recinti, non siamo in presenza di una macroevoluzione, ma di una involuzione. E di involuzione si tratta pure quando, da un normale moscerino della frutta, ne nasce qualcuno con le ali deformate o, addirittura, senza ali.

3. LE “PROVE” RACCOLTE NEL VIAGGIO SULLA BEAGLE

A p. C53 è riportato il noto viaggio di Darwin, iniziato nel 1831, con la nave Beagle, «che salpava per un viaggio di 5 anni con lo scopo di esplorare le coste dell’America del Sud». Sarebbero i fatti osservati durante questo viaggio a spingere poi Darwin a formulare la sua teoria scientifica. Il testo prosegue poi osservando che «anche se le prove a sostegno dell’evoluzione delle specie diventavano sempre più convincenti, egli era ben consapevole di quanto questa idea fosse dirompente sia dal punto di vista religioso sia culturale». È per questo che non le avrebbe pubblicate, decidendosi a farlo solo dopo 23 anni (1858) quando Wallace, avendo messo per scritto idee simili, lo costrinse a venire allo scoperto (p. C54).

Qui il parallelo fra Darwin è Galilei è solo adombrato, mentre in molti altri testi è reso esplicito: il paragone è però improponibile. Nell’Inghilterra di Darwin, infatti, si era radicata da due secoli una democrazia parlamentare e un pluralismo religioso che consentivano di esprimersi con grande libertà; anzi il dissentire dalla maggioranza (essere cioè “non conformisti” o “anticonformisti”) era da non pochi reclamato come un titolo di merito. La controprova evidente di tutto ciò è che, quando Darwin pubblicò il suo libro (1859), ottenne un grande successo e grandi onori, perché le idee di Darwin seguivano la tendenza della società inglese di quel tempo, piuttosto che essere di opposizione. Quando si portano motivi inconsistenti, c’è da supporre che si vogliano nascondere quelli veri ed il vero motivo, per il quale Darwin rischiava di morire senza aver esposto le sue grandi scoperte scientifiche, è che le prove accumulate erano insufficienti per dimostrare le sue tesi, perciò aspettava nella speranza di poterne trovare di meglio. Ma sull’insufficienza delle prove portate da Darwin ci torneremo.



4. LA SELEZIONE ARTIFICIALE

COME “PROVA” DELL’EVOLUZIONE NATURALE?

Qui il ragionamento è contro ogni logica. Scrive il testo: «Darwin sapeva, per esempio, che gli allevatori di piccioni (o colombi) avevano ottenuto in poco tempo, a partire dalla specie selvatica Columba livia, varietà molto diverse fra loro». Darwin allora «si pose questo problema: esiste, in natura, un equivalente della selezione artificiale?» Rispondendosi che esiste perché non tutti i figli possono sopravvivere e perciò emerge la “selezione naturale”. Non porta però esempi di selezione naturale che facciano vedere come da certe forme se ne possano ottenere altre diverse. Considerare i dati osservati in ambiente artificiale come prova di ciò che sarebbe avvenuto in ambiente naturale è un’assurdità logica che non dovrebbe essere presa nemmeno in considerazione. C’è poi un’altra questione: ci sono tante razze di cani perché quelle che deviano dalle precedenti vengono protette e selezionate dall’uomo, le varietà di lupo sono invece ristrettissime perché, quando nasce un lupo che devia da quello normale, risulta meno efficiente e finisce per soccombere. In natura, insomma, il tipo nuovo viene ostacolato e non protetto. L’esempio dei piccioni portato da Darwin, poi, è un esempio di microevoluzione, non di macroevoluzione, perciò non dimostra quello che dovrebbe dimostrare.

C’è però un’altra assurdità logica della quale in genere non ci si accorge ed è che la selezione tende a diminuire la variabilità genetica complessiva e tutt’al più separa geni già esistenti, perciò non può essere la causa dell’aumento della variabilità. “Selezionare” significa “eliminare” e perciò non può essere la selezione (naturale o artificiale) a dimostrare l’evoluzione (attraverso la quale comparirebbero caratteri nuovi). Il testo infatti riconosce che «L’ambiente, mediante la selezione naturale, non causa i mutamenti negli organismi» (p. C56) ma poi non chiarisce quale sarebbe la causa e passa ad un altro argomento. Se non si fa attenzione, allora, si ha l’impressione che sia stato risolto il problema di come siano spuntate le ali ad un serpente facendolo diventare un uccello, mentre il problema di come possano emergere caratteri veramente nuovi e che aumentino la complessità non è stato nemmeno affrontato! Certo, un evoluzionista dirà che la variabilità è data dalle mutazioni, ma lì entriamo in un’altra questione con la necessità di mettere in evidenza altri problemi: dato però che in queste pagine il testo scolastico non ne parla, evitiamo anche noi di affrontare l’argomento.

Subito dopo, nella stessa pagina C56, troviamo ben espresso il metodo della mescolanza di concetti diversi (vedere punto 2). C’è infatti scritto che gli esseri viventi «diventano più adatti, e basta: la degenerazione dei parassiti, che divengono incapaci di vivere senza l’ospite, o la cecità degli animali cavernicoli sono perfette quanto l’elegante corsa di una gazzella». Certo, se definisco l’evoluzione come il divenire “più adatti”, allora perdere la funzionalità degli occhi equivale al vederli comparire in una specie che non li possedeva, ma vedere un animale cieco (involuzione), dimostra che una struttura di una complessità enorme come l’occhio può comparire per caso (evoluzione)???

5. A VOLTE IL TITOLO MASCHERA IL CONTENUTO

I paragrafi 6 e 7 (pp. C58 e C59) danno l’impressione di risolvere veramente la questione, perché si intitolano “La selezione naturale all’opera” e “L’origine di nuove specie”. Poi però si parla della solita farfalla Biston betularia nella quale prevarrebbe una varietà più scura o più chiara a seconda dell’ambiente. Il testo è onesto nel riconoscere che «non si è trattato, è vero, di grandi cambiamenti: non si è formata alcuna specie nuova», ma poi usa il solito trucco e conclude che «ciò nonostante si è trattato di un vero processo evolutivo». Se gli evoluzionisti si ostinano a far vedere esempi che non dimostrano ciò che veramente dovrebbero dimostrare, c’è da pensare che di esempi migliori non ne abbiano (fra l’altro, nella letteratura specializzata si è ormai chiarito che i dati sui cambiamenti della Biston betularia sono stati manipolati da chi li ha introdotti, ma come in altri casi, anche gli argomenti “scaduti” continuano irrefrenabilmente a circolare).

Sulla questione dell’origine di nuove specie vengono portati due giusti esempi: quello del pipistrello (che sarebbe una specie di topo adattatosi al volo) e quello di un tipo di pesce diventato anfibio. Solo che oggi esistono topi comuni e pipistrelli, pesci e anfibi, mentre non si vedono quei numerosissimi passaggi intermedi che il darwinismo richiede. Gli “anelli mancanti”, insomma, continuano a mancare: nessuno però può dimostrare che non sono mai esistiti, perché si può sempre obiettare che non si sono ancora trovati. Dato comunque che il mondo è stato ampiamente setacciato e dato che si tratta di animali provvisti di ossa (e perciò più facilmente di altri reperibili in forma fossile), è fondato il sospetto che non solo non siano stati ancora trovati, ma che non siano mai esistiti.



 

Sito a cura dell'A.I.S.O. Associazione Italiana Studi sulle Origini - aggiornato il 31/01/2014 

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