QUALCHE
OBIEZIONE ALL’EVOLUZIONISMO
spiegata
a mia nipote Luna
(14/1/11-b)
1.
PREMESSA
Mi avrebbe
fatto piacere avere in classe le mie due nipoti Sara e Silvia, ma non
è successo. Ora è un decennio che sono in pensione,
intanto Luna (figlia di Sara) è cresciuta e frequenta il
secondo anno di ragioneria: proprio quella scuola dove ho a lungo
insegnato Scienze naturali e Geografia. Recentemente c’è
stata l’occasione per riprendere il dialogo con Luna e le
accennato alle mie convinzioni anti-darwiniste. Luna si è un
po’ incuriosita e allora l’ho presa come una sfida da non
ignorare.
Nel 2009 è
uscito il mio libro “Cultura e Bibbia” (Gribaudi) ed è
quella la mia risposta alla questione evoluzione/creazione, ma è
troppo ampia per Luna e allora colgo l’occasione per
immaginarmi di nuovo in classe, realizzando in qualche modo l’antico
desiderio di far lezione ad una mia nipote.
Sull’evoluzionismo
a scuola applicavo (e applicherò ora) due criteri: uso del
libro di testo e oggettività delle argomentazioni. Con un
obiettivo dichiarato: far vedere agli studenti che la questione
dell’origine dei viventi, sul piano scientifico, non solo non è
risolta, ma appare sempre più irrisolvibile, perciò la
risposta che ciascuno necessariamente si deve dare, dipende
soprattutto dalle convinzioni di partenza (i presupposti) con i quali
si comincia a ragionare.
TESTO
SCOLASTICO DI RIFERIMENTO:
A.
Gainotti e A. Modelli, “Scienze della natura”,
Zanichelli, terza edizione, 2008. In particolare “Unità
3, La teoria dell’evoluzione” (pp. C50-C67), facente
parte della “sezione C, La varietà della vita”.
2.
MESCOLANZA DI TESI DIVERSE
Se
si sostengono contemporaneamente tesi diverse o perfino
contrapposte, si può dare l’impressione di aver
dimostrato tutto risolvendo solo il problema più
semplice, o addirittura quello contrario! Il libro di
Darwin si intitola “L’origine delle specie…”
e l’origine più difficile da spiegare è quella
della PRIMA forma vivente, cioè l’origine della vita, ma
su questo aspetto Darwin e gli evoluzionisti tendono a sorvolare. C’è
poi da spiegare come si è passati dalla prima forma di vita
unicellulare e acquatica, agli organismi pluricellulari
acquatici e poi a quelli pluricellulari terrestri.
Com’è potuta comparire la prima cellula? Come si è
arrivati ai pesci, come hanno fatto certi pesci a diventare anfibi
(rane)? Come hanno fatto certi anfibi a diventare rettili, poi
uccelli e infine mammiferi? Il prodursi di questi cambiamenti
è totalmente diverso dal prodursi dei cambiamenti
all’interno di una specie (le diverse razze di cani, per
esempio). Bisogna infatti spiegare come compaiono organi
nuovi e non basta dire che si modificano organi vecchi,
cioè già esistenti.
Insomma,
bisogna distinguere la macroevoluzione (cioè una
evoluzione che produrrebbe specie molto diverse da quella di
partenza e con organi nuovi), dalla microevoluzione
(cioè dalle modifiche di organi già esistenti e
che non cambiano le strutture di base della specie). Siccome poi la
tesi fondamentale dell’evoluzionismo è quella di un
aumento della complessità, allora è importante
non metterla insieme con quei cambiamenti che comportano una perdita
della complessità e che chiameremo perciò involuzione.
Mentre
la microevoluzione e la involuzione sono chiaramente
dimostrate e constatabili (evoluzione osservata), la
macroevoluzione non è stata mai vista e dimostrata
(evoluzione supposta). La domanda che perciò ci poniamo
è se il testo scolastico in esame fornisce prove di
macroevoluzione (per esempio, passaggio da rettili a uccelli o
da mammiferi terresti a mammiferi acquatici): d’ora in poi,
comunque, per evoluzione intenderemo soprattutto la macroevoluzione.
I tre fenomeni (microevoluzione, involuzione e
macroevoluzione) sono insomma chiaramente distinti e non si
possono portare esempi di microevoluzione (o peggio, di involuzione)
come se dimostrassero la macroevoluzione. Per esempio, se viene
fuori una nuova razza di pecore con le gambe sensibilmente più
corte, e quindi non in grado di saltare i recinti, non siamo in
presenza di una macroevoluzione, ma di una involuzione. E di
involuzione si tratta pure quando, da un normale moscerino della
frutta, ne nasce qualcuno con le ali deformate o, addirittura, senza
ali.
3. LE “PROVE”
RACCOLTE NEL VIAGGIO SULLA BEAGLE
A
p. C53 è riportato il noto viaggio di Darwin, iniziato nel
1831, con la nave Beagle, «che salpava per un viaggio di
5 anni con lo scopo di esplorare le coste dell’America del
Sud». Sarebbero i fatti osservati durante questo viaggio
a spingere poi Darwin a formulare la sua teoria scientifica.
Il testo prosegue poi osservando che «anche se le prove a
sostegno dell’evoluzione delle specie diventavano sempre più
convincenti, egli era ben consapevole di quanto questa idea fosse
dirompente sia dal punto di vista religioso sia culturale». È
per questo che non le avrebbe pubblicate, decidendosi a farlo solo
dopo 23 anni (1858) quando Wallace, avendo messo per
scritto idee simili, lo costrinse a venire allo scoperto (p. C54).
Qui
il parallelo fra Darwin è Galilei è solo adombrato,
mentre in molti altri testi è reso esplicito: il paragone è
però improponibile. Nell’Inghilterra di Darwin, infatti,
si era radicata da due secoli una democrazia parlamentare e un
pluralismo religioso che consentivano di esprimersi con grande
libertà; anzi il dissentire dalla maggioranza (essere cioè
“non conformisti” o “anticonformisti”) era da
non pochi reclamato come un titolo di merito. La controprova evidente
di tutto ciò è che, quando Darwin pubblicò il
suo libro (1859), ottenne un grande successo e grandi onori, perché
le idee di Darwin seguivano la tendenza della società
inglese di quel tempo, piuttosto che essere di opposizione.
Quando si portano motivi inconsistenti, c’è da supporre
che si vogliano nascondere quelli veri ed il vero motivo, per il
quale Darwin rischiava di morire senza aver esposto le sue grandi
scoperte scientifiche, è che le prove accumulate erano
insufficienti per dimostrare le sue tesi, perciò aspettava
nella speranza di poterne trovare di meglio. Ma sull’insufficienza
delle prove portate da Darwin ci torneremo.
4.
LA SELEZIONE ARTIFICIALE
COME
“PROVA” DELL’EVOLUZIONE NATURALE?
Qui
il ragionamento è contro ogni logica. Scrive il testo: «Darwin
sapeva, per esempio, che gli allevatori di piccioni (o colombi)
avevano ottenuto in poco tempo, a partire dalla specie selvatica
Columba livia, varietà molto diverse fra loro».
Darwin allora «si pose questo problema: esiste, in natura, un
equivalente della selezione artificiale?» Rispondendosi che
esiste perché non tutti i figli possono sopravvivere e perciò
emerge la “selezione naturale”. Non porta però
esempi di selezione naturale che facciano vedere come da certe
forme se ne possano ottenere altre diverse. Considerare i dati
osservati in ambiente artificiale come prova di ciò che
sarebbe avvenuto in ambiente naturale è un’assurdità
logica che non dovrebbe essere presa nemmeno in considerazione. C’è
poi un’altra questione: ci sono tante razze di cani perché
quelle che deviano dalle precedenti vengono protette e selezionate
dall’uomo, le varietà di lupo sono invece ristrettissime
perché, quando nasce un lupo che devia da quello normale,
risulta meno efficiente e finisce per soccombere. In natura,
insomma, il tipo nuovo viene ostacolato e non protetto. L’esempio
dei piccioni portato da Darwin, poi, è un esempio di
microevoluzione, non di macroevoluzione, perciò
non dimostra quello che dovrebbe dimostrare.
C’è
però un’altra assurdità logica della quale in
genere non ci si accorge ed è che la selezione tende a
diminuire la variabilità genetica complessiva e tutt’al
più separa geni già esistenti, perciò non
può essere la causa dell’aumento della
variabilità. “Selezionare” significa
“eliminare” e perciò non può essere la
selezione (naturale o artificiale) a dimostrare l’evoluzione
(attraverso la quale comparirebbero caratteri nuovi). Il testo
infatti riconosce che «L’ambiente, mediante la selezione
naturale, non causa i mutamenti negli organismi» (p.
C56) ma poi non chiarisce quale sarebbe la causa e passa ad un altro
argomento. Se non si fa attenzione, allora, si ha l’impressione
che sia stato risolto il problema di come siano spuntate le ali ad un
serpente facendolo diventare un uccello, mentre il problema di come
possano emergere caratteri veramente nuovi e che aumentino la
complessità non è stato nemmeno affrontato! Certo,
un evoluzionista dirà che la variabilità è data
dalle mutazioni, ma lì entriamo in un’altra questione
con la necessità di mettere in evidenza altri problemi: dato
però che in queste pagine il testo scolastico non ne parla,
evitiamo anche noi di affrontare l’argomento.
Subito dopo,
nella stessa pagina C56, troviamo ben espresso il metodo della
mescolanza di concetti diversi (vedere punto 2). C’è
infatti scritto che gli esseri viventi «diventano più
adatti, e basta: la degenerazione dei parassiti, che divengono
incapaci di vivere senza l’ospite, o la cecità degli
animali cavernicoli sono perfette quanto l’elegante corsa di
una gazzella». Certo, se definisco l’evoluzione come il
divenire “più adatti”, allora perdere la
funzionalità degli occhi equivale al vederli comparire in una
specie che non li possedeva, ma vedere un animale cieco
(involuzione), dimostra che una struttura di una complessità
enorme come l’occhio può comparire per caso
(evoluzione)???
5. A VOLTE
IL TITOLO MASCHERA IL CONTENUTO
I
paragrafi 6 e 7 (pp. C58 e C59) danno l’impressione di
risolvere veramente la questione, perché si intitolano “La
selezione naturale all’opera” e “L’origine di
nuove specie”. Poi però si parla della solita farfalla
Biston betularia nella quale prevarrebbe una varietà
più scura o più chiara a seconda dell’ambiente.
Il testo è onesto nel riconoscere che «non si è
trattato, è vero, di grandi cambiamenti: non si è
formata alcuna specie nuova», ma poi usa il solito trucco e
conclude che «ciò nonostante si è trattato di un
vero processo evolutivo». Se gli evoluzionisti si ostinano a
far vedere esempi che non dimostrano ciò che veramente
dovrebbero dimostrare, c’è da pensare che di esempi
migliori non ne abbiano (fra l’altro, nella letteratura
specializzata si è ormai chiarito che i dati sui cambiamenti
della Biston betularia sono stati manipolati da chi li ha
introdotti, ma come in altri casi, anche gli argomenti “scaduti”
continuano irrefrenabilmente a circolare).
Sulla
questione dell’origine di nuove specie vengono portati due
giusti esempi: quello del pipistrello (che sarebbe una specie di topo
adattatosi al volo) e quello di un tipo di pesce diventato anfibio.
Solo che oggi esistono topi comuni e pipistrelli, pesci e anfibi,
mentre non si vedono quei numerosissimi passaggi intermedi che il
darwinismo richiede. Gli “anelli mancanti”, insomma,
continuano a mancare: nessuno però può dimostrare che
non sono mai esistiti, perché si può sempre
obiettare che non si sono ancora trovati. Dato comunque che il
mondo è stato ampiamente setacciato e dato che si tratta di
animali provvisti di ossa (e perciò più facilmente di
altri reperibili in forma fossile), è fondato il sospetto che
non solo non siano stati ancora trovati, ma che non siano mai
esistiti.
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