Premessa
Su
gentile richiesta di Arianna editrice, riporto un mio studio col
quale aprivo il numero speciale 1/2007, da me curato, della rivista
Atrium. Ringrazio per l’autorizzazione a diffondere tale
testo
introduttivo
l’editore Adytum di Trento (atrium48@tiscalinet.it).
Nonostante
siano passati tre anni, quel volumetto di 200 pagine dedicate
all’evoluzionismo, e inizialmente editato in poche centinaia di
copie, continua a essere richiesto, ed è ormai giunto alla
quarta ristampa. Fu molto gradevole organizzarlo con i prestigiosi
contributi del citogenetista Antonio Lima-de-Faria, padre della
teoria dell’autoevoluzione, dell’esperto di storia del
pensiero esoterico Massimo Marra, che dedicò pagine
interessantissime al paradossale sostegno offerto dalla teosofia alla
diffusione del pensiero di Darwin, del filosofo marxista Costanzo
Preve, del cardinale cattolico Christoph Schönborn, del
genetista antievoluzionista Giuseppe Sermonti, e del biologo e
studioso Giovanni Monastra. Quando chiusi il numero, ricordo quanto
fosse chiaro che le cose stavano ormai sbloccandosi nel pensiero
biologico. Soltanto qualche anno prima, per aver tradotto e curato il
classico volume di Lima-de-Faria, Evoluzione senza Selezione,
ebbi ancora l’onore di ricevere qualche contumelia. Nel 2007
l’aria invece era già cambiata, come mostrò bene
due anni dopo il carattere ritualistico e ingessato delle iniziative
per il bicentenario di Darwin. La parte ardua della critica
all’ideologia evoluzionistica era compiuta, si assisteva alla
maturazione del lavoro pressoché solitario e veramente
durissimo di Giuseppe Sermonti, che già combatteva quando io
appena nascevo. Perciò smisi di occuparmene, e feci bene.
Ormai molte delle cose che quattro briganti del pensiero critico
scrivevano su samiszdat improbabili, le pubblica Feltrinelli –
e il buffo è che c’è ancora qualcuno, oggi, che
arrota i denti, come si è visto dalle reazioni scomposte,
volgari, e tutto sommato idiote, al volumetto di Massimo Piattelli
Palmarini e Jerry Fodor, Gli errori di Darwin, uscito
quest’anno per il benemerito editore milanese. Nessuno tra i
critici, nel fuoco di paglia che hanno acceso sui quotidiani
nazionali, ha colto il problema posto dai due scienziati cognitivi,
quello della forma. Si sono così udite molte fiacche condanne,
accuse di scelleratezza,
cecità
e apostasia, ma pochi argomenti nel merito, ad angosciata difesa
dell’altare della selezione naturale. Si è così
visto uno scienziatone questuare in giro le firme dei colleghi per
una “petizione”
contro
le tesi del libro, reo di bestemmiare la santa selezione. O un altro,
che, preso da terrore, scriveva in giro di essere d’accordo con
Piattelli Palmarini, perché tutti ormai ammettono che la
selezione
naturale non è poi così importante, e che non è
accaduto alcuno scisma, dunque, al quale prestare attenzione. O un
altro ancora, affrettarsi a smentire una recensione favorevole su un
noto
giornale
di sinistra, giacché, secondo cert’altri noti giornali
di sinistra, il darwinismo è la fiaccola dell’avvenire
contro la reazione.
L’interesse
per l’epistemologia, la sociologia della scienza,
l’intenzionalità e la forma mi ha condotto a dedicare
oltre dieci anni di studio alle critiche dell’evoluzionismo
standard. Con
Giuseppe
Sermonti ho avuto la fortuna di indagare poi il problema della forma
anche nella madre di tutte le scienze, la scrittura. Ora le stesse
forme, dove ricorre il tema dell’autoevoluzione, le studio
nelle
conformazioni delle città e dei prodotti architettonici, con
il matematico-urbanista Nikos Salingaros. Sono naturalmente contento
del lavoro di Piattelli Palmarini e Jerry Fodor, due
pensatori
intelligenti e stimolanti, che alla critica della selezione sono
giunti attraverso la linguistica, adoperando molte delle
pubblicazioni uscite in questi ultimi quattro anni in
biomeccanica,
biochimica, matematica, biologia, fisica, neuropsicologia, e altre
discipline correlate al ruolo dei vincoli morfofunzionali nei viventi
(da Cherniak a Bejan, da Buchanan a Kitano, da
Lewontin
a West, Brown ed Enquist). Sono inoltre felice che uno degli autori
sia un italiano illustre ed elegante, il cui curriculum onora il
nostro Paese. Molte delle loro conclusioni le aveva tratte
vent’anni
prima il vecchio Lima-de-Faria, un gigante inascoltato, con le sue
dodici ore al giorno in laboratorio, sul microscopio elettronico.
Piattelli Palmarini e Fodor hanno seguito altri percorsi,
sulla
scia razionalistica di Noam Chomsky. Dopo tanti anni di fanatismo,
anche se non me ne occupo più, sono insomma laicamente
contento che il tabù cada a pezzi, e non mi turba che ciò
avvenga
con un po’ di rumore. Tanto era dovuto. Purtroppo, domani, non
si troverà una persona col coraggio di ammettere di aver
insultato la ragione mentre se ne accampava l’esclusiva
ideologica,
spesso
davanti ai pochi che veramente ne cercarono un’applicazione
libera, e dei quali leggerete alcuni nomi nel mio modesto saggetto.
Il
testo è praticamente lo stesso dell’edizione originale.
Per un’integrazione ed aggiornamenti sulla letteratura
dell’ultimo triennio vale il già citato M. Piattelli
Palmarini – J. Fodor, Gli errori di
Darwin,
Feltrinelli, 2010. Non posso non raccomandare però anche la
lettura di A. Lima-de-Faria, Evoluzione senza Selezione.
Autoevoluzione di Forma e Funzione, trad. It. Genova, Nova
Scripta,
2003.
Il paragrafo dedicato a Giuseppe Sermonti non tiene conto di quanto
il genetista ha realizzato ultimamente, ma da quelle pagine sviluppai
nel 2009 un articolo dettagliato, interamente dedicato al
maestro,
che è rintracciabile in rete
(http://www.cartesio-episteme.net/ep8/sermonti.pdf).
13
giugno 2010
Stefano
Serafini
Da
Darwin all’ordine della vita. Le ragioni di una rivoluzione
di
Stefano Serafini
Entartet
Geschlect!
Unwert
der Ahnen!
Wohin,
Mutter,
Vergabst
du die Macht,
über
Meer und Sturm zu gebieten?1
I.
Le
radici dell’albero della conoscenza di Darwin.
Troviamo
scritto in florilegi europei del XII e del XIII sec.: «Opus
naturae est opus intelligentiae».2
All’epoca ogni acquisizione di sapienza era
riguardata come impersonale, e l’autore della sentenza,
universalmente condivisa, non ha nome.
Non
stupisca che, cominciando a trattare di un argomento scientifico,
facciamo ricorso al Medioevo cristiano. Né i prevenuti
sostengano trattarsi d’una maledizione.
Il
grande storico della scienza Pierre Duhem mostrò quasi
cent’anni fa che era stato il pensiero cristiano ad aprire
l’anticamera della scienza moderna, perché modellando e
approfondendo il
concetto
di Dio creatore trascendente, in realtà aveva disimpregnato
(disincantato) il Cosmo dalla divinità.3
Nel XII sec. la grande scuola monacale di Chartres lottava
contro l’interpretazione
simbolica
della Natura, da esaminarsi, piuttosto, rationabiliter, e
contro i negatori delle causeseconde, cioè quei mistici
che ritenevano ogni avvenimento e fenomeno verificarsi nel mondo per
opera
diretta di Dio. Anche l’Islam conobbe una simile fase nella
storia del suo pensiero – un pensiero eminentemente scientifico
–, conclusasi similmente con la vittoria sopra i mutaziliti,
teologi
secondo i quali, quando il fuoco brucia, è Allah a bruciare
nel fuoco.4
1
«Razza degenere! / Indegna degli avi! / Dove, o Madre, /
cedesti il potere / di comandare al mare e alla tempesta?»
Richard Wagner, Tristan und Isolde, atto prima, scena prima.
2
«Ciò che viene dalla natura viene da
un’intelligenza». L’espressione, di origine
neoplatonica ma variamente attribuita, è una bella equivalenza
logica a chiasmo che incardina sul termine medio opus (lavoro,
frutto, fenomeno)
l’identificazione
di intelligenza e natura. Citato in Tommaso d’Aquino, ad es.
nella Quaestio de potentia, 1-2, e in Alberto Magno, De
quindecim problematibus, 1.
3
È la tesi, collegata a quella più nota della
circolarità del tempo nelle società precristiane, de Le
Système du monde. Histoire des doctrines cosmologiques de
Platon à Copernic (in otto volumi, 1913-1954).
Recentemente è tornato sulle
radici
cristiane della razionalità occidentale e del suo sviluppo
capitalistico (in radicale anticipo, quindi, al protestantesimo,
secondo la nota tesi di Max Weber), il sociologo Rodney Stark, The
Victory of Reason: How
Christianity
Led to Freedom, Capitalism and Western Success, Random House, New
York 2006. 4 Cfr. J. W.
Goethe, Viaggio in Italia, ottobre 1787, corrispondenza
(Albano, 5 ottobre) (ed. Mondadori “Meridiani” pp.
462-463):
«Ho trovato di recente, in una miseranda tirata del Profeta
zurighese [Lavater n.d.r.], questa frase senza senso: “Tutto
ciò che ha vita vive grazie a qualcosa fuori di se stesso”;
o così, più o meno, diceva. Roba che può uscire
solo
dalla penna di un evangelizzatore; e quando poi la rivede, nessun
buon genio lo tira per la manica. Costoro non sono riusciti a
penetrare nemmeno le prime e più semplici verità della
natura; e pretenderebbero d’occupare i seggi
attorno
al trono, dove altri deve sedere, o dove non può sedere
nessuno. Lasciateli dire, così come faccio io, dato che adesso
mi riesce più facile!». Tommaso d’Aquino, da parte
sua, spiegava che è vivo ciò che ha in sé il
principio di
mutare
e dirigere se stesso: «substantiam cui convenit secundum suam
naturam movere seipsam» (Summa Theologiae, I, q. 18, a.
2 c.); e forse giustamente scriveva F. Nietzsche, La gaia scienza,
11 [138] (p. 308 ed. Mondadori): «Gli
uomini
del Medioevo, quegli indomiti, ci disprezzerebbero, siamo al
di sotto del loro gusto».
In
realtà il filo che collega la moderna scienza tecnologica alla
religione del Libro5 è
non soltanto rosso, sottile, doppio, nascosto, adamantino. Esso,
soprattutto, è un filo d’Arianna il quale,
accuratamente
svolto nel labirinto dei luoghi comuni sull’inconciliabile
opposizione tra fede e lumi, tra razionalità e timor di dio,
ci conduce a scoprire la sostanziale identità (inquietante per
alcuni, per
altri
illuminante) del Minotauro col suo mitico cacciatore.
Scienza
e religione appaiono come due immagini speculari della comune civiltà
sorta da e tra di esse; l’una assisa al principio, l’altra
al termine. Cominciamo la nostra storia con il racconto del
Genesi,
e la finiamo con un “Progetto genesi” di dominio
ingegneristico sulla vita, che gli scrittori di fantascienza hanno
soltanto fatto in tempo ad adombrare, poco prima che gli scienziati
(e
l’industria)
vi si adoprassero realmente.
Nello
specifico del tema affrontato in questo numero speciale di Atrium,
ci viene alla mente il parallelo evidenziato da Martin Lings fra
l’idea di evoluzione e quella, comune alle grandi religioni,
sebbene
rovesciata, d’una emanazione creativa lanciata dal
sovratemporale al temporale.6
Più recentemente, sulla scia di Gerald
Schroeder,7 Giuseppe
Sermonti ha sostenuto che il primo
racconto
della creazione del Genesi, lungi dal comporre una cosmogonia, è
una descrizione storiconaturalistica che echeggia ragionamenti
scientifici greco-ionici; esso possiede una innegabile
somiglianza
di fondo con la spiegazione, progressiva e lineare nel tempo,
dell’evoluzione del cosmo e della vita alla quale siamo
abituati a pensare come moderna.8
È
peraltro ben noto, per averlo raccontato lo stesso Darwin nella sua
autobiografia, e averlo citato anche nell’Origine della
specie, che a ispirargli il principio di lotta per l’esistenza
fu il reverendo
Thomas
Malthus (1766-1834). Poche volte viene rimarcato che l’economista
inglese riguardava i flagelli della povertà e della carestia
come il benefico pungolo di Dio per lo sviluppo dell’umanità,
e
la sua purificazione dagli inetti. Il suo saggio Essay on the
Principle of Population (1798) accese indipendentemente l’idea
della selezione naturale anche in Wallace; in entrambi i naturalisti
la
selezione
sostituì alla lettera la corrusca e severa divinità
malthusiana che screma gli inadatti e stimola il progresso. Ciò
risultava piuttosto evidente ai prossimi di Darwin, come il noto
geologo
Adam
Sedgwick, il quale lo aveva sempre stimato, incoraggiato e aiutato
nella carriera.Rimproverandogli un uso disinvolto del metodo
induttivo, Sedgwick lo accusava, pur riconoscendo
l’importanza
del concetto di sviluppo naturale del vivente, di distruggere il
collegamento tra le scienze naturali e quelle morali.9
Sedgwick era un pensatore troppo attento per ritenere erronee
in
quanto
non letteralisticamente bibliche, le tesi di Darwin. Egli non era il
reverendo Paley. Più acutamente dei critici della scimmia, si
rendeva però conto che la costruzione teorica del passeggero
del
Beagle10 uccideva
sì il mondo dello spirito, ma perché si consustanziava
ad esso, sostituendovisi
5
La religione del Libro (tali sono l’Ebraismo, il
Cristianesimo, l’Islam) sostituisce all’alba della nostra
civiltà la religione della tradizione orale, dell’esperienza
immediata del divino nella natura. Il Libro è emblematicamente
proiezione
della Scrittura, tecnologia donata agli uomini, secondo i miti di
molte culture, da un dio minore, reietto e spaventoso (Cadmo,
Prometeo, Toth) con la quale ha inizio la Storia, la nostra storia di
uomini civilizzati.
6
M. Lings, “Signs of the times”, in: J. Needleman
(a cura di) The Sword of Gnosis, Baltimore, 1974, p. 114.
G. L. Schroeder, Genesi e Big Bang, trad. It. Milano,
Saggiatore, 1991.
8
G. Sermonti, “La Genesi, 2500 anni dopo”, in
Anthropos & Iatria (Genova), X (2006) 1, pp. 40-44, dove
scrive (pag. 1): «Detto in modo spiccio, sto arrivando a questa
conclusione: l’Evoluzionismo neo-darwiniano è
sostanzialmente il
testo
biblico del Genesi, 1, da cui è stato cancellato Elohim
(Dio)». Oltre alle caratteristiche precipue, la datazione
della redazione fra III e V sec. a.C. (sebbene discussa) del primo
dei due racconti della creazione che si trovano in Genesi
non
osta a questa ipotesi. Cfr. J. A. Soggin, Introduzione all’antico
testamento: dalle origini alla chiusura del canone alessandrino,
Brescia, Paideia.
9
Lettera a Darwin del 24 novembre 1859.
10
Beagle è il nome del brigantino sul quale il
giovane Darwin viaggiò per quasi cinque anni, dedicandosi
all’osservazione naturale. In particolare la variabilità
della flora e della fauna delle Isole Galapagos a petto
dell’uniformità
ambientale, gli suggerirono l’idea di un’inadeguatezza
del modello lamarckiano, secondo il quale sarebbe l’ambiente a
determinare le diversità fra le specie.
5
dall’interno.
Il collegamento tra cultura e natura veniva dissolto perché,
semplicemente, i due termini della relazione venivano ridotti ad uno
solo.
In
realtà Darwin aveva compiuto un’operazione idealistica
per molti versi simile al rovesciamento teologico di Hegel (la scuola
sovietica, che pur con tutti i suoi orrori e travisamenti non era
certo
composta
da sciocchi, in questo aveva colto nel giusto).11
La Teologia naturale permeante la biologia
pre-darwiniana anglosassone, la quale – come diranno i suoi
detrattori – finiva per spiegare
ogni
fenomeno con la frase «Dio l’ha fatto così»,
ha dunque qualcosa in comune con la teoria darwiniana, dove troppo
sovente i fenomeni trovano la propria ragione nell’affermazione
che «la
selezione
e il caso l’han fatto così».
Scrive
Julian Huxley:
«La
dimostrazione sulla carta che un carattere fatto così e così
era o poteva essere adattivo, veniva considerata da molti scrittori
come una prova sufficiente che esso dovesse la sua origine alla
selezione naturale. Gli studi sulla evoluzione divennero sempre più
dei puri trattati di casistica e di adattamenti reali o supposti. Il
darwinismo dell’ultima parte del secolo diciannovesimo giunse a
ricordare la scuola di Teologia naturale della prima parte dello
stesso secolo. Paley redivivus, si potrebbe dire, ma filosoficamente
capovolto, con la Selezione Naturale al posto dell’Artefice
Divino, come Deus ex machina. C’era poco contatto tra
speculazione evolutiva e fatti concreti della citologia e
dell’eredità, o con la effettiva sperimentazione.»12
Purtroppo
molti, tra gli odierni scolastici darwiniani, dimenticano questa
indicazione quando usano il solido padre del neo-darwinismo a scopo
polemico, per difendere i propri arroccamenti teorici e le
proprie
“sperimentazioni” condotte al computer, in laboratori
simili a uffici. Sebbene Huxley sia stato definito «il mastino
di Darwin», la sua pagina segue serenamente discorrendo dei
meriti di
Bateson
e di de Vries nell’abbattere il dogma darwiniano e weismanniano
del primato della selezione.
Invece
nel 2007, una rivista politica italiana che dedica un intero
fascicolo alla Scienza, in un articolo di 8 pagine modestamente
intitolato “Perché quasi certamente Dio non esiste”,
pubblica un
passo
di tale religiosa ispirazione da lasciare basiti, non soltanto per il
tono mistico della sua professione di fede, ma soprattutto per
l’evidente inconsapevolezza, un’ingenuità che
nessuna vis
polemica
basta a spiegare. In esso infatti risalta il meccanismo di
sostituzione mitica del feticcio Dio con il feticcio Scienza
(in questo caso identificata con la selezione naturale), del quale
parlano
Adorno
e Horkheimer.13
11
In nome del principio materialista i biologi dell’URSS
accusavano il darwinismo di minare il determinismo materialista
riducendo l’evoluzione a un processo casuale e di scelta, il
cui prototipo non era che l’idealismo della
società
borghese. Ai sovietici possiamo aggiungere pensatori marxisti
occidentali come Althusser, la cui critica, sulla medesima linea
(«objectivement idéaliste»), viene ricordata dallo
stesso Jacques Monod, contro il quale era stata
lanciata,
in Le hasard et la nécessité, Seuil, Paris 1970,
p. 52. Bisogna tuttavia notare che la Russia aveva anche un
retroterra scientifico pre-marxista contrario sia all’economia
sia alla biologia “selezioniste”, cfr. Daniel Philip
Todes,
Darwin
without Malthus. The Struggle for Existence in Russian Evolutionary
Thought, Oxford University Press, 1989, dove cita a p. 24 K. A.
Timirjazev («La teoria malthusiana... è sempre stata
rigettata con sdegno dagli economisti
russi»),
e a p. 45 A. N. Beketov, il quale nel 1894 scriveva: «La
competizione per la vita porta a un equilibrio, non a uno sterminio
senza fine. Ritengo tale inconfutabile conclusione completamente
opposta a quella finzione. Trovo
moralmente
ripugnante, infine, le conclusioni che Malthus ha tratto dalla sua
falsa legge, e che tuttavia oggi molti considerano buona moneta».
Curiosamente, anche il fatto che Malthus fosse un religioso veniva
rammentato per
sostenere
l’erroneità del grande Darwin sulla questione, cfr. ivi,
p. 24: «Il miserevole pastore Malthus e il grande naturalista
Darwin! Quale stravagante e inaspettata combinazione di nomi!»
(P. N. Tkačev).
12
Julian Huxley, Evoluzione. La sintesi moderna, trad.
It. della seconda edizione, Ubaldini, Roma 1966, p. 49.
13
Cfr. Theodor W. Adorno - Max Horkheimer, Dialettica
dell’illuminismo, trad. It. Einaudi, Torino, 1976. Debbo
l’osservazione e la segnalazione della struttura religiosa del
passo a citare a Massimo Marra.
«La
selezione naturale è così incredibilmente
potente ed elegante, che non solo spiega l’intera vita, ma
eleva anche le nostre coscienze e accresce la nostra fiducia nella
capacità futura della scienza di
spiegare
tutto il resto.La selezione naturale non è semplicemente una
alternativa al caso. Essa è l’unica alternativa
decisiva mai suggerita.»14
La
scienza che presume di attaccare la religione – ohimé,
tronfia come il re nudo della fiaba – mostra di stare in realtà
mordendo la propria coda; e poiché le espressioni dell’anima
di una società
richiamano
l’una l’altra, ne udiamo l’eco nella retorica
politica di questi anni, in cui per difendere la pace si scatenano
guerre, e in nome della libertà e della democrazia si emanano
leggi orwelliane. È
segno
che il processo è maturo, giacché la politica è
la coda della civiltà e ultima segue.
Il
Lettore avrà compreso che le nostre osservazioni non intendono
affatto rovesciare i ruoli, e così parteggiare per “la
religione” o “la filosofia”, contro “la
scienza”. Esse rigettano l’intera falsa
opposizione
tra i due volti del medesimo idolo. Aggiungeremmo che assieme al
trinceramento acritico dietro posizioni ideologiche scientiste, il
montare della superstizione, dell’irrazionalismo e
dello
spontaneismo parareligioso nel mondo, compongono altrettanti sintomi
della medesima patologia del sistema scienza (un sistema ridotto a
sostituire il senso con la descrizione, il sapere
con
il potere), e andrebbero dunque affrontati alla causa, non con cacce
alle streghe, o ai preti.
Continua
con LA RAGIONE, IL CASO,L'UTILE, E IL NULLA
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