The
Guardian: “Perché tutto quello che vi hanno detto
sull’evoluzione è sbagliato”
Il
londinese The Guardian ha pubblicato il 19 marzo un lungo
articolo sull’evoluzione a firma di Oliver Burkeman. L’articolo
è stato corretto secondi i rilievi fatti da alcuni scienziati,
ricevendo sul blog 357 commenti. Il testo integrale con commenti e
riferimenti è disponibile su
http://www.guardian.co.uk/science/2010/mar/19/evolution-darwin-natural-selection-genes-wrong.
Ecco alcuni ampi stralci dell’articolo, che prende spunto da
due recenti libri. Il primo, dello scrittore scientifico David Shenk,
è intitolato Il genio in tutti noi, e si occupa
prevalentemente di alcuni aspetti della genetica ed epigenetica.
Coloro
tra noi che non sono scienziati professionisti, sono costretti
inevitabilmente a credere in tante storie scientifiche sulla fiducia.
La difesa di alcune favole creazioniste – come il famoso giorno
mancante “visto” dagli astronomi della NASA e attribuito
al miracolo descritto nella Bibbia (Giosuè capitolo 10) ha
convinto che gli scettici dell’evoluzione siano così
delusi o disonesti che non ne valesse la pena di perdere tempo con
loro. Sfortunatamente però questo ha reso imbarazzante e
assurdo fare domande che invece alla luce dei recenti studi e di
diversi libri divulgativi sono sempre più pertinenti. E se la
teoria darwiniana dell’evoluzione come ci è stata
insegnata e come crediamo di capirla fosse – in alcuni aspetti
chiave – non completamente esatta?
Tale
ragionamento è capace di infuriare i biologi evoluzionisti,
che lanciano l’accusa che in questo modo si forniscono armi ai
proponenti del creazionismo o dell’Intelligent Design. Mentre
la maggior parte degli studi recenti non sembrano così
rivoluzionari agli esperti, sembra che ci sia di fronte ad un
cambiamento radicale di prospettiva nella cultura generale, con
enormi implicazioni sul modo in cui molti di noi pensano riguardo
alla comparsa della vita nelle forme che conosciamo.
La
maggiore sorpresa è venuta tre anni fa da una sperimentazione
sui polli in Svezia, che dimostrò che i polli allevati sotto
forte stress ambientale, perdevano alcune delle capacità di
procurarsi il cibo. Fin qui niente di strano. Ma la sorpresa era che,
rimessi in ambiente favorevole, i figli nati da questi polli avevano
la stessa scarsa abilità di procurarsi il cibo delle madri
sotto stress. Avevano cioè ereditato un problema indotto nelle
madri con la manipolazione dell’ambiente. Approfondendo la
ricerca si scoprì che ciò era dovuto all’alterazione
dell’espressione genetica, cioè il modo in cui diversi
geni vengono attivati o disattivati, modificando il comportamento
animale. In altre parole lo stress aveva indotto cambiamenti a
livello genetico nelle madri, che sono stati trasmessi ai figli.
Lo
studio sui polli svedesi è uno dei tanti nel campo
dell’epigenetica: la branca che studia l’epigenoma,
l’involucro proteico che avvolge pezzi del DNA e determina
quali geni saranno attivi o non, oppure regola il livello della loro
attività. Ma alcune delle più clamorose scoperte sono
state fatte con studi genetici sull’uomo. Uno di questi, è
stato condotto sempre in Svezia, nella provincia più
settentrionale di Norrbotten, dove il raccolto è normalmente
scarso, ma talvolta abbondante. Di conseguenza nella storia i bambini
crescevano assumendo di anno in anno quantità molto diverse di
cibo. È stato evidenziato che un singolo periodo di
sovralimentazione nel corso di una media di scarsa disponibilità
di cibo può ridurre di 32 anni l’aspettativa di vita dei
nipoti, rispetto ai periodi lungi di cibo scarso e costante.
Questi
dati sono in conflitto con la teoria darwiniana presentata nei libri
divulgativi di Dawkins e Dennet, che fanno credere che l’evoluzione
dipende da mutazioni casuali e selezione naturale – una
spiegazione bellissima, di semplicità devastante, che alla
fine ha portato alla comparsa delle meraviglie come gli occhi, le ali
degli uccelli e il cervello umano. Il meccanismo è semplice:
in ogni generazione si verificano mutazioni casuali che danno prole
leggermente diversa dai genitori; le mutazioni che conferiscono
vantaggio tendono a persistere nella popolazione, mentre quelle che
risultano svantaggiose si estinguono.
Invece
l’epigenetica suggerisce che questo non è tutto. Anziché
i cambiamenti spontanei nel genoma che offrono materiale alla
selezione naturale, abbiamo l’ambiente che possa influire sui
geni e condizionare la vita delle future generazioni. Mentre ogni
studente liceale ha imparato che lo stile di vita non può
influire sull’ereditarietà, risulta che invece può.
C’è quasi da chiedere scusa a Lamarck per averlo deriso
per due secoli.
Ma
non è solo l’epigenetica a porre dei problemi. È
stato accertato che il trasferimento di materiale genetico non
avviene solo verticalmente, da padre a figlio, ma anche
orizzontalmente, da un organismo all’altro, con trasferimento
di pezzi di genoma o di interi virus; si calcola che 10% del genoma
batterico deriva da trasferimento da altri microorganismi, cioè
dall’ambiente circostante, e questo vale anche per il genoma
umano. Per il non-specialista questo è un fatto sbalorditivo:
la maggior parte della storia della vita riguarderebbe la storia dei
microorganismi, i cui genomi però si sarebbero formati dal
libero trasferimento di geni da un organismo all’altro. Allora
le storie darwiniane nel migliore dei casi sarebbero applicabili alla
vita più recente.
In
conclusione, scrive Shenk, se negli anni ’90 un genetista
avesse suggerito che un ragazzo dodicenne avrebbe potuto migliorare
le prestazioni intellettuali dei suoi futuri figli studiando meglio,
sarebbe stato coperto da una montagna di risate. Ma oggi no.
Grazie
agli studi di epigenetica sull’uomo e altri recenti dati, Shenk
distrugge un’intera branca dell’evoluzione: l’evoluzione
psicologica (e culturale) che negli ultimi anni ha cercato
spiegazioni darwiniane (selettive) ad ogni comportamento umano,
comprese azioni delittuose come lo stupro ecc. L’accusa è
che gli psicologi evoluzionisti sono finiti per raccontare delle
favole molto più ridicole di quelle dei biologi. L’argomento
– già di per se controverso – ha visto gli
“psicologi evoluzionisti” attivissimi in prima linea,
mentre l’intera disciplina sembra a molti scienziati una
caricatura pseudoscientifica.
•••
Il secondo libro
preso in considerazione è quello del filosofo americano Jerry
Fodor e il professore di scienze cognitive Massimo
Piattelli-Palmarini, che sta uscendo in italiano da Feltrinelli con
il titolo Gli’errori di Darwin. (Il libro è stato
commentato su Nature da Massimo Pigliucci e sul Corriere
della Sera da Telmo Pievani, ma di questo ne parleremo nel
prossimo articolo).
La critica di Fodor
e Piattelli-Palmarini è generale e la loro contestazione della
selezione naturale come motore principale dell’evoluzione così
devastante, che ha lasciato ammutoliti i più agguerriti
difensori dell’evoluzione come Dawkins, Dennett, e il filosofo
di Cambridge Simon Blackburn.
Invitato da Burkeman
ad esprimere i concetti sostenuti in modo da essere compresi da uno
studente delle elementari, Fodor ha risposto che ciò non è
possibile. “Gli argomenti sono complicati, e se la nostra
critica è giusta, ciò non è dovuto alla
semplicità dell’argomento o alla stupidità di
Darwin.Si tratta di un argomento veramente complesso”.
Burkeman riassume i
concetti del libro in tre passi. Il primo – assolutamente
corretto – è che non tutte le caratteristiche di un
animale siano necessariamente adattative. Il secondo, collegato al
primo è che secondo i teorici della selezione naturale,
quest’ultima è una forza che seleziona certe
caratteristiche. Ma che uso e scopo hanno le orecchie cadenti di
certe volpi e cani? Il terzo passo è il colpo di grazia:
l’idea centrale dell’evoluzione darwiniana è che
essa non ha intelligenza. Noi vediamo e riconosciamo il senso di
alcune caratteristiche perché ragioniamo, ma l’evoluzione
come ha visto il senso di ciò che produceva? Darwin non lo
spiega, quindi su questo punto la sua è solo una chiacchiera.
Mihael Georgiev
autore del libro “Charles
Darwin. Oltre le colonne d'Ercole”
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