Negli ultimi anni il dibattito
sull’evoluzione e l’evoluzionismo si è
riacceso nel nostro come in molti Paesi al di qua e al di là
dell’Atlantico. L’intensità della discussione è
provata dal gran numero di libri che ven gono pubblicati su questo
argomento. È sotto gli occhi di tutti come oggi una
specifica interpretazione dell’evoluzionismo venga
considerata l’autentica concezione dell’evoluzione
biologica: i grandi quotidiani nazionali nelle pagine della
cultura e le trasmissioni televisive divulgative presentano
regolarmente il neodarwinismo come l’unica concezione
possibile dell’evoluzione biologica e a questa accostano
considerazioni che vanno molto al di là delle reali
acquisizioni scientifiche. In realtà, l’«idea
pericolosa di Darwin» porta ad affrontare temi filosofici ed
antropologici fondamentali, come la diversità fra mondo
inorganico e mondo dei viventi, la presenza di un ordine
nell’universo, l’esistenza di una finalità nei
fenomeni naturali, la natura e il destino dell’uomo,
l’origine della morale e così via. Argomenti così
cruciali toccano la visione generale del mondo e dividono
facilmente coloro che accolgono una concezione trascendente da
coloro che rifiutano tale viione. Si comprende quindi il
conflitto intellettuale che ai nostri giorni oppone gli
studiosi cristiani ai laici o, come sarebbe meglio dire, ai
laicisti. È facile vedere come molte delle attuali
discussioni bioetiche trag gano origine proprio dalle diverse
visioni del mondo dei vari studiosi: se, infatti, si ritiene che i
concetti teorici scientifici comprendano tutto ciò che vi è
da sapere sulla persona umana, appare evidente che non si può
andare oltre le tesi care a Boncinelli o a Pievani. Ma, se si
ritiene che il discorso non possa rimanere circoscritto ai
concetti scientifici, allora apparirà in tutta la sua
dimensione la povertà del naturalismo ontologico. In
altre parole, non vi è dubbio che le soluzioni offerte
dalle varie scuole bioetiche dipendano dalle tesi filosofiche
basilari dei vari bioeticisti. Il dibattito oggi in atto, insomma,
rivela la sua vera natura: è un genuino dibattito
filosofico. Nel dibattito odierno si è troppo spesso
dimenticato un punto focale, rappresentato dalla distinzione
che esiste fra teorie scientifiche dell’evoluzione ed
evoluzionismo filosofico. I sostenitori del naturalismo ontologico
ritengono che le teorie scientifiche dell’evoluzione
forniscano prove ragionevoli della tesi secondo la quale
l’evoluzione biologica non ha bisogno di alcuna trascendenza
ed accusano coloro che sostengono la tesi contraria, di non
portare argomenti in favore della trascendenza. In realtà,
i naturalisti ontologici aderiscono ad una tesi epistemologica che
ritengono per sé evidente, ma non la sostengono in modo
argomentato: essi ritengono che non vi sia alcuna reale diversità
fra sapere scientifico e sapere filosofico. Sarebbe quindi del
tutto legittimo ritenere che le tesi filosofiche dipendano dalle
conoscenze scientifiche vigenti in un certo momento storico e che,
pertanto, se la conoscenza scientifica non fornisce prove in
favore della trascendenza, allora la trascendenza semplicemente
non c’è. In altre parole, secondo i naturalisti
ontologici non solo l’onere della prova spetterebbe a chi
afferma la trascendenza, ma tale prova dovrebbe avere natura
empirica, come comunemente avviene nelle scienze naturali. Ed è
proprio in questo assunto che il naturalismo odierno si rivela per
quello che è: una forma pura di scientismo. Un altro
punto focale della discussione riguarda il valore della conoscenza
scientifica. Dopo la grande lezione di Popper la gran parte dei
ricercatori considera oggi le teorie scientifiche come costruzioni
mentali indispensabili, ma non come verità definitive e
incontrovertibili. Già circa 150 anni or sono uno
scienziato molto più scaltrito epistemologicamente di
Darwin – Claude Bernard – scriveva che le teorie
scientifiche sono principi relativi «ai quali bisogna
accordare un valore provvisorio nella ricerca della verità.
(…) Esse non devono essere insegnate come dogmi o articoli
di fede. (…) In quanto sintesi delle nostre conoscenze le
teorie devono rappresentare la scienza. (…) Ma poiché
queste teorie e queste idee non sono verità immutabili
bisogna essere sempre pronti ad abbandonarle o a
modificarle». Invece, ai nostri giorni quando si parla di
evoluzione, assistiamo ad un curioso fenomeno; la teoria di Darwin
– al di là dei suoi indiscutibili ed evidentissimi
meriti storici – viene di fatto considerata una costruzione
intoccabile che, nonostante gli anni trascorsi dal momento
della sua formulazione, non è possibile mettere in
discussione. A tutto questo si deve aggiungere il fatto che,
quando si parla di darwinismo, molti continuano a trascurare gran
parte delle discussioni epistemologiche avvenute nel XX secolo. Il
punto nodale riguarda la distinzione fondamentale che separa il
discorso scientifico da quello filosofico. La filosofia non si
muove infatti sullo stesso piano della scienza:
mentre quest’ultima si occupa esclusivamente della
realtà empirica, ovvero dei fenomeni naturali, formulando
ipotesi controllabili e proponendo leggi e teorie generali
falsificabili, la filosofia si occupa anch’essa dei fenomeni
naturali, ma li studia impiegando un metodo diverso da quello
scientifico e ponendosi ad un differente livello di astrazione.
Ciò che colpisce maggiormente nelle discussioni odierne dei
naturalisti filosofici è la mancanza di consapevolezza dei
limiti che separano il discorso scientifico da quello
filosofico. Così, ad esempio, l’origine naturalistica
della morale viene semplicemente affermata sulla base di alcuni
comportamenti altruistici osservati negli animali, senza discutere
adeguatamente la possibile esistenza di un salto ontologico fra
l’uomo e il restante mondo dei viventi e senza riconoscere
che l’ambito della realtà non coincide con quanto è
oggetto della percezione empirica. È peraltro possibile
constatare come attualmente vi siano scienziati e filosofi che si
rendono conto che discussioni puramente scientifiche non possono
esaurire il dibattito sull’evoluzionismo e che, per
affrontare questo argomento, è indispensabile far esplicito
ricorso ad argomentazioni metafisiche. Negli ultimi tempi sono
infatti divenute più frequenti le voci di studiosi che
riconoscono le debolezze delle tesi neodarwiniane e sottolineano
la difficoltà di fondare su una teoria scientifica una
visione generale del mondo. A questo proposito grande
biologo evoluzionista come Francisco Ayala, ad esempio, ha
recentemente scritto che «gli scienziati e i filosofi che
sostengono che la scienza esclude la validità di qualsiasi
conoscenza al di fuori della scienza commettono un errore
categorico: confondono il metodo e il magistero scientifici con le
implicazioni metafisiche della scienza. Il naturalismo
metodologico afferma che a conoscenza scientifica ha precisi
confini, non che è valido ciò che essa dice in ogni
campo». Claude Bernard, scienziato più esperto a
livello di epistemologia dello studioso inglese, 150 anni fa si
era accorto dei rischi. Il dibattito oggi in atto, sotto i
panni della biologia, rivela a un occhio attento la sua vera
natura, che è filosofica.
Giovanni Federspil
Tratto dal quotidiano “Avvenire”
|