L’origine
delle specie 150 anni dopo
La
moltiplicazione dei misteri
Nel
fascicolo di 12 marzo 2009 della rivista Nature, Andrew Hendry
del Dipartimento di Biologia dell’Università McGill di
Montreal, fa il punto sulla speciazione, cioè il processo di
comparsa di nuove specie animali. Scrive Hendry: “L’origine
delle specie, titolo del grande lavoro di Charles Darwin del
1859, sembrava promettere la soluzione del ‘mistero dei
misteri’. Ma nonostante noi si sappia oggi molto di più
sulla speciazione rispetto a 150 anni fa, il mistero da uno è
diventato più misteri – e le possibili soluzioni si sono
moltiplicate”.
Le
specie sono reali?, si chiede l’autore, e risponde di sì,
anche se è difficile definirle. Infatti esistono oltre venti
proposte di definizione di specie, e quella comunemente accettata è
il cosiddetto “concetto biologico di specie” (BSC),
secondo il quale le specie sono gruppi di individui potenzialmente o
realmente interfecondi, che però sono isolati uno dall’altro.
È una definizione ambigua, che ha tre grandi difetti. Il
primo, che non è applicabile agli organismi a riproduzione
asessuata. Il secondo, che 25% delle piante e 10% degli animali
possono ibridizzare con almeno un’altra specie. Il terzo, che
specie non sono sempre isolate. Attualmente si conoscono circa 1,5
milioni di specie, di cui ben 350 mila sono coleotteri, ma se ne
scoprono continuamente delle nuove.
Si
è sempre ritenuto che ciò che fa nascere una nuova
specie sono le modifiche nell’organismo che si trova isolato
dal resto della popolazione. Questo isolamento geografico seleziona
caratteristiche adattive diverse, finché le due specie isolate
si allontanino geneticamente così tanto una dall’altra,
da non potersi più incrociare (isolamento riproduttivo). La
creazione di una nuova specie grazie all’isolamento geografico
si chiama speciazione alopatrica.
Oggi
parla di speciazione ecologica perché si ritiene che ciò
che fa nascere una nuova specie sono le modifiche nell’organismo
che diventano adattative occupando nicchie ecologiche non
necessariamente geograficamente isolate, ma nello stesso habitat. Se
invece una specie si trasforma in un’altra nello stesso
habitat, senza occupare nicchie ecologiche diverse, allora parliamo
di speciazione simpatrica.
La
speciazione simpatrica, però, sfida la teoria dell’evoluzione,
perché avviene senza l’intervento della selezione
naturale: una specie si modifica e nello stesso territorio abbiamo
due specie al posto di una. Alcuni grandi evoluzionisti come Ernst
Mayr hanno sempre negato l’esistenza della speciazione
simpatrica, proprio perché non prevista dalla teoria
dell’evoluzione. Invece esiste, fregandosene dell’ortodossia
darwiniana, e negli ultimi anni sono stati segnalati diversi casi,
due dei quali pubblicati proprio su Nature nel 2006 (Vol.
439:719-723, 9 Febbraio, e Vol. 441:210-213, 11 Maggio).
Quale
è il motore della speciazione? Secondo la teoria classica sono
le piccole mutazioni che, accumulandosi, trasformerebbero una specie
in un’altra, con l’aiuto dell’isolamento geografico
tra le due specie, oppure occupando nicchie diverse nello stesso
ambiente, cioè con speciazione alopatrica o ecologica. Negli
ultimi anni si è visto però che una nuova specie può
comparire per speciazione simpatrica. Tra gli esempi ci sono alcuni
pesci che vivono nello stesso lago, piante su piccole isole ed
insetti. Sembra che la speciazione simpatrica coinvolge pochi geni
che subiscono grandi cambiamenti, come rimescolamento del materiale
genetico, mentre quella adattativa dovrebbe dipendere da piccole
mutazioni in tanti geni, per cui è difficile da ricostruire.
Una
domanda importante è quanto tempo ci vuole per la comparsa di
una nuova specie. Da Darwin ad oggi l’idea prevalente è
che si tratti di un processo lento che richiede milioni di anni. Ma
le recenti scoperte di casi di speciazione simpatrica, come con
alcuni pesci di laghi africani e sudamericani, dimostrano che nuove
specie si siano formate in meno di 10-15 mila anni. Alcuni sostengono
che l’isolamento riproduttivo (perdita della interfecondità)
tra la prima e la nuova specie possa verificarsi in 10-12 generazioni
soltanto. Per non parlare del fenomeno della poliploidia
(moltiplicazione dei cromosomi) con successiva ibridizzazione, che in
alcune piante fa nascere immediatamente una nuova specie. L’autore
conclude che come in altri campi della scienza, anche per la
speciazione, più sappiamo, più sappiamo do non sapere.
•••
Il
fatto rimane che i pochi cambiamenti osservabili in natura che creano
isolamento riproduttivo sono dovuti prevalentemente a rimescolamento
di materiale genetico, non richiedono molto tempo e non portano
lontano. Tutti gli esempi puntano a cambiamenti limitati all’interno
di specifici tipi di animali. Dopo 150 anni di ricerca non si ha la
minima idea quali possano essere stati i meccanismi della supposta
evoluzione dal microbo all’uomo.
Mihael
Georgiev
autore
di “CHARLES DARWIN. OLTRE LE COLONNE D'ERCOLE. Ed. Gribaudi
(Vedi sez. libri di questo sito)
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