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Il problema dei "giorni" in Genesi 1
di Gerhard F.Hasel - prima parte
 

Traduzione di Francesco Mosca

Professore di Antico Testamento e Teologia Biblica nella Andrews University, Berrien Springs, Michigan (USA). Il giorno prima della presentazione di questo articolo ha perso la vita in un incidente d'auto, la stesura finale è perciò stata rivista da Michael Hasel. L'articolo è apparso la prima volta sulla rivista Origins (n. 1/1994), del Geoscience Research Institute, Loma Linda University, Loma Linda, CA923500, USA. È stato pure pubblicato in lingua portoghese da Folha Criacionista (n. 54/1996), contattabile al sito: http://www.scb.org.br.

Si è dibattuto per secoli se i sei "giorni" della creazione siano stati veramente periodi di 24 ore, oppure solamente rappresentazioni simboliche di più lunghi intervalli di tempo. In quest'ultimo secolo e mezzo, a causa dell'influsso della teoria evoluzionista, la questione è stata oggetto di un esame ancor più approfondito. L'articolo che presentiamo è una revisione completa della questione: sfondo storico e natura letteraria del resoconto della creazione sono discussi in dettaglio e collegati alle varie interpretazioni contemporanee. Data la sua lunghezza, ne riportiamo ora solo la prima metà. 

I. INTRODUZIONE

Negli ultimi decenni il dibattito su "scienza della creazione", "scienza delle origini" e "scienza teista", si è andato accrescendo, creando un clima nel quale vecchie domande sono state riproposte con rinnovata attenzione. "Scienza della creazione" ("creation-science") è la definizione adottata dalla corte della Luisiana per indicare le motivazioni scientifiche portate a sostegno della tesi creazionista biblica; mentre "scienza delle origini" è la designazione preferita da Norman L. Geilser e J. Kerby Anderson (Origin Science: A Proposal for the Creation Evolution Controversy, Grand Rapids, 1987); "scienza teista", infine, è utilizzata in opposizione a "scienza naturalista", perché quest'ultima elimina l'ipotesi di Dio. 
Una questione che si pone riguarda il significato della parola "giorno", che troviamo da Genesi 1:1 a 2:3. La natura del resoconto genesiaco della creazione, con i suoi sei "giorni" (Genesi 1:5-31) seguiti dal "settimo giorno" (Genesi 2:2,3) è di particolare interesse, dal momento che i non specialisti lo comprendono come indicante una settimana letterale, nonostante questa interpretazione sia stata messa in discussione dalla teoria evoluzionista, che richiede lunghe ere di centinaia di milioni di anni. 
Quest'articolo cercherà di raggiungere diversi scopi collegati tra loro:
1. fornire una breve storia dell'interpretazione;
2. citare opinioni recenti di autori per i quali i "giorni" della creazione sono
lunghe epoche e non giorni letterali di 24 ore;
3. presentare l'insieme dei dati di Genesi 1, in relazione con altre evidenze trovate
nell'Antico Testamento;
4. applicare all'insieme dei dati di Genesi 1, i normali strumenti linguistici e
semantici, basati sull'attuale stato della ricerca.

II. BREVE STORIA DELL'INTERPRETAZIONE DEI "GIORNI"

La conoscenza di alcuni aspetti della storia dell'interpretazione dei giorni della creazione in Genesi 1 fa vedere che, anche prima del libro di Darwin su L'Origine delle Specie (1859), i giorni della creazione della Genesi sono stati considerati periodi di tempo non letterali. Oggi come allora, sono considerazioni extra bibliche quelle che inducono gli studiosi ad allontanarsi dal significato letterale dei giorni.

1. Comprensione dei "giorni" creativi prima della Riforma protestante
Il Padre della chiesa alessandrina Origene (185-254), di vasta cultura e difensore del metodo allegorico di interpretazione, è accreditato come il primo a considerare i giorni della creazione in un modo non letterale (Cfr. F.W. Farrar, History of Interpretation, Grand Rapids, 1866, 1961, pp.187-203).
Il più famoso dei Padri latini, Agostino (354-430), seguì Origene nell'argomentare che i "giorni" della creazione devono essere compresi in modo allegorico, piuttosto che letterale (La città di Dio, XI, 4-7). Agostino insegnava che Dio creò il mondo in un singolo attimo, ma né Agostino né Origene avevano in mente un concetto evolutivo. Piuttosto per loro era filosoficamente necessario assegnare a Dio un'attività creativa senza rapporto con il tempo umano. La filosofia greca pensava ad un Dio fuori dal tempo e, dato che i giorni della creazione fanno parte dell'attività divina, si credette necessario che dovessero essere compresi come senza tempo. La filosofia, non le speculazioni scientifiche, influenzarono il pensiero di Origene ed Agostino, inducendoli a reinterpretare i giorni della creazione. Ciò che questo approccio ha in comune con i tentativi moderni, è che entrambi sono fondati su influssi esterni al testo biblico. 
Il metodo di interpretazione allegorico alessandrino vedeva nelle Scritture un quadruplice senso: letterale, allegorico (mistico-spirituale), anagogico (futuro) e tipologico (morale); questo quadruplice senso, dall'antichità passò al Medioevo ed è ancora difeso negli ambienti ufficiali del Cattolicesimo. I tre significati non letterali hanno dominato nella cristianità per più di un millennio, fornendo i mezzi per la reinterpretazione del senso letterale dei giorni della creazione.

2. Comprensione dei "giorni" creativi nel periodo della Riforma protestante
I riformatori del sedicesimo secolo concordavano che il quadruplice senso dato alle Scritture ne comprometteva quello letterale, rendendo di fatto vuota e nulla l'autorità della Bibbia nelle questioni di fede. Essi insistettero che il vero senso delle Scritture è quello letterale, cioè il significato semplice del testo.
Una delle principali acquisizioni della Riforma protestante fu il ritorno alle Scritture, ma questo comportava che le Scritture non dovevano aver bisogno di un'autorità esterna per essere interpretate: anche se questa autorità era il Papa, i concili della Chiesa, la filosofia, o qualsiasi altra autorità umana. Il Protestantesimo considerava di primaria importanza un'interpretazione incentrata sul testo, visto nel suo contesto. Le interpretazioni esterne non dovevano essere imposte alla Bibbia, come era stato fatto nel periodo del Cattolicesimo patristico e medioevale. La Bibbia, piuttosto, doveva essere letta nel suo senso letterale e grammaticale (Cfr. R. M. Grant, A Short History of the Interpretation of the Bible, New York, 1963, pp.128-129).
Martin Lutero, di conseguenza, sosteneva l'interpretazione letterale del racconto della creazione. In Letture sulla Genesi afferma: "Noi sosteniamo che Mosè parlò nel senso letterale, non figurato o allegorico; che il mondo, con tutte le sue creature, fu creato in sei giorni, nel senso letterale delle parole", specificando che intendeva un giorno di 24 ore (Martin Luther, Lectures on Genesis: Chapters 1-5, Luther's Works - St. Louis, MO: Concordia Publishing House, 1958). Gli altri riformatori intendevano i giorni della creazione nello stesso modo. Questa interpretazione letterale e grammaticale, conosciuta nella storia dell'interpretazione come il metodo storico-grammaticale, rimase la norma per l'interpretazione biblica fino al diciannovesimo secolo.

3. Cambiamenti sotto l'influsso del Modernismo
Il concetto di lunghi periodi di tempo nella comprensione dell'origine della terra si introdusse nelle pubblicazioni di James Hutton (1726-1797) e Charles Lyell (1797-1875), che cominciarono ad interpretare i giorni della Genesi in un modo non letterale, perché la nuova visione del mondo che si stava sviluppando esigeva lunghi periodi di tempo. Risalgono a questo periodo, non a caso, varie proposte di comprensione dei giorni della creazione: come "giorni di restaurazione," o come "giorni di rivelazione", o equiparando il giorno all'era (teoria "giorno-era"). Entrando in qualche dettaglio, il primo ad usare l'espressione "giorni di restaurazione" fu il teologo scozzese Thomas Chalmers (1780-1874), che fece nascere l'ipotesi della "ricostruzione dalle rovine" (ruin-reconstruction hypotesis); la teoria "giorno-era", invece, si originò nel diciottesimo secolo e si affermò poi nel secolo successivo, ad opera dei geologi James D. Dana e J. W. Dawson (Cfr. B. Ramm, The Christian View of of Science and Scripture, Grand Rapids, 1972, p. 211).
Un'interpretazione non letterale del termine giorno, così, divenne tipica dei concordisti, i quali avevano accettato l'idea di lunghe ere per l'origine del mondo. 

4. Cambiamenti recenti nell'interpretazione dei concordisti
Negli ultimi dieci anni, i concordisti stanno tentando ancor più d'interpretare i giorni della creazione in modo non-letterale ed è un fatto storicamente riconosciuto che la visione scientifica del mondo ha influenzato la comprensione della Bibbia. Il passaggio dalla visione tolemaica del mondo a quella copernicana ne è probabilmente l'esempio più importante. I teologi medioevali avevano adottato la visione tolemaica del mondo come se fosse la corretta visione cristiana e biblica. La terra era concepita come il centro del sistema solare e spesso anche dello stesso universo. Quando la visione eliocentrica copernicana diventò preminente, la precedente visione divenne un gran problema per la cristianità.
Da un punto di vista metodologico, i presupposti che gli scienziati usano per comprendere i dati osservati nella natura, predeterminano in misura notevole le conclusioni che ne traggono e queste hanno un evidente influsso sull'interpretazione biblica, almeno nel senso che spingono ad una reinterpretazione di alcuni passi (Vern S. Poythress, Sience and Hermeneutics: Implications of Scientific Method for Biblical Interpreattion, Grand Rapids, 1988, p. 24).
La questione decisiva che emerge è se questa reinterpretazione si sovrappone al significato della Scrittura, cioè se il nuovo significato è estraneo al testo biblico ed al suo contesto. 
Quando si reinterpreta un passo biblico volendo restare fedeli al testo, possono presentarsi almeno due casi.
1. Una nuova comprensione, stimolata da conclusioni "scientifiche", non è sempre dannosa e potrebbe condurre ad una reinterpretazione dei testi biblici in armonia, sia con il loro contesto, che con la totalità delle Scritture; in questo caso, ovviamente, la nuova interpretazione non è in contraddizione con la Bibbia.
2. Altre volte, invece, il riesame del testo biblico può portare ad una conclusione in contrasto con le attuali ipotesi scientifiche; coloro che accettano pienamente l'autorità della Bibbia, possono allora sottoporre a verifica le conclusioni raggiunte dagli scienziati, chiedendosi se tutte le conclusioni desunte dalla teoria scientifica derivino strettamente dai fatti, fino al punto di domandarsi, in certi casi, se la teoria stessa nella sua globalità sia sospetta.

5. L'autorità interna delle Scritture
Alcuni ritengono che una teoria scientifica, per sua natura e per il fatto stesso di essere ampiamente accettata, ha priorità sulle Scritture. Su questa complessa questione ci limitiamo ad affermare che se la Scrittura è il risultato di una rivelazione divina, scritta sotto ispirazione, avrà un'autorità che non possiamo trovare nel cosiddetto libro della natura.
Accettando le Scritture come autorità superiore, esse ci possono aiutare nella comprensione della natura, fornendo un modello interpretativo più completo di quello che ci si potrebbe attendere da un modello puramente naturalistico.
La Scrittura, per restare integra, non può adattarsi ad ogni tipo di interpretazione che la scienza, la sociologia, la storia, o qualsiasi altra disciplina suggerisce. Questo implica che l'autorità delle Scritture si basa sul presupposto della rivelazione ed è fondata sull'ispirazione. Quest'autosufficienza delle Scritture non significa che non possiamo discutere alcuna domanda posta da altre aree di ricerca come la scienza, la storia, o la sociologia, ma che c'è una grande differenza tra porre nuove domande alle Scritture (o sulle Scritture), dall'imporgli nuovi significati.

III. INTERPRETAZIONI FIGURATIVE DEI "GIORNI" DELLA CREAZIONE

1. Argomentazioni a favore di "lunghe ere"
Gli studiosi spesso riconoscono qual è il vero scopo dei loro tentativi di interpretare i "giorni" di Genesi 1 in termini diversi dal loro significato più semplice. Poche citazioni, tratte da stimati autori, parleranno da sole. 
John C. L. Gibson, studioso inglese, sostiene che Genesi 1 deve essere inteso come "metafora", "racconto", o "parabola", non come un semplice resoconto degli eventi della creazione. Nel suo commentario sulla Genesi scrive quanto segue: "Se noi comprendiamo "giorno" come "epoca" o "era", possiamo porre la sequenza della creazione del capitolo 1 in relazione con i resoconti della moderna teoria evoluzionista e, in questo modo, recuperare la reputazione della Bibbia nella nostra epoca scientifica" ( J.C. L. Gibson, Genesis, the Daily Study Bible, Edinburgh, 1981, vol. I, p. 56).
Nel 1983 il commentatore tedesco Hansjorg Braumer dichiarò: "Il "giorno" della creazione, descritto come comprendente "mattina e sera [sic]" non è una unità di tempo che può essere determinata con un orologio. È un giorno divino in cui mille anni sono come il giorno di ieri [Salmo 90:4]. Il primo giorno della creazione è un giorno divino. Non può essere un giorno terreno visto che la misura temporale, il sole, ancora non c'era. Quindi non recherà nessun danno al racconto genesiaco comprendere la creazione in ritmi di milioni di anni" (H. Braumer, Das erste Buch Mose, Wuppertal, 1983, p. 44).
D. Stuart Briscoe, un creazionista progressista americano, nel suo commentario sulla Genesi afferma quanto segue: "Lo scienziato naturalista parla con convinzione in termini di milioni di anni ed ere di evoluzione, mentre il credente della Bibbia considera i sei giorni e si chiede cosa fare ... Non è per niente irragionevole credere che "giorno" ("yom", in ebraico, che può essere tradotto abbastanza letteralmente come "periodo") non si riferisca a giorni letterali, ma ad ere ed età in cui è stato compiuto il lavoro progressivo di Dio" (D. S. Briscoe, Genesis Communicator's Commentary, Waco, 1987, p. 37).
Potremmo moltiplicare ad oltranza spiegazioni di questo tipo, che derivano soprattutto da studiosi appartenenti alla corrente concordista: più precisamente al ramo dei "concordisti liberali", che recentemente hanno aderito al creazionismo progressivo [che concepisce una creazione che si realizza evoluzionisticamente nel tempo, ndr].

2. Analisi e valutazione dei testi di Salmo 90:4 e 2 Pietro 3:8

Salmo 90:4. È stato spesso citato per indicare che i giorni della creazione non dovrebbero essere capiti come letterali, ma come rappresentativi di lunghi periodi/epoche/ere di tempo. In esso è scritto: "Perché mille anni, agli occhi tuoi, sono come il giorno di ieri quand'è passato, e come una veglia nella notte" (Versione Riveduta Luzzi). Il paragone del lungo periodo di tempo di mille anni con "ieri" e "una veglia nella notte" è di notevole interesse (Cfr. Derek Kidner, Genesis an Introduction and Commentary, Chicago, 1967). Nell'originale ebraico questo passaggio biblico contiene una particella comparativa (tradotta con "come") che serve per fare il paragone fra 1.000 anni, da un lato, con "ieri" e "una veglia nella notte", dall'altro. Dal punto di vista della sintassi ebraica, questa particella comparativa è in relazione, non solo con l'espressione "ieri", ma anche con l'espressione "come una veglia nella notte": si applica a entrambe. Questo dimostra che il paragone non è fatto tra un "giorno" e mille anni. Mille anni per Dio sono "come" ieri, cioè il giorno passato, ma anche "come" una veglia nella notte, che è un periodo di tempo ancora più piccolo. Il punto è che Dio computa il tempo in modo diverso da come facciamo noi. Genesi 1, però, non è interessato a descrivere come Dio computa il tempo e non spiega in che modo Dio calcola il tempo, ma mette in relazione i giorni della creazione con i successivi giorni del ciclo settimanale del tempo. 
Genesi 1, inoltre, è privo di qualsiasi particella comparativa ("come" od altre) in collegamento con l'uso del termine "giorno". Un'espressione comparativa ebraica in Genesi 1 non c'è, né verso il termine "giorno", né verso l'espressione "sera e mattina": ciò indica che non esiste l'intenzione di fare alcun paragone. Il punto focale in Genesi 1 non riguarda un paragone, quanto piuttosto la quantità di tempo che Dio usa per creare il mondo e se questo periodo di tempo è identico alla settimana di sette giorni, che è il ritmo del tempo storico.
Dal punto di vista contestuale, ma anche da quello sintattico-grammaticale e semantico, l'applicazione del Salmo 90:4 a Genesi 1 non è proponibile. Manca un criterio di paragone linguistico e fraseologico appropriato. Ignorando il criterio contestuale, chi paragona i "giorni" di Genesi 1 con "ieri", o con la "veglia della notte", o con i mille anni della scala di tempo di Dio, sta paragonando le mele con le arance.
Un'altra difficoltà riguarda il fatto che il Salmo 90 non è un salmo che parla della creazione. Contestualmente parlando, il Salmo 90 non affronta l'argomento di come Dio considera i "giorni" della creazione, ma piuttosto come gli uomini devono considerare il tempo quando lo paragonano a quello del regno di Dio.
Ancora, il Salmo 90 non usa precisamente il termine "giorno" perché, nel versetto 4, esso è legato sintatticamente ad un altro termine. In italiano vengono tradotti con la parola singola "ieri", ma nell'originale le parole sono due.
Riassumendo, Salmo 90:4 non definisce il significato del termine "giorno" di Genesi 1, per i problemi citati e per altre difficoltà esistenti. Molti di coloro che abitualmente adottano la teoria "giorno/epoca" perciò, non a caso, evitano di far riferimento al Salmo 90:4, perché questo testo, in sé, non si riferisce al tema della lunghezza dei "giorni" della creazione (per una critica di altri aspetti riguardanti la teoria "giorno/epoca", vedi Lloyd R. Bailey, Genesis,Creation and Creationism, New York/Mahwah, 1993, pp. 125-128.).
Concludiamo con una delle tante rilevanti implicazioni, collegate all'interpretazione di Genesi 1. Considerare i giorni della creazione dei lunghi periodi di tempo, per esempio, fa diventare il "sesto giorno" come la sesta epoca della creazione: questo apre la porta ad alcuni tipi di homo sapiens pre-Adamico, mettendo in crisi il punto di vista biblico che Adamo ed Eva furono i primi esseri umani creati da Dio (Cfr. V. P. Hamilton, The Book of Genesis, Grand Rapids,1990, vol. I, p.54). 

2 Pietro 3:8. In questo testo si dice che "per il Signore un giorno è come mille anni" ed è stato usato dai concordisti liberali per difendere la teoria giorno/età. È stato pure preso da alcuni come un equivalenza matematica "biblica": letteralmente, "un giorno è uguale a mille anni". Altri prendono i mille anni come un lungo periodo, un'epoca, o qualcosa del genere.
Si può far notare che quelli che utilizzano questo testo per sostenere l'idea di "epoche", si trovano davanti ad alcuni grandi problemi: 
1) il passo di 2 Pietro 3:8 non si trova in un contesto in cui si parla di creazione ;
2) 2 Pietro 3:8 ha una particella comparativa che manca in Genesi 1; 
3) i mille anni di 2 Pietro 3:8 non vengono considerati letteralmente quando si 
discute quanto duri una "epoca"; 
4) 2 Pietro 3:8 afferma che Dio non è limitato o soggetto al tempo per compiere le 
sue promesse.
L'intenzione di questo passo è spiegata molto bene da Lloyd R. Bailey, un concordista liberale, a p. 126 del suo libro poco sopra citato: "Il testo di 2 Pietro 3:8 è stato strumentalizzato da quelli che lo hanno collegato alla parola "giorno" di Genesi 1... Invece lo scopo di questo testo è quello di mostrare che "il Signore non ritarda l'adempimento della sua promessa ... ma Egli è paziente... non volendo che nessuno si perda" (3:9). Questo significa che il Signore non è soggetto al tempo come lo sono gli uomini ("alcuni pensano che sia in ritardo", versetto 9). L'intenzione, quindi, riguarda un'affermazione sulla fedeltà di Dio nel compiere le promesse, non quella di definire il significato della parola "giorno" utilizzato in Genesi 1". 
È meglio permettere che il testo di 2 Pietro 3:8 raggiunga il suo scopo e non venga utilizzato al di fuori del suo contesto e significato linguistico.

3. "Giorni di rivelazione"?
La teoria che i giorni della creazione siano "giorni di rivelazione" è sostenuta oggi da alcuni studiosi e fu resa preminente dal geologo scozzese Hugh Miller nel diciannovesimo secolo. Nel 1946 l'ha ripresa P. J. Wiseman, in un'opera ristampata nel 1977 (P. J. Wiseman, Clues to the Creation in Genesis, London, 1977, pp.109-207). Secondo questa interpretazione, Dio non creò il mondo in sei giorni, ma in un periodo indeterminato di tempo. In sei giorni letterali lo ha solo "rivelato" e spiegato all'uomo. La frase ricorrente "e Dio disse" è usata per sostenere la teoria che i "giorni" della creazione siano in realtà "giorni di rivelazione". Secondo questa teoria, il mondo non richiederebbe un'origine relativamente recente e neppure una creazione in sei giorni letterali di ventiquattro ore.
Diversi hanno fatto notare che la teoria dei "giorni di rivelazione", anche chiamata "teoria della visione", si fonda principalmente sull'incomprensione del termine "fece" contenuto in Esodo 20:11 ("Poiché in sei giorni il Signore fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi"). Wiseman attribuisce a "fece" il significato di "mostrò", però il concetto "mostrò" non è un significato valido per il termine ebraico 'asah. Non esiste nessun dizionario ebraico-inglese che attribuisca questo significato al termine ebraico. Il termine ebraico 'asah, che è usato oltre 2.600 volte nell'Antico Testamento, significa "fare, produrre, creare, ecc.", ma nemmeno una volta gli si attribuisce il significato di "mostrare", né nell'Antico Testamento, né nell'ebraico extrabiblico (Cfr. W.L. Holladay, A Concise Hebrew and Aramaic Lexicon of the Old Testament, Grand Rapids, 1971, pp. 284-285). Il significato "mostrare" è stato inventato a beneficio della teoria. Considerando tutto questo non sorprende che la teoria dei "giorni di rivelazione" non abbia trovato molti sostenitori.

Riassumendo, i "concordisti liberali" cercano di interpretare Genesi 1 in modo figurativo, simbolico, offrendone una libera lettura per accontentare le richieste dell'evoluzionismo. 
Anche i "concordisti stretti" sono interessati ad armonizzare scienza e religione, però essi non sono disposti ad effettuare una lettura libera del testo biblico. Il significato di un testo, dicono, si deve basare sul criterio interno del linguaggio e sul suo uso, secondo gli standard linguistici comunemente accettati. Per i "concordisti stretti" [con i quali ci identifichiamo, ndr] il contesto delle Scritture è fondamentale ed i modelli linguistici devono essere soggetti a regole sintattico-grammaticali sicure; essi non si nascondono le difficoltà, ma si trattengono dal forzare il significato del testo biblico, quando ciò non è sostenuto da un'appropriata analisi linguistica.
Gerhard F. Hasel

(continua)

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Sito a cura dell'A.I.S.O. Associazione Italiana Studi sulle Origini - aggiornato il 31/01/2014 

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