BOICOTAGGIO
EVOLUZIONISTA A BERGAMO E MILANO
Gli
evoluzionisti perdono un’occasione per illuminare gli ignoranti
di
Mihael Georgiev
Si
è appena concluso il convegno del 16 e 17 ottobre, organizzato
da AISO a Milano, con il titolo Cosa resta di Darwin?
L’iniziativa, programmata come parte degli eventi collegati al
bicentenario della nascita di Darwin, avrebbe dovuto tenersi in due
sedi, una all’Università di Bergamo, l’altra a
Milano. L’intenzione era di organizzare una tavola rotonda per
un confronto di idee tra chi la pensa in modo opposto. Allo scopo
erano stati invitati degli esponenti evoluzionisti del mondo
scientifico e ateo (UAAR). Ma, all’ultima ora, la sede
universitaria è stata negata, e tutti gli evoluzionisti –
tranne uno – che in un primo momento avevano accettato
l’invito, si sono rifiutati di partecipare. Così,
anziché tavola rotonda, si è avuto un tavolo con un
ospite d’onore, il Professor Roberto Verolini, che ringraziamo
sperando che si sia sentito a suo agio.
Le rinunce non sono
state per noi una sorpresa, però pongono alcuni interrogativi.
Conosciamo, certo, come certuni ci descrivono; evitando il
turpiloquio, l’elenco abbreviato degli aggettivi più
usati sono: reazionari, oscurantisti, antiscientifici, antistorici,
anticulturali, ignoranti. Mi si perdoni l’arroganza, ma
personalmente, data la fonte di tali descrizioni, le considero un
complimento.
Il problema è
un altro. In Italia i rappresentanti del mondo accademico, per fare
ricerca, spesso sono costretti ad emigrare all’estero. Pensavo
che, in questa situazione, avrebbero con più entusiasmo
dedicato il proprio talento e conoscenze all’attività
didattica e divulgativa. Sono infatti convinto che diffondere
sapienza, conoscenza e cultura non è meno nobile che inseguire
un premio Nobel. E invece pare che l’impegno prioritario di
alcuni dei nostri accademici è di partecipare alla raccolta di
firme su un noto quotidiano. Ma sforzarsi a divulgare le proprie
idee, questo no, meglio lasciare il compito alle vecchie e nuove
stelle della TV e della carta stampata, prestati dal giornalismo o la
matematica alla biologia.
Per
come lo vedevo io, l’evento di Milano (e Bergamo) offriva agli
evoluzionisti un pubblico di oltre 100 persone i quali, anche se
considerate da loro prevalentemente “reazionari,
oscurantisti, antiscientifici, antistorici, anticulturali e
ignoranti”, erano disposte e curiose di conoscere con
educazione e rispetto le loro tesi. Ma i docenti hanno perso questa
occasione.
Il perché
delle rinunce a partecipare e la negazione della sede universitaria?
Non farò dei nomi, ovviamente. Ma qualcuno aveva declinato
direttamente e responsabilmente l’invito, e si tratta di
persone con i quali personalmente mi lega (spero) reciproca stima.
Più difficile capire coloro che prima hanno detto di sì,
ma poi l’ultima ora hanno detto di no. Improvviso
ripensamento? Paura di non saper difendere le proprie posizioni di
fronte a chi la pensa diversamente? Rifiuto di partecipare ad una
riunione pubblica per paura di contagio dal virus dell’influenza
suina? Obbedienza agli ordini di scuderia (umanamente comprensibile,
anche se non codificata in obblighi contrattuali)? A proposito di
scuderie, ho l’impressione che il glorioso Istituto per
l’Ateismo scientifico presso il Comitato centrale del Partito
comunista dell’URSS, chiuso nel 1991, in realtà si è
trasferito idealmente in Occidente; non è un’idea
strampalata: se non ricordo male, qualcuno aveva offerto ospitalità
in Italia addirittura alla mummia di Lenin. Per favore, non
accusatemi di parlare di politica: la mummia è oggetto della
medicina, e il rapporto tra scienza, fede e ateismo appartiene alla
sfera della filosofia, quindi la politica non c’entra. E se
vedo certe analogie non è perché sono più
intelligente, ma perché, avendo vissuto per ventidue anni
oltre la cortina di ferro, sono di pieno diritto “uomo dei due
mondi”, senza offese al Festival di Spoleto. E di questi due
mondi discuto pubblicamente solo gli aspetti filosofici e ideologici,
non certo quelli politici.
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