Che
testi usano i tuoi figli?
Andrea
Bartelloni
Nuova
Secondaria, n.8, 2009, Anno XXVI, pag. 45
Il
2009 è l’anno centenario darwiniano, ma gli epigoni di
Charles Darwin (1809-1882), più darwinisti di lui, hanno
monopolizzato le scienze biologiche tanto che sembra non esistere
altra teoria, altro pensiero sulle origini dei viventi. Le critiche
non vengono prese in considerazione e di arrivare ai manuali
scolastici non se ne parla proprio. Viene in mente la frase dello
storico Jacques Ellul (1912-1994) che, a proposito degli scienziati,
diceva: «Basta il più piccolo dubbio sul valore assoluto
di ciò che fanno, la più misurata domanda sulla
finalità del loro lavoro, che subito un dito vendicatore si
punta contro l’infame che ha osato attentare alla maestria del
progresso» (J. Ellul, Il tradimento dell’Occidente,
Giuffrè, Milano, 1977).
Da
alcuni manuali scolastici
Il
prezioso lavoro di Jonathan Wells (pubblicato, nella nostra
traduzione originale a pag. 32 di questa rivista) non ha importanza
solamente per la manualistica in uso nel mondo anglosassone, ma anche
per quella in uso da noi e le conclusioni sono le stesse.
Abbiamo
preso in esame alcuni tra i più diffusi manuali di biologia
per la scuola secondaria di primo e secondo grado andando a vedere
come questi testi si pongono nei confronti di alcuni argomenti chiave
che vengono presentati come evidenze scientifiche e pilastri del
pensiero evoluzionista:
l’esperimento
di Miller-Urey riguardo all’origine della materia vivente;
l’embriologia
comparata;
l’albero
della vita di Darwin;
l’omologia
tra gli arti dei vertebrati;
l’“evoluzione”
della Falena punteggiata (Biston betularia)
i
fringuelli di Darwin.
Questi
temi sono gli stessi dell’analisi di Wells.
Anche
i sussidiari della scuola primaria trattano dell’origine
dell’universo, della terra e dei viventi, ma li inseriscono tra
i primi argomenti di storia che vengono affrontati dai bambini nella
terza classe. La storia
è la disciplina che si occupa dello studio del passato tramite
l'uso di fonti, nel caso delle origini del mondo e dei viventi
“dobbiamo riconoscere che ci troviamo nella situazione di
un’estrema scarsità di documenti, di una loro lacunosità
e difficoltà di interpretazione, il che equivale a dire che il
fatto [dell’evoluzione] è scarsamente provato in
base a questi criteri” (Evandro Agazzi, Nuova
Secondaria, n. 4, 2004, pag. 12).
Di
due sussidiari ho riportato alcuni brani paradigmatici.
«La
vita tra le erbe alte: gli ominidi.
Il clima cambiò e (…) le
foreste diminuirono.
E avanzò la savana: una grandissima
distesa di erbe alte con pochissimi alberi.
Alcuni
primati continuarono a vivere nelle foreste rimaste, altri si
adattarono alla vita in questi luoghi secchi e spogli. Solo gli
individui che impararono a camminare su due zampe riuscirono a
sopravvivere nella posizione eretta: la posizione eretta permetteva
loro di scorgere i pericoli nonostante l’erba alta. Le
“mani”libere consentivano di raccogliere il cibo a terra,
ma anche – più tardi- pietre e bastoni per difendersi.
L’uso
delle mani favorì anche lo sviluppo del cervello. E fu qui,
nelle savane dell’Africa, che comparvero gli ominidi.(…)
I
primati presero due strade evolutive diverse: una diede origine alle
grandi scimmie: scimpanzè e gorilla, l'altra agli ominidi dai
quali, probabilmente, derivarono i primi uomini.» (Grazia
Bonfanti, Beatrice Spagnoli, Quando i bambini…scoprono
2-3, Storia e geografia, A. Mondadori, Scuola, 2007, pag. 59).
«Scimmia
degli alberi, salto sui rami,
non ho parole ma solo richiami.
Mille
anni passano, scendo per terra, corro per caccia
e
cado per guerra.
Scimmia per terra, pugni sul suolo,
gli
occhi non vedono gli uccelli in volo.
Mille
anni passano, fabbrico armi, rizzo la schiena perché voglio
alzarmi.
Scimmia
all'impiedi, ma com'è strano... Mi sono alzata
e
guardo lontano.
Cade
un silenzio nella foresta: perché la Scimmia ha alzato la
testa.»
Melevisione,
Rai-Eri
(Progetto
Zoi, Orsa minore 3 (storia e geografia). Allegato a Orsa
minore 2. Editrice La Scuola, 2007, pag. 40)
Ora
questa storia dell’abbandono delle foreste per motivi climatici
«è stata ripetuta così tante volte e con tale
sicurezza che la maggior parte dei non esperti ha l’impressione
che si tratti di un dato scientifico accertato. Sfortunatamente,
invece, si tratta solo di una storia, per il momento senza prove
decisive a suo favore» (A.J. Tobin, J. Dusheck, Nuovo Bios
2. Domande sulla vita, Ed. Scolastiche Mondadori, Genetica ed
evoluzione, pag. 169). Ma è una storia che si ripete in quasi
tutti i manuali in particolar modo in quelli della scuola secondaria
di primo e secondo grado oggetto del nostro studio.
Questi
testi sono tutti abbastanza simili nell’impostazione generale,
le differenze stanno nella presenza o meno di alcuni dei punti
oggetto dell’analisi valutativa.
Non
compare mai una qualche, se pur velata, critica alla teoria
darwiniana o neo darwiniana che invece si trova nella letteratura
scientifica.
Il
tema dell’origine della vita
Paradigmatico
è il tema dell’origine della vita sulla Terra che non
rientrerebbe strictu sensu sotto il capitolo evoluzione, ma
che i manuali devono affrontare per far partire da qualche punto la
vita sulla Terra. Ebbene, l’esperimento di Miller, si trova
nella maggior parte dei manuali e qualcuno arriva ad affermare che è
stato confermato in esperimenti successivi (F. Tibone,
Scopriamo le scienze della Terra, Zanichelli, 2006, pag.
201). In un testo si legge che i ricercatori “non hanno
dimostrato che tali composti organici si sono spontaneamente formati
sulla Terra primitiva, ma solo che si sarebbero potuti formare”
(Helene Curtis, Sue Barnes, Invito alla biologia, Zanichelli,
quinta edizione, 2008, pag. 45). E già questa è una
bella concessione alla realtà.
Qua
e là si colgono frasi che lasciano intendere la presenza di
dubbi: un condizionale, una frase lasciata a metà come quella
che si legge (Ezia Nicoletti, Paola Peretti, Gabriella Somaschi, I
segreti delle scienze, Nuova edizione, 2008, Cedam scuola, a pag.
217) a proposito dell’Archeopterix: “fu a lungo
considerato l’anello di congiunzione fra rettili e uccelli”.
La frase rimane a metà e non si capisce come venga considerato
adesso.
L’evoluzione
in atto è un altro cavallo di battaglia presente dappertutto e
come esempi si riportano le descrizioni degli esperimenti sulla
Biston betularia o il caso delle resistenze batteriche.
Ma
è la paleontologia il fulcro della teoria dell’evoluzione,
la prova cardine su cui tutto ruota. È evidente che “i
fossili sono la testimonianza concreta delle trasformazioni delle
specie nel tempo” (Alba Gainotti, Alessandra Modelli La
Biologia. Diversità e unità della vita, Quarta
edizione, Zanichelli editore, 2007, modulo A, pag. 41), ma la
paleontologia non è in grado di fornire alcuna prova
inequivocabile dell'esistenza effettiva di quelle transizioni da un
gruppo all’altro che costituiscono l'essenza del paradigma
evoluzionistico. Emerge, anzi, il legittimo sospetto che quella di
postulare fasi di cambiamento rapido corrispondenti alla comparsa di
"novità" evolutive [teoria degli “equilibri
punteggiati”] non sia altro, in definitiva, che una
soluzione ad hoc per
qualcosa che sfugge completamente alla nostra comprensione.
(Roberto Fondi, Evoluzionismo e olismo: due paradigmi
interpretativi differenti per il fenomeno dell’evoluzione
biologica, in La logica dell’evoluzione dei viventi.
Spunti di riflessione, Atti del XII Convegno del Gruppo Italiano
di Biologia Evoluzionistica, Firenze, 18-21 febbraio 2004, Firenze
University Press, 2005). All’interno delle specie si notano
delle modificazioni, ma niente, in paleontologia dimostra la
macroevoluzione.
Omologie
e alberi genealogici
Quasi
tutti i manuali esaminati riportano tra le prove dell’evoluzione
le omologie tra gli arti dei vertebrati, le somiglianze negli stadi
embrionali, per non parlare degli alberi genealogici che continuano
ad essere presenti nei testi nonostante le affermazioni del famoso
paleontologo, Stephen J. Gould (1941-2002), padre, assieme a Niels
Eldredge della teoria degli “equilibri punteggiati”: «gli
alberi genealogici delle linee evolutive che abbelliscono i nostri
manuali non contengono altri dati che quelli delle estremità
(…); i rami sono deduzioni, sicuramente plausibili, ma che non
vengono confermate da nessun fossile.»
Un’affermazione
interessante la si trova su un testo universitario dove si legge che
“la maggior parte dei principali phyla di animali fece la sua
comparsa in pochi milioni di anni, all’inizio del periodo
Cambriano. Questa fu definita esplosione cambriana, perché,
prima di questa epoca i depositi fossili erano quasi del tutto privi
di qualcosa di più complesso di una cellula batterica.”
(C. P. Hickman Jr., L.S. Roberts, A. Larson, H. l’Anson,
Fondamenti di zoologia, McGraw-Hill, 2005, pag. 30).
A
proposito dell’origine dell’uomo la paleontologia
considera gli australopitechi vere e proprie scimmie:
«L’insieme
dei resti fossili attribuibili con sicurezza al genere umano si
distingue da quello delle cosiddette Australopitecine: sorta di
scimmioni ad andatura bipede e idonee all’habitat arboreo
(Africa da 7 a 1 milione di anni fa).
Fanno
parte di questo gruppo: Sahelanthropus, Orrorin, Ardipithecus,
Australopithecus, Kenyanthropus, Paranthropus, tra questi ritroviamo
la cosiddetta “Lucy”.
Le
forme fossili impropriamente denominate Homo habilis e Homo
rudolfiensis, in base a recenti ritrovamenti, sono Australopitecine.
Con
sicurezza al genere Homo appartengono due insiemi: Homo sapiens
(100.000 anni fa) e Homo neanderthalensis che si pensa abbiano
convissuto a lungo.» (Roberto Fondi, La scimmia nuda.
Dimenticare Darwin, Il Cerchio, 2003, pagg. 21, 22, 23.)
Un
testo che esce dal coro della manualistica in uso è
un’antologia di letture di biologia, dove tra gli
approfondimenti e le indicazioni bibliografiche leggiamo di “problemi
insoluti nell’ambito della biologia evoluzionistica” e
delle perplessità di alcuni scienziati di fronte a “forme
di organizzazione sempre più complesse” (Carla Cardano,
Laura Rossi, Nuove letture di biologia, SEI, 2003, pag. 168);
come pure mi sembra opportuno segnalare Reinhard
Junker e Siegfried Scherer, Evoluzione:
Un trattato critico. Certezza
dei fatti e diversità delle interpretazioni, Milano,
Gribaudi, 2007. Il
libro è stato citato dall’allora cardinal J. Ratzinger
in una lezione tenuta il 27 novembre 1999 all’Università
la Sorbona di Parigi. Il testo è fortemente raccomandato agli
interessati dell’evoluzione biologica. L’unicità
del libro sta nel fatto che l’evoluzione è discussa non
nei limiti imposti dal materialismo filosofico, ma partendo dai
fatti, che sono certi, gli autori espongono le
interpretazioni, che sono invece diverse e vanno da
quella materialista, attualmente di moda, a quella dei creazionisti
biblici.
Considerazioni
pedagogiche
Ci
sembra importante riprendere alcune considerazioni pedagogiche che mi
pare vadano oltre la discussione sulle teorie scientifiche e per
questo particolarmente utili: « Pretendere di presentare a
degli allievi «la teoria dell'evoluzione» senza far
loro sapere che esistono diverse teorie è già un
grave arbitrio. Supposto anche che si voglia presentare una teoria
(ad esempio la darwiniana) come quella che si considera ormai la
più accreditata, è inevitabile che essa rischi di venir
presentata sostanzialmente come un «mito» se non è
accompagnata da una presentazione critica dei fatti su cui si
basa. Diciamo «mito» senza alcuna vena polemica:
tale è infatti ogni «racconto» plausibile che
intenda presentare dei presunti fatti senza le rispettive prove.
Pertanto la presentazione non mitica della teoria dell'evoluzione
presuppone che si siano precedentemente esposti criticamente i fatti
relativi e ciò, come si è visto, comporta
l'acquisizione di parecchie conoscenze empiriche e concettuali,
che dovranno essere gradualmente offerte lungo l’arco dell’età
evolutiva, incominciando da quelle che si riferiscono alla
storia della terra, alla percezione delle scale temporali implicite
nelle ere geologiche, alla presa di contatto con i fossili
accompagnata dalla loro corretta interpretazione, alla valutazione
dei diversi «dati» che entrano nel concetto di
evoluzione e che non si possono evidentemente presentare senza
preconoscenze di botanica, zoologia, biologia. Soltanto a questo
punto (e senza sorvolare sulle difficoltà interpretative di
cui si è parlato), si potrà correttamente presentare
l'idea del trasformismo e, di seguito, passare a presentare le
teorie dell'evoluzione. In questo modo sarà anche
possibile porre a frutto le metodologie interdisciplinari e
contribuire a formare per davvero lo spirito scientifico, che non
consiste nell'accogliere senza consapevolezza critica i «contenuti»
delle scienze, ma nel rendersi conto di come si è pervenuti ad
essi e perché meritano di esser ritenuti affidabili.»
(Evandro Agazzi, Nuova Secondaria, n. 4, 2004, pag.13).
In
conclusione, il panorama dei manuali scolastici presenta una
uniformità e un appiattimento senza che lasci trasparire la
presenza di un dibattito scientifico o, quantomeno, le difficoltà
che la teoria neo-darwiniana incontra per spiegare le origini di
tutto. È difficile riscontare anche solo l’ enunciazione
di teorie alternative che attualmente si confrontino con queste
importanti questioni.
Andrea
Bartelloni
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