COME
SOPRAVVIVONO LE FALSITA’
Jonathan
Wells
Nuova
Secondaria, n. 8, 2009, Anno XXVI, pag. 32
La
questione dell'evoluzione non è soltanto scientifica e gli
stessi dibattiti che leggiamo oggi sulla stampa e in opuscoli
divulgativi hanno assai spesso un impianto più o meno
scopertamente ideologico. È quindi importante, per riportare
il dibattito su un piano di onestà e serietà,
ristabilire innanzi tutto i diritti dell'obiettività. In
particolare sgomberare il campo da diverse "illustrazioni"
delle tesi evoluzioniste che hanno il vantaggio della persuasività
intuitiva, ma che sono in realtà false. Nonostante tale loro
falsità sia nota da tempo, esse continuano ad esser ripetute
immutate in pubblicazioni varie e anche nei libri di testo. Metterle
a nudo non sottintende il proposito di minare le teorie
dell'evoluzione; al contrario, se queste hanno delle prove a loro
sostegno, è molto meglio che ci si limiti a queste, anche se
sono meno intuitive e più incerte, piuttosto che vendere delle
false certezze. Pubblichiamo qui di seguito la traduzione di un
famoso articolo del biologo americano J. Wells che fece molto rumore
alcuni anni or sono e che conserva intatta la sua attualità.
Quanto egli afferma a proposito di testi e manuali utilizzati negli
Stati Uniti trova il suo analogo anche in Italia. Pertanto abbiamo
semplicemente sostituito le illustrazioni che appaiono nell'articolo
originale con illustrazioni di identico contenuto che figurano in
testi italiani di cui diamo puntualmente la fonte (n.d.r.).
Oggi
la scienza sa che molti pilastri della teoria darwiniana sono falsi o
fuorvianti. Eppure i testi di biologia continuano a presentarli come
prova effettiva dell’evoluzione. Questo cosa implica nei loro
standard scientifici?
Se
quando studiavo scienze a Berkley mi avessero chiesto se credevo o no
a quello che leggevo nei miei libri di scienze, avrei risposto
proprio come farebbero i miei studenti: imbarazzato di ricevere
questa come prima domanda. Uno potrebbe trovare piccoli errori, ad
es. di battitura e di stampa, ma credevo veramente che i miei libri
di scienze rappresentassero la migliore conoscenza scientifica a quel
tempo disponibile.
Fu
solo quando stavo finendo il mio dottorato in biologia della cellula
e dello sviluppo che notai ciò che all’inizio avevo
scambiato per una strana anomalia. Il libro di testo che stavo usando
utilizzava soprattutto disegni di embrioni vertebrati,
pesci-polli-umani, ecc., dove le somiglianze erano presentate come
prova della discendenza da un antenato comune. Effettivamente i
disegni erano molto simili. Ma avevo studiato embrioni per un bel po’
di tempo osservandoli al microscopio, quindi sapevo che i disegni
erano sbagliati.
Ricontrollai
tutti i miei altri libri di testo. Tutti avevano disegni simili e
ovviamente erano tutti sbagliati. Non solo distorcevano gli embrioni
che rappresentavano, ma omettevano i primi stadi in cui gli embrioni
sono molto diversi gli uni dagli altri. Come la maggior parte degli
studenti di scienze e degli scienziati lasciai passare la cosa. Ciò
nell’immediato non comprometteva il mio lavoro, e pensai che
forse i testi erano di un’edizione sbagliata, e comunque
un’eccezione alla regola.
Però
nel 1997 il mio interesse per gli embrioni si riaccese quando
l’embriologo inglese Michael Richardson e i suoi colleghi
pubblicarono i risultati del loro studio sul confronto dei disegni
dei libri di testo con i veri embrioni. Lo stesso Richardson fu
citato nella prestigiosa rivista Science: «Sembra si
stia rivelando uno dei più famosi in biologia». Ma era
anche peggio. Questa non era una frode recente, né la sua
scoperta era recente. I disegni degli embrioni che compaiono nella
maggior parte dei testi delle superiori e dei college sono
riproduzioni, oppure sono basati su una serie famosa di disegni di un
biologo tedesco del 19° sec. fervente darwiniano, Ernst Haeckel.
Questi disegni erano ritenuti contraffazioni da oltre 100 anni dagli
esperti di Darwin e della teoria evolutiva. Ma nessuno di loro,
apparentemente, era stato in grado di correggere questa generalizzata
cattiva informazione.
Ritenendola
ancora una circostanza eccezionale divenni curioso di veder se
riuscivo a trovare altri errori nei testi comuni di biologia che
trattano l’evoluzione. La mia ricerca, però, rivelò
un fatto allarmante: lontano dall’essere una eccezione, queste
evidenti mistificazioni spesso sono la regola.
Nel
mio libro recente le chiamo «icone dell’evoluzione»
perché così tante sono rappresentate da consuete
illustrazioni classiche che, come i disegni di Haeckel, hanno servito
anche troppo bene al loro scopo pedagogico: fissare la
disinformazione sulla teoria evolutiva nella mente del pubblico.
Tutti
li ricordiamo dalle lezioni di biologia: gli esperimenti che creavano
i blocchi da costruzione della vita in una provetta, l’albero
dell’evoluzione radicato nel brodo primordiale che si dirama in
animali e piante. Poi c’erano le strutture ossee simili, per
esempio, dell’ala di un uccello e la mano di un uomo, le falene
punteggiate, e i cardellini di Darwin. E, naturalmente, gli embrioni
di Haeckel.
Succede
che tutti questi esempi, insieme ad altri scelti volutamente come
prova dell’evoluzione, risultano essere sbagliati, e non di
poco. Sul tema dell’evoluzione darwiniana i testi contengono
numerose distorsioni e perfino alcune prove false. Non stiamo
parlando solo di testi per le superiori che alcuni potrebbero
giustificare (ma non dovrebbero) con la necessità di aderire a
standard più bassi. Sono colpevoli anche alcuni dei testi più
prestigiosi e più usati nei college come Biologia evolutiva
di D. Futuyma e l’ultima edizione del testo universitario
Biologia molecolare della cellula di cui è coautore
Bruce Alberts, Presidente dell’Accademia Nazionale delle
Scienze. In effetti quando si elimina la prova falsa, il caso
dell’evoluzione darwiniana, almeno nei libri di testo, è
così sottile da essere quasi invisibile.
La
vita in una bottiglia
Nel
1953 chiunque fosse stato abbastanza grande da capire l’importanza
della notizia, ricorderà quanto fu scioccante e per molti
esilarante. Gli scienziati Stanley Miller e Harold Urey erano
riusciti a creare i «blocchi da costruzione della vita»
in una provetta. Riproducendo quelle che si credevano essere le
iniziali condizioni naturali dell’atmosfera sulla terra e poi
inviando una scintilla elettrica, Miller e Urey avevano formato degli
amminoacidi semplici. Poiché gli amminoacidi sono i «blocchi
della vita» si pensava che fosse solo una questione di tempo il
fatto che gli scienziati riuscissero a creare degli organismi
viventi. Al tempo ciò sembrò un’incredibile
conferma della teoria evolutiva. La vita non era un miracolo. Nessuna
agenzia esterna o intelligenza divina era necessaria.
Metti
insieme i gas giusti, aggiungi energia, e la vita è destinata
a crearsi. E’ un evento comune. In questo modo Carl Sagan
poteva predire con fiducia su PBS che i pianeti orbitanti attorno a
miliardi di stelle lassù devono essere brulicanti di vita.
Però
c’erano dei problemi. Gli scienziati non sono mai stati capaci
di andare oltre gli aminoacidi nel loro ambiente primordiale
simulato, così la creazione delle proteine cominciò a
sembrare non un piccolo passo, ma un enorme, forse insormontabile
linea di divisione.
Un
colpo efficace all’esperimento di Miller-Urey però
arrivò negli anni ’70 quando gli scienziati cominciarono
ad affermare che l’ atmosfera iniziale della terra non era per
niente come come l’insieme di gas usati da Miller e Urey.
Invece di essere quello che gli scienziati chiamavano un ambiente
«riducente» o ricco di idrogeno, l’atmosfera
iniziale della terra probabilmente era formata da gas emessi dai
vulcani. Oggi c’è un maggior consenso fra i geochimici
su questo punto. Ma se si utilizzano questi gas vulcanici nel modello
Miller-Urey l’esperimento non funziona, in altre parole non si
ha alcun «blocco da costruzione».
Cosa
fanno i libri di testo al riguardo? In generale lo ignorano e
continuano ad usare l’esperimento di Miller e Urey per
convincere gli studenti che gli scienziati hanno dimostrato un
importante primo passo dell’origine della vita. Ciò vale
anche per il suddetto Biologia molecolare della cellula di cui
è coautore Bruce Albert, il Presidente dell’Accademia
delle Scienze.
La
maggior parte dei libri di testo continuano anche a raccontare agli
studenti che i ricercatori sull’origine della vita hanno
raccolto numerose prove per spiegare come la vita si sia originata
spontaneamente, ma non dicono agli studenti che li stessi ricercatori
ammettono che la spiegazione ancora le elude.
Embrioni
contraffatti
Darwin
pensava che il gruppo di prove più importanti a favore della
sua teoria venisse dall’embriologia. Darwin però non
era un embriologo, quindi si affidò all’opera del
biologo tedesco Ernst Haeckel, il quale produsse dei disegni di
embrioni di varie classi di vertebrati per dimostrare che nei primi
stadi sono virtualmente identici, e si modificano notevolmente solo
quando si sviluppano. E’ questo modello che Darwin trovò
così convincente. Questa può essere la maggiore
distorsione in quanto i biologi sanno da oltre un secolo che gli
embrioni dei vertebrati non sono mai così simili come li
disegnò Haeckel. In alcuni casi Haeckel usò gli stessi
stampi per embrioni di classi diverse. In altri adattò i
disegni per far sembrare gli embrioni più simili di quanto non
lo siano realmente. I contemporanei di Haeckel lo criticarono molto
per queste rappresentazioni fasulle, e mentre era in vita le accuse
di frode si sprecarono. Nel 1997 l’embriologo inglese Michael
Richardson e un team internazionale di esperti confrontò i
disegni di Haeckel con foto di veri embrioni di vertebrati
dimostrando così, in modo inconfutabile, che i disegni sono
una contraffazione della realtà.
I
disegni sono fuorvianti anche in un altro modo.
Darwin
basò la sua supposizione di un comune antenato sulla credenza
che le primissime fasi dello sviluppo dei vertebrati siano le più
simili. I disegni di Haeckel però omettono del tutto le prime
fasi che sono molto diverse ed iniziano ad essere più simili a
metà dello sviluppo. L’embriologo William Ballard nel
1976 scrisse che «solo con trucchetti semantici ed una
selezione soggettiva delle prove, e piegando i fatti della natura»
è possibile sostenere che i primi stadi dei vertebrati «sono
più simili di quelli adulti».
Eppure
alcune versioni dei disegni di Haeckel si trovano ancora in testi
correnti di biologia. Stephen Jay Gould, uno dei maggiori seguaci
della teoria evolutiva, recentemente ha scritto che dovremmo «essere
stupiti e vergognarci per un secolo di disattento riciclo che ha
portato al persistere di tali disegni in molti, se non nella
maggioranza, dei libri di testo moderni.» (Tornerò in
seguito sulla questione del perché solo ora il Sig. Gould, che
da decenni è al corrente di questi falsi, ha deciso di portare
alla luce questa questione.)
L’albero
della vita di Darwin
In
L’origine delle specie Darwin scrisse: «Considero
tutti gli esseri non creazioni speciali, ma i discendenti diretti di
pochi esseri» che vissero in un passato distante. Lui credeva
che le differenze fra le specie moderne sorsero soprattutto
attraverso la selezione naturale, o la sopravvivenza di quelle più
adatte, e definì l’intero processo «discendenza
con modificazioni».
Naturalmente
nessuno dubita che ciò in parte sia accaduto, ma la teoria di
Darwin vuol dar conto dell’origine delle nuove specie, anzi, di
ogni specie fin dalla nascita delle prime cellule dal brodo
primordiale.
Questa
teoria ha la capacità di fare previsioni: se tutte le cose
viventi sono discendenti gradualmente modificati di una o poche forme
originarie, allora la storia della vita dovrebbe assomigliare ad un
albero ramificato. Sfortunatamente, nonostante i proclami ufficiali,
tale previsione si è rivelata per molti versi sbagliata.
I
reperti fossili dimostrano che i maggiori gruppi di animali erano già
del tutto formati all’epoca «dell’esplosione
Cambriana», e non divergono da un comune antenato. Darwin era a
conoscenza di ciò e lo considerava una seria obiezione alla
sua teoria, ma lo attribuiva all’imperfezione dei reperti
fossili, e pensava che le future ricerche avrebbero fornito gli
antenati mancanti.
Ma
un secolo e mezzo di raccolte di fossili ha solo aggravato il
problema. Invece delle piccole differenze che si avevano all’inizio,
più sono grandi le differenze che si sono verificate in
seguito, più sembrano grandi le differenze che dovevano
esserci proprio all’inizio. Alcuni esperti di fossili
descrivono questa evoluzione come «dall’alto verso il
basso» che contraddice lo schema «dal basso verso l’alto»
della teoria di Darwin. Eppure la maggior parte dei testi in uso non
cita neppure «l’esplosione Cambriana», e ancora
meno la sfida che questa rappresenta alla teoria di Darwin.
Poi
è arrivata la prova dalla biologia molecolare. I biologi negli
anni ’70 hanno iniziato a testare lo schema dell’albero
ramificato di Darwin confrontando le molecole di varie specie. Più
le molecole di due specie diverse sono simili, più si presume
che queste siano strettamente correlate. A prima vista questo
approccio sembra confermare l’albero della vita di Darwin. Ma
quando gli scienziati hanno confrontato molte altre molecole hanno
scoperto che diverse molecole danno risultati contrastanti. Lo schema
dell’albero che si desume da una molecola spesso contraddice lo
schema ottenuto da un’altra.
Il
biologo molecolare canadese W. Ford Doolittle crede che questo
problema non si risolverà. Forse gli scienziati non sono
riusciti a trovare il «vero albero», scrisse nel 1999,
«non perché i loro metodi sono inadeguati o perché
hanno scelto i geni sbagliati, ma perché la storia della vita
non può essere adeguatamente rappresentata come un albero».
Ciò nonostante i libri di testo di biologia continuano ad
assicurare gli studenti che l’albero della vita di Darwin è
un dato scientifico pienamente confermato dalle prove. Però a
giudicare dai fossili e dalle prove molecolari la teoria è una
mera ipotesi mascherata da fatto.
Sembrano
tutti uguali: omologia fra gli arti dei vertebrati
La
maggior parte dei testi introduttivi di biologia riportano immagini
di arti di vertebrati che mostrano somiglianze nella struttura ossea.
I biologi prima di Darwin avevano notato questa specie di somiglianza
e la chiamavano «omologia», attribuendola ad un comune
archetipo o design. Però nell’ Origine delle specie
Darwin sosteneva che la spiegazione migliore per l’omologia
fosse la discendenza con delle modifiche, e la considerava una prova
per la sua teoria.
I
seguaci di Darwin si affidavano alle omologie per sistemare i fossili
in alberi ramificati che dovevano mostrare relazioni di tipo
antenato-discendente. Il biologo Tim Berra nel suo libro del 1990
L’evoluzione e il mito del creazionismo ha rapportato
reperti fossili a una serie di modelli di Corvette: «Se se si
mettono a confronto un modello Corvette del 1953 e uno del 1954, uno
accanto all’altro, poi uno del 1954 e uno del 1955, e così
via, la discendenza con modificazioni è assolutamente ovvia».
Ma Berra ha scordato di considerare un punto ovvio e cruciale: le
Corvette finora, come altri sono stati in grado di determinare, non
hanno dato vita a piccole Corvette. Queste, come tutte le automobili,
sono progettate da persone che lavorano per le industrie
automobilistiche. In altre parole, un’intelligenza esterna.
Quindi, sebbene Berra fosse convinto di sostenere l’evoluzione
darwiniana e non una spiegazione pre-darwiniana, senza volerlo
dimostrava che la prova fossile è compatibile con entrambe. Il
professore di diritto (e critico di Darwin) Phillip E. Johnson l’ha
definito «l’abbaglio di Berra».
La
lezione dell’abbaglio di Berra è che dobbiamo
specificare un meccanismo naturale prima di poter escludere
scientificamente una costruzione progettata come la causa
dell’omologia. I biologi darwiniani hanno proposto due
meccanismi: la via dello sviluppo e i programmi genetici. Secondo il
primo i caratteri omologhi nascono da cellule simili e si trasformano
nell’embrione; secondo l’ altro i caratteri omologhi sono
programmati da geni simili. Ma i biologi sanno da un centinaio d’anni
che le strutture omologhe spesso non sono prodotte da vie di sviluppo
tradizionali, e sanno da 30 anni che spesso non sono prodotti da geni
simili. Quindi non c’è nessun meccanismo empiricamente
dimostrato per stabilire che le omologie sono dovute ad antenati
comuni piuttosto che a un design comune.
Senza
un meccanismo i moderni darwiniani hanno definito l’omologia
semplicemente per designare la somiglianza dovuta ad un comune
antenato. Secondo Ernst Mayr, uno dei principali architetti del
moderno neo darwinismo: «Dopo il 1859 c’è stata
solo una definizione di omologo che ha senso: gli attributi di due
organismi sono omologhi quando derivano da una caratteristica
equivalente dell’antenato comune».
Questo
è il classico caso di un ragionamento circolare. Darwin
considerava l’evoluzione una teoria e l’omologia la sua
prova. I seguaci di Darwin ritengono che l’evoluzione si sia
avuta in modo indipendente e che l’omologia ne sia il
risultato. Ma allora non si può usare l’omologia come
prova dell’evoluzione se non si ragiona in modo circolare: la
somiglianza dovuta ad un antenato comune dimostra un antenato comune.
I
filosofi della biologia criticano questo approccio da decenni. Come
Ronald Brady scrisse nel 1985: «Trasformando la nostra
spiegazione in una definizione che possa essere spiegata, noi non
esprimiamo ipotesi scientifiche ma credenze. Siamo così sicuri
che la nostra spiegazione sia vera che non abbiamo più la
necessità di distinguerla dalla situazione che stavamo
cercando di spiegare. Sforzi dogmatici di questo tipo alla fine
devono lasciare il campo della scienza».
Quindi,
come trattano questa faccenda i libri di testo? Ancora una volta la
ignorano. Infatti agli studenti danno l’impressione che abbia
senso definire l’omologia in termini di antenati comuni, per
poi girarci intorno e usarla come prova per un antenato comune. E
questa la chiamano «scienza».
Basta
fissare con un po’ di colla: la falena punteggiata
Darwin
era convinto che nel corso dell’evoluzione «la selezione
naturale era stata la più importante ma non l’unico modo
in cui erano avvenute le modificazioni», però non ne
aveva prova diretta. La cosa migliore che poté fare ne
L’origine delle specie era dare «una o due
illustrazioni immaginarie».
Negli
anni ’50 il fisico inglese Bernard Kettlewell fornì
quella che sembrava essere la prova definitiva della selezione
naturale. Nel secolo precedente in Inghilterra le falene punteggiate
erano passate dall’essere predominante di colore chiaro al
colore scuro. Si pensò che questo cambiamento fosse avvenuto
perché le falene scure si mimetizzavano meglio sui tronchi
degli alberi scuriti dall’inquinamento, e quindi era meno
probabile che potessero essere mangiate dagli uccelli predatori.
Per
testare questa ipotesi in modo sperimentale Kettelwell liberò
delle falene chiare e scure su alberi in zone inquinate e non, e poi
osservò quali falene erano mangiate maggiormente. Come ci si
aspettava gli uccelli mangiarono più falene chiare in zone
inquinate, e più falene scure in zone non inquinate. In un
articolo per Scientific American Kettelwell la definì
«la prova che mancava a Darwin». Le falene punteggiate
divennero l’esempio classico della selezione naturale in atto e
questa storia è ancora raccontata nella maggior parte dei
testi introduttivi di biologia, accompagnata da foto delle falene
sugli alberi. Negli anni ’80 però i ricercatori
trovarono la prova che la versione ufficiale si stava incrinando
–incluso il fatto che normalmente le falene non si riposano sui
tronchi degli alberi. Queste, infatti, di notte volano e di giorno si
nascondono fra i rami più alti. Liberando le falene di giorno
sugli alberi nelle vicinanze Kettelwell aveva creato una situazione
artificiale che non esiste in natura. Adesso molti biologi
considerano i suoi risultati non validi, e alcuni si chiedono perfino
se la selezione naturale sia davvero responsabile dei cambiamenti
osservati.
Allora
da dove provengono tutte le foto delle falene sui tronchi d’albero
dei libri di testo? Sono tutte una messa in scena. Per facilitare le
cose alcuni fotografi hanno perfino incollato sugli alberi delle
falene morte. Naturalmente le persone che hanno fatto queste
contraffazioni prima degli anni ’80 pensavano di rappresentare
la verità dei fatti, mentre adesso sappiamo che stavano
sbagliando. Eppure un’occhiata a quasi tutti i testi in uso di
biologia rivelano che quelle foto sono ancora usate come prova della
selezione naturale.
Nel
1999 uno scrittore di libri di testo canadese giustificava così
quella consuetudine «si deve considerare il pubblico. Quanto la
vuoi far difficile per un principiante?». Bob Ritter fu citato
per aver detto sull’ Alberta Report Newsmagazine
(aprile 1999) che gli studenti delle superiori «sono ancora
molto concreti nel modo di imparare. Noi vogliamo far capire l’idea
dell’adattamento selettivo. In seguito potranno guardare il
lavoro in modo critico».
Quel
«in seguito» deve significare molto più tardi.
Quando il Professore Jerry Coyne dell’università di
Chicago ha scoperto la verità era nel pieno della sua carriera
di biologo evoluzionista. La sua esperienza mostra quanto siano
insidiose le icone dell’evoluzione perché fuorvianti per
esperti e principianti.
Becchi
e uccelli: i cardellini di Darwin
Un
quarto di secolo prima che Darwin pubblicasse L’origine
delle specie egli andava formulando le proprie idee di
naturalista sulla nave inglese per rilievi H. M. S. Beagle. Quando la
Beagle visitò le isole Galapagos nel 1853 Darwin raccolse
campioni naturali del luogo inclusi alcuni cardellini. Sebbene i
cardellini abbiano poco a che fare con lo sviluppo della teoria
dell’evoluzione, questi hanno attratto l’attenzione di
alcuni moderni biologi evoluzionisti come ulteriore prova della
selezione naturale. Negli anni ’70 Peter e Rosemary Grant e i
loro colleghi notarono un aumento del 5% nella dimensione del becco
dopo una grave siccità poiché ai cardellini erano
rimasti solo dei semi duri da rompere. Il cambiamento anche se
significativo era piccolo, eppure alcuni darwiniani dicono che ciò
spiega come ebbe origine la specie dei cardellini.
Un
libretto del 1999 pubblicato dall’Accademia Americana di
Scienze descrive i cardellini di Darwin come «un esempio
particolarmente importante» sull’origine delle specie. Il
libretto cita il lavoro di Grant e spiega come «un solo anno di
siccità nelle isole possa favorire cambiamenti evolutivi nei
cardellini». Il libretto calcola anche che «se ci fossero
siccità ogni 10 anni, in solo 200 anni si avrebbe una nuova
specie».
Ma il libretto ha sbagliato nel non
dire che i becchi sono tornati normali quando sono ritornate le
piogge. Non si è avuto nessuna evoluzione netta. Infatti ora
molte specie di cardellini si sono unite attraverso l’ibridazione
e non si sono diversificate attraverso l’evoluzione naturale
come richiede la teoria di Darwin.
Celare
le prove per dar l’impressione che i cardellini di Darwin
confermano la teoria evolutiva sconfina nella disonestà
scientifica. Secondo il biologo di Harvard Luis Guenin (che ha
scritto in Nature nel 1999) le leggi sulla sicurezza
americana «sono la migliore fonte di guida basata
sull’esperienza» nel definire ciò che costituisce
una cattiva condotta scientifica. Eppure un promotore finanziario che
dice a un cliente che certe azioni raddoppieranno il loro valore in
20 anni perché sono salite del 5% nel 1998, e nasconde il
fatto che le stesse azioni sono scese del 55 nel 1999, potrebbe
essere accusato di frode. Come il Professore di diritto Phillip E.
Johnson scrisse nel Wall Street Journal nel 1999: «Quando
i nostri maggiori scienziati devono ricorrere alle distorsioni che
porterebbero in prigione un agente di borsa, capite che sono nei
guai».
Dalle
scimmie agli umani
La
teoria di Darwin ottiene il merito che le spetta quando è
applicata alle origini umane.
Questo
tema è appena accennato ne L’origine delle specie,
ma in seguito è ampiamente trattato in L’origine
dell’uomo. «Il mio obiettivo, - spiegò - è
dimostrare che non c’è una differenza fondamentale fra
l’uomo e gli animali che posseggono elevate facoltà
mentali», perfino la morale e la religione. Secondo Darwin la
tendenza dei cani a immaginare un ente nascosto nelle cose mosse dal
vento «può facilmente passare nell’idea
dell’esistenza di un o più dei».
Naturalmente
la consapevolezza che il corpo umano è parte della natura
esisteva già prima di Darwin. Ma Darwin stava affermando molto
di più. Come i filosofi materialisti dell’antica Grecia,
Darwin credeva che gli esseri umani non sono niente più che
animali.
Darwin
però aveva bisogno di prove per confermare la sua congettura.
Sebbene gli uomini di Neanderthal fossero già stati scoperti,
questi non venivano considerati progenitori degli uomini, quindi
Darwin non aveva prove fossili per le sue idee. Fu solo nel 1912 che
il paleontologo Charles Dawson annunciò di aver scoperto ciò
che i darwiniani stavano cercando, in una buca di ghiaia a Piltdown
in Inghilterra.
Dawson
aveva trovato una parte di cranio umano e parte di una mascella
inferiore simile a quella di una scimmia con due denti. Solo 40 anni
dopo un gruppo di scienziati dimostrò che il cranio di
Piltdown, anche se vecchio di migliaia di anni, apparteneva ad un
uomo moderno, mentre il frammento di mascella era più recente
e apparteneva ad un orango. La mascella era stata trattata
chimicamente per farla sembrare un fossile e i denti erano stati
deliberatamente limati per farli sembrare umani. L’uomo di
Piltdown era una falsificazione.
La
maggior parte dei moderni libri di testo neppure citano Piltdown.
Quando i critici di Darwin lo fanno di solito gli viene risposto che
l’incidente dimostra solamente che la scienza si autocorregge.
E così è stato in questo caso, anche se ci sono voluti
40 anni. Ma la lezione più interessante da imparare da
Piltdown è che gli scienziati, come tutte le altre persone,
possono sbagliare se vedono quello che vogliono vedere.
La
stessa soggettività che preparò la strada a Piltdown
continua a condannare la ricerca sulle origini dell’uomo.
Secondo il paleoantropologo Misia Landau le teorie sulle origini
umane «superano di gran lunga ciò che si può
desumere dallo studio dei soli fossili, e in effetti danno a questi
un pesante fardello di interpretazioni – un fardello che si può
alleggerire ponendo i fossili in preesistenti strutture narrative».
Nel
1996 il curatore del museo americano di storia naturale Ian
Tattersall riconobbe che «nella paleoantropologia i modelli che
percepiamo probabilmente derivano tanto dai nostri schemi mentali
inconsci, quanto dalle prove. L’antropologo Geoffrey Clark
dell’università statale dell’Arizona riaffermò
questo concetto nel 1997 quando scrisse «Noi selezioniamo fra
serie di conclusioni di ricerche a seconda delle nostre inclinazioni
e concezioni». Clark suggerì che «la
paleoantropologia ha la forma ma non la sostanza della scienza».
Gli
studenti di biologia ed il pubblico raramente sono informati della
profonda incertezza sull’origine umana che si riflette nelle
affermazioni di questi esperti di scienze, invece, vengono
semplicemente «nutriti» con le ultime speculazioni come
se fossero fatti. E le speculazioni vengono illustrate con fantasiosi
disegni di uomini delle caverne, o foto di attori pesantemente
truccati.
Che
cosa sta succedendo?
La
maggior parte di noi pensa che ciò che sentiamo dagli
scienziati sia degno di fiducia. I politici possono distorcere la
verità o modificarla per sostenere un ordine del giorno
prestabilito, ma gli scienziati, ci viene detto, trattano i fatti.
Sicuramente qualche volta possono sbagliare ma la bellezza della
scienza è che è empiricamente verificabile. Se una
teoria è sbagliata questo verrà scoperto da altri
scienziati che fanno esperimenti in modo indipendente per replicare o
confutare i loro risultati. In questo modo i dati sono costantemente
rivisti e le ipotesi diventano teorie ampiamente accettate. Allora
come spieghiamo una distorsione così invasiva e duratura dei
fatti specifici usati per sostenere la teoria evolutiva? Forse
l’evoluzione di Darwin ha assunto un significato nella nostra
cultura che ha poco a che fare col suo valore scientifico.
Un’indicazione di ciò si è vista nella reazione
quasi universale e ipercritica alla decisione del consiglio della
Kansas School di dar spazio al dissenso nell’insegnamento
standard dell’evoluzione (molto del quale, abbiamo visto, è
sbagliato).
Secondo
le notizie dei media solo i fondamentalisti religiosi fanno obiezioni
all’evoluzione di Darwin. Le persone che la criticano, ci
viene detto, vogliono far precipitare la scienza all’età
della pietra e sostituirla con la Bibbia. Le prove scientifiche
sempre maggiori che contraddicono le affermazioni di Darwin sono
comunque ignorate. Quando il biochimico Michael Behe l’anno
scorso dichiarò al The New York Times che la prova
degli embrioni è un fallimento, il darwiniano di Harvard
Stehen Jay Gould ammise di saperlo da decenni (come già detto
prima) ma accusò Behe di essere un creazionista per averlo
detto. Ora, sebbene Behe sostenga l’idea che alcune
caratteristiche degli esseri viventi siano spiegati meglio attraverso
il disegno intelligente (intelligent design), lui non è
un creazionista come la parola normalmente sottintende. Behe è
un biologo molecolare la cui opera scientifica lo ha convinto che la
teoria di Darwin non si conforma alle osservazioni e prove
sperimentali. Perché Gould che sa che i disegni di Haeckel
sono falsi ha liquidato Behe definendolo un creazionista? Suppongo ci
sia in atto un processo che non è scientifico. La mia prova è
il messaggio materialistico più o meno esplicito che si trova
nei libri di testo. La biologia evolutiva di Futuyma ne è
un esempio poichè informa gli studenti che «è
stata la teoria evolutiva di Darwin, insieme alla teoria storica di
Marx e la teoria della natura umana di Freud, a fornire l’asse
portante della piattaforma della tecnica e del materialismo che è
il palcoscenico della maggior parte del pensiero occidentale».
Un libro di testo cita Gould che dichiara apertamente che gli uomini
non furono creati ma sono semplicemente ramoscelli fortuiti
sull’albero contingente (cioè accidentale) della vita.
Il darwinista di Oxford Richard Dawkins, anche se non ha scritto un
libro di testo, dichiara in modo anche più ottuso «Darwin
ha reso possibile essere un ateo intellettualmente compiuto».
Ovviamente
queste sono opinioni più filosofiche che scientifiche.
Futuyma, Gould e Dawkins hanno il diritto di avere le loro idee
filosofiche, ma non hanno il diritto di insegnarle come se fossero
scienza. Nella scienza tutte le teorie, inclusa l’evoluzione di
Darwin, devono essere testate tramite delle prove.
Poiché
Gould sa che la prova embriologica contraddice i disegni falsi nei
testi di biologia, perché non assume un ruolo più
attivo nel ripulire l’educazione scientifica? Le mistificazioni
e omissioni che ho esaminato qui sono solo un piccolo campione. Ce ne
sono molte altre. Per troppo tempo il dibattito sull’evoluzione
ha assunto fatti che non sono veri. E’ tempo di eliminare le
bugie che limitano la discussione popolare sull’evoluzione ed
insistere sul fatto che le teorie devono conformarsi alle prove. In
altre parole, è tempo di fare scienza come si suppone si debba
fare.
Jonathan Wells
University of California, Berkeley
(Traduzione di Andrea
Bartelloni, autorizzata dall’autore, dall’originale
«Survival of the fakest», American Spectator,
1 gennaio 2001 )
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