In realtà cosa
rimane della teoria Darwiniana, oggi, all'interno del mondo
evoluzionista? Se rimane molto poco, cos'è che permette agli
evoluzionisti attuali di richiamarsi ancora a Darwin e con quale
legittimità?
Parlando di evoluzione, occorre distinguere tra evento
e meccanismo. Darwin non ha proposto una teoria complicata
e dettagliata, ma una che può essere riassunta in poche righe.
Quello che ha detto è che le forme di vita oggi esistenti si
sono sviluppate per lenta trasformazione, a partire da una forma di
vita semplice, comparsa nel lontano passato. Questo è
l’evento. Come è successo questo? Ecco il
meccanismo: Nelle popolazioni si osservano piccole variazioni,
come quelle che l’uomo sfrutta negli allevamenti per produrre
nuove razze. Queste variazioni possono essere ereditarie e, se
favorevoli, tendono ad essere selezionate e conservate nella lotta
per la vita; se invece risultano sfavorevoli, tendono ad essere
eliminate. Il meccanismo che opera questo processo di
selezione/eliminazione si chiama selezione naturale (in analogia alla
selezione artificiale praticata dall’uomo negli allevamenti). A
partire da una o poche forme iniziali di vita, l’accumulo di
tante piccole variazioni nel corso di milioni di anni ha prodotto
grandi cambiamenti, con la comparsa di nuove specie, fino alla
diversificazione delle forme di vita oggi esistenti. Ma la cosa più
importante è che per Darwin l’intero processo è
governato da leggi naturali e non richiede né un progetto
intelligente, né un intervento sopranaturale.
Per gli evoluzionisti l’evento è un
fatto indiscutibile, come quello che la Terra è sferica. In
più, come scienziati devono spiegare ogni fenomeno con cause
naturali. Queste due cose fondamentali sono condivisi oggi da tutti i
darwinisti, e questo basta e avanza per spiegare perché essi
si continuano a richiamare a Darwin e non agli a Chambers, Saint
George Mivart o lo stesso Wallace, coautore della teoria di Darwin, i
quali, in un modo o nell’altro, ritenevano che l’evento
– cioè l’evoluzione – era guidata da una
intelligenza sopranaturale. (Un discorso a parte merita Lamarck, la
cui teoria fu chiamata “spazzatura” (rubbish) dallo
stesso Darwin, il quale, però, in risposta alle critiche degli
scienziati, ammetteva nell’ultima edizione del suo libro la
validità del meccanismo di variazioni ereditarie indotte
dall’ambiente e postulate da Lamarck: in mancanza di argomenti
“puliti” va bene anche la “spazzatura”).
Ma anche i meccanismi di base
dell’evoluzione sono condivisi dagli evoluzionisti, i quali
hanno semmai aggiunto altri meccanismi evolutivi a quello proposto da
Darwin. Come si vede, sono molte le cose che permettono agli
evoluzionisti
attuali di richiamarsi ancora a Darwin, e con piena legittimità.
Le caratteristiche del
darwinismo sono sintetizzate bene dal filosofo cattolico Etienne
Gilson: «Questo nuovo hircocervus, l’evolutionismus
darwinianus, dà prova di una vitalità
straordinaria. La deve senza dubbio alla sua natura particolare di
ibrido tra una dottrina filosofica e una legge scientifica: avendo la
generalità dell’una e la certezza probatoria dell’altra,
è praticamente indistruttibile». (Etienne Gilson,
Biofilosofia da Aristotele a Darwin e ritorno, Genova-Milano,
Casa editrice Marietti, 2003, p. 114).
Stando così le
cose, a quale parte dell’ibrido deve Darwin la gloria
oggi tributatagli? Secondo me alla prima, cioè la dottrina
filosofica. Ne è una dimostrazione la celebrazione –
ormai globale – del suo compleanno (Darwin Day), un evento
senza precedenti nel mondo della scienza, con
una coreografia che richiama quella della venerazione dei santi ed il
culto dei capi di certi regimi politici, che trasforma il naturalista
inglese in un vero e proprio profeta della religione materialista ed
atea.
Che
l’importanza del darwinismo non dipende tanto dalle teorie
riguardanti il ruolo delle mutazioni genetiche e della selezione
naturale, ma piuttosto dagli effetti culturali del darwinismo è
dimostrato anche dal fatto che Darwin appartiene non soltanto ai
testi di biologia; il testo più diffuso di letteratura per i
licei (La letteratura italiana - Guida storica, Secondo Ottocento e
Novecento, Bologna, Zanichelli, 2004) descrive così
l’importanza del darwinismo: «Tra le acquisizioni
scientifiche dell’epoca, quella che ebbe le maggiori
conseguenze culturali è la teoria dell’evoluzione
formulata da Charles Darwin. L’enorme impatto culturale del
darwinismo, sulla speculazione filosofica come sul senso comune, si
può paragonare solo a quello che aveva avuto il passaggio
dalla concezione tolemaica del sistema solare a quella copernicana.
Vediamone le principali implicazioni: a una visione della natura
immutabile, creata da Dio quale la conosciamo, si sostituisce il
concetto di una storicità della natura: un unico processo
evolutivo coinvolge l’universo, la terra, la vita e l’uomo
stesso; viene affermata la piena naturalità dell’uomo,
animale tra gli animali anche se più evoluto; tutto questo
portava a uno scontro con le concezioni religiose tradizionali: non
solo perché contrastava col racconto biblico della creazione
inteso alla lettera, ma perché dalla spiegazione della natura
veniva eliminata ogni idea finalistica o provvidenziale. Il conflitto
fra la scienza e la fede fu uno dei grandi temi del tardo Ottocento».
Per concludere, mentre l’utilità filosofica
del darwinismo è fuori discussione, la sua validità
scientifica è invece discutibile. Le idee, però,
devono la propria fortuna alla loro utilità, non alla loro
veridicità.
M.
Georgiev
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