Il Nobel pioniere del DNA
sospeso dall’incarico
di Mihael Georgiev
In seguito alle affermazioni
che gli africani sono meno intelligenti dagli europei e che la differenza sta
nei geni, James Watson, premio Nobel nel 1962 per la scoperta della struttura
del DNA, è stato sospeso dall’incarico di direttore del laboratorio di Cold
Spring Harbor (Long Island, New York). Nel 1953 Watson, insieme a Francis Crick
scopriva la struttura del DNA, scoperta chiamata all’unanimità “la più grande
realizzazione scientifica del 20° secolo”. Il laboratorio, che prima dell’arrivo
di Watson nel 1967 aveva rendimento scientifico zero, è diventato sotto la sua
direzione uno dei più importanti istituti di ricerca genetica del mondo.
La scena intellettuale è stata
dominata la scorsa settimana dall’intervista rilasciata da James Watson la domenica
14 ottobre 2007 al giornale inglese The Sunday Times: vedi http://entertainment.timesonline.co.uk/tol/arts_and_entertainment/books/article2630748.ece.
Nel passaggio incriminato il
famoso scienziato si dichiarava «profondamente pessimista per le prospettive
dell’Africa, perché tutte le nostre politiche sociali si basano sul fatto che
la loro intelligenza è come la nostra – mentre tutti i test dimostrano che non
è proprio così», e che «non esiste una ragione forte per sostenere che
le capacità intellettive delle popolazioni separate geograficamente durante la
loro evoluzione risulteranno evoluti allo stesso modo; il nostro desiderio di
assegnare pari forza di ragionamento come eredità universale dell’umanità non
sarà sufficiente per rendere ciò vero». Alla domanda quanto tempo ci vorrà
per scoprire i geni-chiave delle differenze nell’intelligenza umana, Watson ha
risposto «15 anni, ma forse anche meno di 10».
Queste dichiarazioni hanno
provocato l’immediato annullamento della conferenza che Watson doveva tenere al
Museo delle Scienze di Londra in occasione della presentazione del suo nuovo
libro (Avoid Boring People, Oxford University Press, Oxford), la
cancellazione della sua partecipazione al Festival delle Idee di Bristol (Regno
Unito), ed infine la sospensione dall’incarico di direttore del laboratorio di
genetica.
Il coro di proteste e critiche
non si è placato neppure dopo la pronte scuse di Watson, che nella sua replica
su The Independent ha tentato timidamente di spiegare che è stato
frainteso: vedi http://comment.independent.co.uk/commentators/article3075642.ece. Personalmente
non credo che quanto scritto si possa fraintendere: al Nobel non manca certo la
chiarezza di linguaggio.
Questa partita non ci coinvolge
direttamente, poiché si gioca tutta tra evoluzionisti, all’interno del quadro
di riferimento dell’evoluzione. Per Watson le diverse popolazioni
(geograficamente isolate) hanno avuto una linea evolutiva diversa. Partendo
invece dal quadro di riferimento biblico, noi crediamo che “[Dio] creò da uno
solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della
terra”. (Atti 17,26) Le successive modifiche genetiche - cioè l’accumulo di
mutazioni - hanno certamente peggiorato il quadro iniziale di perfezione, ma
non fino al punto da creare intere popolazioni “inferiori” in una capacità cosi
complessa come quella intellettiva. Il quadro generale della genetica è in
accordo con la visione creazionista: le differenze di DNA (ed anche di IQ) tra
gli appartenenti alla stessa razza sono maggiori rispetto alle differenze tra
le diverse razze.
Non vogliamo qui commentare gli
aspetti politici del caso, come il fatto (peraltro scontato) che è bastato che
James Watson, bandiera dell’evoluzionismo, facesse pipì fuori dal vaso del
“politicamente corretto”, per essere immediatamente sconfessato e punito. Certamente
sul piano pratico le conseguenze delle sue dichiarazioni sono troppo importanti
per lasciare indifferenti.
Non vogliamo neanche discutere
nei dettagli la validità scientifica delle affermazioni di Watson: a questo
hanno già provveduto alcuni suoi autorevoli colleghi come Craig Venter, leader
del progetto genoma umano, che ha prontamente ribattuto che «il colore della
pelle come surrogato di razza è un concetto sociale e non scientifico, e la
nozione che il colore della pelle predice l’intelligenza non ha basi
scientifiche o nel codice genetico umano». Altri ricercatori nel campo,
come Steven Levitt e Roland Fryer hanno di recente dimostrato che negli USA le
differenze nei punteggi dei quozienti di intelligenza (IQ) tra le diverse razze
non sono rilevabili nella prima infanzia, ma emergono soltanto con la crescita
dei bambini. Nella discussione che si è aperta sul blog della rivista New
Scientist (http://www.newscientist.com/blog/shortsharpscience/2007/10/james-watson-master-of-the-scientific-gaffe)
si
legge tutto ed il contrario di tutto: opinioni, sondaggi, riassunti di ricerche
non genetiche - per quest’ultime come spiegato da Watson - dobbiamo aspettare
10-15 anni. Un punto è certo: le statistiche si prestano a manipolazioni ed a
diverse interpretazioni, ma fino a quando le differenze nei test sono maggiori
all’interno di un gruppo etnico rispetto a quelle tra diversi gruppi, occorre
considerare il problema sul piano individuale e non di gruppo.
Troviamo invece di particolare
interesse alcuni aspetti che illustrano bene la natura della scienza e il modo
in cui funzionano la mente dello scienziato e la ricerca scientifica. Per i non
addetti ai lavori ciò che un importante scienziato dice è una specie di
indiscutibile “verità”, provata dai risultati di ricerche condotte con
intelligenza e precisione. In realtà non è proprio così. Le affermazioni di
Watson non si basano su dati empirici incontrovertibili. Egli non ha le prove
che la presunta differenza d’intelligenza (tra le razze) è genetica, ma chiede 10-15
anni per raccoglierle. L’accumulo del sapere scientifico procede di pari passo.
Prima nascono, nella mente dello scienziato, le grandi (o piccole) idee e
convinzioni, poi lo scienziato inizia la ricerca allo scopo di provarle e,
soprattutto, di convincere gli altri della loro validità. Nel frattempo i dati
accumulati vengono interpretati all’interno del quadro di riferimento di queste
idee o ipotesi. I fatti infatti non parlano da soli, ma sono sempre
interpretati nel contesto di un quadro di riferimento: le deduzioni di Watson non
si basano sui due dati da lui citati («chiunque abbia lavoratori dipendenti
neri sa che sono meno intelligenti» e ciò è confermato da «tutti i test»),
ma sul processo evolutivo in cui crede.
Eravamo abituati agli scontri
tra evoluzionisti sugli aspetti scientifici e tecnici del darwinismo, con relative
proposte di teorie che si escludono a vicenda (sul processo evolutivo, sull’evoluzione
degli uccelli, sull’evoluzione umana). Questa volta invece lo scontro non è sui
contenuti scientifici, ma sulle implicazioni sociali e politiche. D’altra
parte, partendo dal quadro di riferimento dell’evoluzione è difficile criticare
il Nobel sul piano puramente scientifico. Intanto, perché a parlare non è un
semplice “ateo intellettualmente soddisfato” come Richard Dawkins oppure un “cane
di guardia di Darwin” o articolista qualsiasi di MicroMega, ma lo
scienziato che ha fatto la più grande scoperta del secolo. E poi perché la sua ipotesi
e il suo ragionamento non sono certamente cattiva scienza, dato che si inquadrano
perfettamente nelle predizioni del modello evolutivo dal quale sono dedotte e
con il quale sono coerenti. A Watson non mancano certo né il coraggio, né la
coerenza.
Ad essere fallace è semmai il quadro
di riferimento in cui lo scienziato crede e da cui partono i suoi ragionamenti:
il modello stesso dell’evoluzione darwiniana. Sono gli occhiali evoluzionisti
che rendono distorta la visione della realtà anche agli intelletti che vincono
il Nobel. Quando pochi mesi fa scrivevo, commentando un articolo di Telmo
Pievani, che “l’evoluzione è madre del razzismo”, non potevo sperare di avere
così presto una così autorevole conferma. Ma l’evoluzione, essendo politicamente
corretta, non può essere messa in discussione. Invece il quadro di
riferimento della creazione biblica, che si accorda meglio con i fatti ed è l’unico
in grado di contrastare le interpretazioni razziste nella biologia, sarebbe politicamente
scorretto, anzi, provoca «confusione nelle menti dei nostri figli»,
«favorisce lo sviluppo di ogni tipo di fondamentalismo ed estremismo» ed
«è sicuramente una delle minacce più gravi per i diritti umani e civili»: parola del Consiglio d’Europa del 4
ottobre 2007.