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Il Nobel pioniere del DNA sospeso dall’incarico
di Mihael Georgiev - 23/10/2007
 

Il Nobel pioniere del DNA sospeso dall’incarico

di Mihael Georgiev

In seguito alle affermazioni che gli africani sono meno intelligenti dagli europei e che la differenza sta nei geni, James Watson, premio Nobel nel 1962 per la scoperta della struttura del DNA, è stato sospeso dall’incarico di direttore del laboratorio di Cold Spring Harbor (Long Island, New York). Nel 1953 Watson, insieme a Francis Crick scopriva la struttura del DNA, scoperta chiamata all’unanimità “la più grande realizzazione scientifica del 20° secolo”.  Il laboratorio, che prima dell’arrivo di Watson nel 1967 aveva rendimento scientifico zero, è diventato sotto la sua direzione uno dei più importanti  istituti di ricerca genetica del mondo.  

La scena intellettuale è stata dominata la scorsa settimana dall’intervista rilasciata da James Watson la  domenica 14 ottobre 2007 al giornale inglese The Sunday Times: vedi http://entertainment.timesonline.co.uk/tol/arts_and_entertainment/books/article2630748.ece.  

Nel passaggio incriminato il famoso scienziato si dichiarava «profondamente pessimista per le prospettive dell’Africa, perché tutte le nostre politiche sociali si basano sul fatto che la loro intelligenza è come la nostra – mentre tutti i test dimostrano che non è proprio così», e che «non esiste una ragione forte per sostenere che le capacità intellettive delle popolazioni separate geograficamente durante la loro evoluzione risulteranno evoluti allo stesso modo; il nostro desiderio di assegnare pari forza di ragionamento come eredità universale dell’umanità non sarà sufficiente per rendere ciò vero». Alla domanda quanto tempo ci vorrà per scoprire i geni-chiave delle differenze nell’intelligenza umana, Watson ha risposto «15 anni, ma forse anche meno di 10».

Queste dichiarazioni hanno provocato l’immediato annullamento della conferenza che Watson doveva tenere al Museo delle Scienze di Londra in occasione della presentazione del suo nuovo libro (Avoid Boring People, Oxford University Press, Oxford), la cancellazione della sua partecipazione al Festival delle Idee di Bristol (Regno Unito), ed infine la sospensione dall’incarico di direttore del laboratorio di genetica.

Il coro di proteste e critiche non si è placato neppure dopo la pronte scuse di Watson, che nella sua replica su The Independent ha tentato timidamente di spiegare che è stato frainteso: vedi http://comment.independent.co.uk/commentators/article3075642.ece.   Personalmente non credo che quanto scritto si possa fraintendere: al Nobel non manca certo la chiarezza di linguaggio.

Questa partita non ci coinvolge direttamente, poiché si gioca tutta tra evoluzionisti, all’interno del quadro di riferimento dell’evoluzione. Per Watson le diverse popolazioni (geograficamente isolate) hanno avuto una linea evolutiva diversa. Partendo invece dal quadro di riferimento biblico, noi crediamo che “[Dio] creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra”. (Atti 17,26) Le successive modifiche genetiche  - cioè l’accumulo di mutazioni - hanno certamente peggiorato il quadro iniziale di perfezione, ma non fino al punto da creare intere popolazioni “inferiori” in una capacità cosi complessa come quella intellettiva. Il quadro generale della genetica è in accordo con la visione creazionista: le differenze di DNA (ed anche di IQ) tra gli appartenenti  alla stessa razza sono maggiori rispetto alle differenze tra le diverse razze.

 

Non vogliamo qui commentare gli aspetti politici del caso, come il fatto (peraltro scontato) che è bastato che James Watson, bandiera dell’evoluzionismo, facesse pipì fuori dal vaso del “politicamente corretto”, per essere immediatamente sconfessato e punito. Certamente sul piano pratico le conseguenze delle sue dichiarazioni sono troppo importanti per lasciare indifferenti.

Non vogliamo neanche discutere nei dettagli la validità scientifica delle affermazioni di Watson: a questo hanno già provveduto alcuni suoi autorevoli colleghi come Craig Venter, leader del progetto genoma umano, che ha prontamente ribattuto che «il colore della pelle come surrogato di razza è un concetto sociale e non scientifico, e la nozione che il colore della pelle predice l’intelligenza non ha basi scientifiche o nel codice genetico umano». Altri ricercatori nel campo, come Steven Levitt e Roland Fryer hanno di recente dimostrato che negli USA le differenze nei punteggi dei quozienti di intelligenza (IQ) tra le diverse razze non sono rilevabili nella prima infanzia, ma emergono soltanto con la crescita dei bambini. Nella discussione che si è aperta sul blog della rivista New Scientist (http://www.newscientist.com/blog/shortsharpscience/2007/10/james-watson-master-of-the-scientific-gaffe) si legge tutto ed il contrario di tutto: opinioni, sondaggi, riassunti di ricerche non genetiche - per quest’ultime come spiegato da Watson - dobbiamo aspettare 10-15 anni. Un punto è certo: le statistiche si prestano a manipolazioni ed a diverse interpretazioni, ma fino a quando le differenze nei test sono maggiori all’interno di un gruppo etnico rispetto a quelle tra diversi gruppi, occorre considerare il problema sul piano individuale e non di gruppo.

Troviamo invece di particolare interesse alcuni aspetti che illustrano bene la natura della scienza e il modo in cui funzionano la mente dello scienziato e la ricerca scientifica. Per i non addetti ai lavori ciò che un importante scienziato dice è una specie di indiscutibile “verità”, provata dai risultati di ricerche condotte con intelligenza e precisione. In realtà non è proprio così. Le affermazioni di Watson non si basano su dati empirici incontrovertibili. Egli non ha le prove che la presunta differenza d’intelligenza (tra le razze) è genetica, ma chiede 10-15 anni per raccoglierle. L’accumulo del sapere scientifico procede di pari passo. Prima nascono, nella mente dello scienziato, le grandi (o piccole) idee e convinzioni, poi lo scienziato inizia la ricerca allo scopo di provarle e, soprattutto, di convincere gli altri della loro validità. Nel frattempo i dati accumulati vengono interpretati all’interno del quadro di riferimento di queste idee o ipotesi. I fatti infatti non parlano da soli, ma sono sempre interpretati nel contesto di un quadro di riferimento: le deduzioni di Watson non si basano sui due dati da lui citati («chiunque abbia lavoratori dipendenti neri sa che sono meno intelligenti»  e ciò è confermato da «tutti i test»), ma sul processo evolutivo in cui crede.

Eravamo abituati agli scontri tra evoluzionisti sugli aspetti scientifici e tecnici del darwinismo, con relative proposte di teorie che si escludono a vicenda (sul processo evolutivo, sull’evoluzione degli uccelli, sull’evoluzione umana). Questa volta invece lo scontro non è sui contenuti scientifici, ma sulle implicazioni sociali e politiche.  D’altra parte, partendo dal quadro di riferimento dell’evoluzione è difficile criticare il Nobel sul piano puramente scientifico. Intanto, perché a parlare non è un semplice “ateo intellettualmente soddisfato” come Richard Dawkins oppure un “cane di guardia di Darwin” o articolista qualsiasi di MicroMega, ma lo scienziato che ha fatto la più grande scoperta del secolo. E poi perché la sua ipotesi e il suo ragionamento non sono certamente cattiva scienza, dato che si inquadrano perfettamente nelle predizioni del modello evolutivo dal quale sono dedotte e con il quale sono coerenti. A Watson non mancano certo né il coraggio, né la coerenza.

Ad essere fallace è semmai il quadro di riferimento in cui lo scienziato crede e da cui partono i suoi ragionamenti: il modello stesso dell’evoluzione darwiniana. Sono gli occhiali evoluzionisti che rendono distorta la visione della realtà anche agli intelletti che vincono il Nobel. Quando pochi mesi fa scrivevo, commentando un articolo di Telmo Pievani, che “l’evoluzione è madre del razzismo”, non potevo sperare di avere così presto una così autorevole conferma. Ma l’evoluzione, essendo politicamente corretta, non può essere messa in discussione. Invece il quadro di riferimento della creazione biblica, che si accorda meglio con i fatti ed è l’unico in grado di contrastare le interpretazioni razziste nella biologia, sarebbe politicamente scorretto, anzi, provoca «confusione nelle menti dei nostri figli», «favorisce lo sviluppo di ogni tipo di fondamentalismo ed estremismo» ed «è sicuramente una delle minacce più gravi per i diritti umani e civili»: parola del Consiglio d’Europa del 4 ottobre 2007.

 

 

Sito a cura dell'A.I.S.O. Associazione Italiana Studi sulle Origini - aggiornato il 31/01/2014 

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