L’evoluzionista
Telmo Pievani contesta il discorso del Papa a Ratisbona
«Ratzinger
e Küng uniti contro Darwin. L’uno è stato per anni
a capo della moderna Inquisizione, l’altro il teologo più
eretico degli ultimi tempi in materia di morale sessuale, sacerdozio
femminile, infallibilità papale. Oggi le strade dei due
antichi avversari tornano ad avvicinarsi in nome di un attacco comune
alla scienza. L’etica li divide, Darwin li unisce».
L’allarme sull’ennesimo “attacco” a Darwin è
stato lanciato in questi termini da Telmo Pievani, docente di
epistemologia della scienza all’Università di Milano
(Bicocca), con un articolo pubblicato su MicroMega (n. 10,
anno 2006, pp. 83-96). L’articolo prende spunto dalla lettura
magistrale tenuta da Papa Benedetto XVI all’Università
di Ratisbona il 12 settembre 2006 («Fede, ragione e
università»,
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2006/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20060912_university-regensburg_it.html).
Si tratta del discorso che ha suscitato le reazioni di alcuni
credenti musulmani ma il cui contenuto, evidente già nel
titolo, riguarda non tanto i rapporti tra cristianesimo e islam,
quanto quelli tra fede, ragione e scienza. Vale veramente la pena
leggere il testo integrale del discorso, accessibile tramite il link
indicato sopra.
Mentre a fare notizia sono state le
proteste islamiche, per Pievani il discorso del pontefice nasconde un
ben più importante attacco alla scienza e, più
specificamente, contro Darwin. L’«attacco» sarebbe
articolato sostanzialmente in due punti, che saranno analizzati
separatamente. Il primo riguarda la natura della scienza, mentre il
secondo considera il suo impatto sociale.
Ragione
e natura della scienza
Dice
Ratzinger: «Questo concetto moderno della ragione si basa,
per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (cartesianismo) ed
empirismo, che il successo tecnico ha confermato. Da una parte si
presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così
dire razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla
ed usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo
è, per così dire, l’elemento platonico nel
concetto moderno della natura. Dall’altra parte, si tratta
della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri
scopi, dove solo la possibilità di controllare verità o
falsità mediante l’esperimento fornisce la certezza
decisiva […] Soltanto il tipo di certezza derivante dalla
sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di
scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve
confrontarsi con questo criterio».
Pievani
contesta tale definizione, sia perché formulata «all’insegna
del più classico oggettivismo e realismo», sia perché
«non appartiene più alla scienza da almeno mezzo
secolo».
Tutte
le definizioni sono discutibili, ma quella del pontefice mi sembra
più che mai attuale: basta per esempio leggere l’opinione
di scienziati moderni e premi Nobel come Richard Feynman (vedi R.
Feynman: Il senso delle Cose, Milano, Adelphi, 2002, p. 25).
Non solo, ma è proprio la scienza così definita
quella che ha portato alle vere scoperte e che costituisce il
fondamento della moderna tecnologia. Perché allora la
definizione non è piaciuta a Pievani, considerando che né
l’oggettivismo né il realismo sono di per sé
deplorevoli, anzi, la loro mancanza impedirebbe di fare scienza vera
e propria? Il problema è che circoscrivendo la scienza su
queste basi, si escluderebbe da essa tutto ciò che scienza
funzionale e operativa non è, ma è soltanto pensiero
speculativo: quindi si escluderebbe anche Darwin e l’evoluzione.
Ecco perché per Pievani «a Ratisbona si afferma che la
teoria dell’evoluzione dimostra qualcosa che in realtà
non esiste».
Scienza,
filosofia e teologia
In
conseguenza dei suoi limiti, specifica il Papa, la scienza «deve
semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la
corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali
operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo
percorso metodico. Ma la domanda sul perché questo dato di
fatto esiste deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri
livelli e modi di pensare – alla filosofia e alla teologia».
In altre parole, certe cose della natura non sono conoscibili con il
metodo scientifico e, per indagarle, la ragione deve affidarsi alla
filosofia e alla teologia.
Alla
stessa conclusione del pontefice (chiamato «ex capo della
moderna Inquisizione»), giunge anche il suo inatteso alleato
nell’«attacco comune alla scienza», cioè
Hans Küng (definito «il teologo più eretico degli
ultimi tempi»). Nel suo libro appena uscito in italiano
(L’inizio di tutte le cose. Creazione o evoluzione? Scienza
e religione a confronto. Milano, Rizzoli, 2006, pagine 263, €
18,00), Küng sosterrebbe che «la crisi dei fondamenti
della scienza ci porta dritto alla possibilità di re-immettere
nel discorso scientifico problemi metafisici, metaempirici e, perché
no, teologici».
Per
Pievani porre tali limiti alla scienza è inaccettabile, perché
in questo modo la scienza viene sottomessa alla filosofia e
addirittura alla teologia: il Papa proporrebbe «una
colonizzazione o annessione pregalileiana della scienza nella
teologia, con conseguente rifiuto del darwinismo», mentre Küng
«una percolazione della teologia nella scienza, una sorta di
impregnazione teologica della scienza, con conseguente rimozione del
“problema Darwin”.» Due posizioni che –
nonostante alcune sfumature – porterebbero alla stessa e
inaccettabile conclusione, che Pievani riassume così: «La
scienza deve imparare a stare al proprio posto, a rispettare i
limiti, altrimenti diventa razionalismo. La teologia invece non ha
limiti, giacché vi può essere “analisi razionale
di questioni metafisiche e teologiche” e pertanto anche la
teologia diventa vera scienza».
Qui
però la tesi di Benedetto XVI è travisata: il Papa non
sostiene affatto che «anche la teologia diventa vera scienza»
ma, al contrario, afferma che la teologia e la filosofia – a
differenza e quindi in contrapposizione al metodo di pensare delle
scienze naturali – appartengono «ad altri livelli e modi
di pensare», che della scienza non sono né
concorrenziali né sostitutivi, ma complementari.
Per
quanto riguarda invece Küng, questi sembra dare più
fastidio non tanto per le sue tesi – che non aggiungono molto
al discorso del pontefice – quanto per avere “tradito”
certe aspettative. Scrive infatti Pievani: «Con ricercato
tempismo [rispetto al discorso di Ratisbona] esce ora in Italia la
traduzione di un saggio sullo stesso argomento, scritto nel 2005 da
un altro teologo di area tedesca, Hans Küng, noto per le sue
posizioni fortemente eterodosse […]. Vi aspettate una severa
reprimenda contro l’irrigidimento teologico imposto al
magistero cattolico dall’ex prefetto della Congregazione per la
dottrina della fede? Non proprio. Quando il problema è quello
del rapporto fra scienza e fede, fra naturalismo e trascendenza, in
particolare fra evoluzione e creazione – quando, insomma, il
problema si chiama Charles Darwin – la radicalità della
sfida produce inaspettate alchimie teologiche».
Il
“complotto” contro la scienza
Il
fatto che Benedetto XVI e Hans Küng si siano occupati dello
stesso problema e siano giunti alle stesse conclusioni, ha convinto
Pievani che il Vaticano ha una precisa «strategia della sponda
al disegno intelligente» americano. A sostegno di tale tesi –
che fa da sfondo di tutto l’articolo – Pievani cita altri
due esponenti cattolici.
Il
primo è l’arcivescovo di Vienna cardinale Christoph
Schönborn, «partito lancia in resta con una personale
campagna a favore dell’Intelligent Design – la
dottrina secondo cui vi sarebbero prove scientifiche dell’esistenza
di un progetto divino e intelligente nella storia naturale»
(articolo pubblicato il 7 luglio 2005 sul New York Times).
Il
secondo è Fiorenzo Facchini che, nel suo articolo “Evoluzione
e creazione” (L’Osservatore Romano del 17
gennaio 2006, http://disf.org/resources/FacchiniZenit20060117.pdf),
avrebbe fatto lo stesso da sponda all’Intelligent Design,
sebbene in modo astuto e non aperto come Schönborn. Facchini è
docente di antropologia all’Università di Bologna ed è
evoluzionista convinto. Non però fino al punto – ed è
questa la sua colpa – di credere che l’evoluzione esclude
l’intervento divino: «La scienza in quanto tale, con i
suoi metodi, non può dimostrare, ma neppure escludere che un
disegno superiore si sia realizzato, quali che siano le cause,
all’apparenza anche casuali o rientranti nella natura»;
per cui «in una visione che va oltre l’orizzonte
empirico, possiamo dire che non siamo uomini per caso e neppure per
necessità, e che la vicenda umana ha un senso e una direzione
segnate da un disegno superiore». Ci risiamo, dunque: oltre
l’orizzonte empirico non c’è scienza, ma campo
libero per la filosofia e la teologia.
A
questo punto non ci sarebbero più dubbi: nell’arco di
poco più di un anno, da Schönborn a Facchini a Ratisbona,
passando per Küng e per il seminario di Castel Gandolfo tenutosi
su questi temi ai primi di settembre del 2006, appare chiaramente un
disegno dalla strategia evidente: rifiutare l’idea che il mondo
sia un risultato casuale dell’evoluzione e quindi una cosa
irragionevole. Non mancano dei particolari gustosi di questo
“complotto” contro la scienza, come ad esempio l’idea
che il patto per un attacco comune sarebbe stato suggellato durante
un «incontro pacificatore fra Ratzinger e Küng, tenutosi
in Vaticano il 24 settembre 2005», in seguito al quale «con
un’operazione di marketing editoriale genialmente
spregiudicata, il nuovo pontefice ha accettato di firmare sul
risvolto di copertina del libro [di Küng] uno “strillo”
pubblicitario che recita: “Un importante contributo al rilancio
del dialogo tra fede e scienza”».
Da
buon professore universitario Telmo Pievani dà anche lezioni
in casa propria. Così, mentre Küng è utilizzato
per stigmatizzare la figura del “traditore”, l’articolo
di Facchini è utilizzato per dare una lezione a certi
ignoranti e altri potenziali “traditori”, quali gli
«intellettuali nostrani, soprattutto di sinistra e soprattutto
ex marxisti», che «si sbracciavano per congratularsi del
progressismo e dell’apertura mentale del Vaticano»,
mentre «ai più sfuggivano i contenuti reali
dell’articolo di Facchini». Gli intellettuali di sinistra
sarebbero quindi poco intelligenti e non avrebbero capito che
l’articolo di Facchini era rivolto solo in apparenza contro
l’Intelligent Design, mentre in realtà
sosteneva il concetto del disegno superiore nella natura. Non manca
il consiglio pratico: se gli ignoranti intellettuali di sinistra si
devono proprio sbracciare a tutti i costi per congratularsi del
progressismo e dell’apertura mentale del Vaticano, almeno
riservino i loro applausi a «più avvedute porpore
vaticane come il cardinale Poupard» (Presidente del Pontificio
Consiglio per la Cultura, l’unico ad avere superato l’esame
di “avvedutezza”, battendo Schönborn, Facchini,
Küng e lo stesso pontefice, che invece sono bocciati, cioè
sprovveduti).
Impatto
sociale della scienza
Ma
torniamo al discorso di Ratisbona e vediamo il secondo punto
dell’«attacco alla scienza», che riguarda l’impatto
della scienza sulla vita dell’uomo e della società
umana. Dopo aver discusso le caratteristiche della scienza ed i suoi
limiti nello studio della natura, il Papa così prosegue:
«Ma
dobbiamo dire di più: se la scienza nel suo insieme è
soltanto questo, allora è l’uomo stesso che con ciò
subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi
propriamente umani, cioè quelli del “da dove” e
del “verso dove”, gli interrogativi della religione e
dell’ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune
ragione descritta dalla “scienza” intesa in questo modo e
devono essere spostati nell’ambito del soggettiv. […] e
la “coscienza” soggettiva diventa in definitiva l’unica
istanza etica. In questo modo, però, l’ethos e la
religione perdono la loro forza di creare una comunità e
scadono nell’ambito della discrezionalità personale. È
questa una condizione pericolosa per l’umanità: lo
costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione
– patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la
ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e
dell’ethos non la riguardano più. Ciò che rimane
dei tentativi di costruire un’etica partendo dalle regole
dell’evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è
semplicemente insufficiente».
Per
Pievani questo ragionamento è assolutamente inaccettabile.
Sostenere che l’evoluzione è insufficiente come
fondamento per la costruzione di un’etica non solo indicherebbe
«una posizione teologica fortemente anticulturalista», ma
addirittura impedirebbe il dialogo tra scienza e fede, tra
naturalismo e teologia, perchè significherebbe essere «ancora
inchiodati a una teologia che non accetta la sfida del naturalismo,
della sua autonomia e autosufficienza, della sua capacità di
essere un contesto laico in cui elaborare propri valori, in cui
discutere di etica, del senso della storia, del posto dell’uomo
nella natura e anche dei limiti da porre alla scienza».
L’uomo
tra scienza, evoluzione e filosofia
Per
quanto mi riguarda, sono d’accordo con Pievani che «uno
scienziato può benissimo sentirsi in pace con se stesso anche
considerando l’ipotesi Dio come del tutto superflua e non
pertinente.» Sono anche d’accordo che «il
naturalismo è un’opzione autonoma, libera, consapevole e
piena di senso, a suo modo»: purché sia chiaro che si
tratta di un’opzione filosofica e non scientifica.
Sono
anche d’accordo che tale opzione filosofica consente di
«concepire la storia naturale in modo del tutto laico, senza
ricorrere ad alcun principio trascendente né ad alcuna causa
finale» e che consente di dare alle «grandi domande
dell’esistenza umana evocate a Ratisbona una risposta
evoluzionistica: “veniamo da” un’affascinante e
contingente storia naturale che avrebbe potuto condurre a un esito
molto diverso; andiamo “verso dove” le nostre possibilità
biologiche e culturali sapranno condurci.» Risposta
rispettabilissima, che però non è fornita dalla
scienza, bensì dalla filosofia, più precisamente dal
naturalismo, o come veniva chiamato dai marxisti, “materialismo
scientifico”.
Non
so che risposte ha dato l’evoluzione a Pievani e nemmeno se
tali risposte siano sufficienti. So però che la scienza –
quella vera – non ci dice «da dove» veniamo. In
compenso ci dice benissimo dove andiamo, cioè «verso
dove» ci portano le «nostre possibilità
biologiche»: come individui, verso la degenerazione e la morte;
come specie, verso la progressiva riduzione della vitalità e
la conseguente estinzione. Questo sì che è un fatto –
addirittura misurabile – ed è dovuto all’inesorabile
accumulo di mutazioni che nessuna selezione, né naturale né
artificiale, è in grado di bloccare. Le stesse mutazioni che
per la scienza immaginaria darwiniana portano all’evoluzione,
ma per la biologia - scienza vera e non immaginaria - portano
all’esatto contrario, cioè alla degenerazione del
genoma.
Non
è altrettanto chiaro dove ci portano invece le «nostre
possibilità culturali»; questo è un problema più
complesso e controverso, nel quale non ho la competenza per
rispondere. Non sono però sicuro che l'ideologia
evoluzionistica darwiniana – madre del razzismo, del comunismo,
del nazismo e del capitalismo selvaggio – abbia molto di cui
vantarsi come concetto fondante l’etica della convivenza umana.
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