Copyright
© 2005 First Things 156 (October 2005): 9-12.
Con il permesso della rivista statunitense, ecumenica e
interreligiosa, First Things,
pubblichiamo in italiano il testo integrale della replica del Cardinale Christoph Schönborn all'articolo del fisico nucleare
Stephen M. Barr (http://www.origini.info/articolo.asp?id=139).
L’articolo è disponibile in originale
sul sito della rivista (http://www.firstthings.com/ftissues/ft0601/articles/schonborn.html).
In seguito pubblicheremo anche la replica seguente del fisico Barr sulle pagine della stessa rivista.
Nel mese di
luglio 2005 il New York Times
pubblicava il mio breve articolo “Trovando Progetto nella Natura.” La reazione
è stata travolgente e prevalentemente negativa. Nel fascicolo di ottobre di First Things Stephen Barr mi ha onorato
della sua importante risposta, che rispecchia fedelmente la reazione di molti
cattolici.
Temo,
tuttavia, che Barr abbia travisato le mie argomentazioni e forse malinteso il
problema se l’intelletto umano possa vedere l’esistenza di un progetto nel
mondo vivente.
Dall’articolo
di Barr – e da altre risposte – sembra che il mio ragionamento sia stato
profondamente malinteso. Nel “Trovando Progetto nella Natura” io affermavo che:
1) La
Chiesa “proclama che con la luce della ragione l’intelletto umano può
prontamente e chiaramente vedere scopo e progetto nel mondo naturale, compreso
il mondo vivente.”
2) “Qualsiasi
corrente di pensiero che nega o aggira le prove schiaccianti di un progetto
nella biologia, non è più scienza, ma ideologia.”
3) Citando
il Santo Padre Giovanni Paolo II: “L’evoluzione degli esseri viventi, della
quale la scienza cerca di determinare le fasi e scoprire i meccanismi, presenta
una finalità intrinseca che è fonte di ammirazione. Tale finalità che guida gli
esseri in una direzione della quale essi non sono responsabili o fautori, ci
obbliga a supporre una Mente che è il suo inventore, il suo creatore.”
4) Citando
ancora Giovanni Paolo II: “A tutte queste indicazioni per l’esistenza di Dio
Creatore, alcuni oppongono la forza del caso o dei meccanismi propri della
materia. Parlare di caso per un universo che presenta un’organizzazione così
complessa dei suoi elementi ed una finalità così meravigliosa nella sua vita,
equivarrebbe a rinunciare alla ricerca di una spiegazione del mondo che
conosciamo. Infatti sarebbe equivalente all’ammettere effetti senza causa.
Sarebbe come rinunciare all’intelligenza umana, che a questo punto si
rifiuterebbe di pensare e cercare la soluzione dei suoi problemi.”
5) Citando
il Catechismo: “L’umana intelligenza
è ormai sicuramente in grado di trovare la risposta al problema delle origini.
L’esistenza di Dio Creatore può essere conosciuta con certezza dalle sue opere,
con la luce della ragione umana… Noi crediamo che Dio ha creato il mondo
secondo la propria saggezza. Il mondo non è il prodotto di una necessità, e
nemmeno di una cieca fatalità o caso.”
6) Riferendomi
all’insegnamento della Chiesa sull’importanza e la portata della metafisica:
“In epoca moderna, però, la Chiesa cattolica si trova nel ruolo strano di
difensore anche della ragione. Nel secolo XIX, il Concilio Vaticano I
insegnava, ad un mondo appena investito della ‘morte di Dio’, che con il solo
uso della ragione l’umanità potrebbe conoscere la realtà della Causa non
causata, Il Primum Movens, Dio dei filosofi.”
La mia
discussione non era basata né sulla teologia, né sulla scienza moderna, né
sulla “teoria del progetto intelligente.” Nella teologia, anche se l’abilità
della mente di comprendere l’ordine e il progetto nella natura è adottata,
incorporata ed elevata a maggiore gloria dalla fede cristiana, tale abilità
precede la fede, come spiega chiaramente Romani 1:19-20 (“Poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo
ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue
perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere
da Lui compiute, come la Sua eterna potenza e divinità.” Ndr). La scienza è
una disciplina i cui metodi sono tali, che il progetto – più precisamente le
cause formali e finali – è intenzionalmente escluso dalla sua concezione
riduzionista della natura.
La mia
discussione era invece basata sull’abilità naturale dell’intelletto umano di
comprendere le realtà intelligibili che riempiono il mondo naturale, incluso,
in modo ancora più chiaro ed evidente,
il mondo delle sostanze viventi, gli esseri viventi. Nulla è
intelligibile – nulla può essere compreso nella sua essenza dal nostro
intelletto – se prima non fosse sistemato da un intelletto creativo. La scienza
moderna è possibile perché basata fondamentalmente sulla realtà di un
intelletto creativo sottostante che rende il mondo naturale ciò che è. Il mondo
naturale non è altro che la mediazione tra due menti: la mente illimitata del
Creatore e la nostra limitata mente umana. Res
ergo naturalis inter duos intellectus costituta – “La cosa naturale è
costituita tra due intelletti,” per dirla con le parole di san Tommaso. In
breve, la mia discussione era basata sull’esame attento delle prove
dell’esperienza quotidiana, cioè sulla filosofia.
Molti dei
lettori rimarranno sicuramente delusi. Sembrava che, giusto o sbagliato, il mio
articolo fosse dedicato alla scienza,
alla conoscenza reale, tangibile, fattuale del mondo materiale. Ora invece io
ammetto di parlare nel linguaggio della filosofia naturale, quel vecchio modo
di comprendere la realtà, tramontato rapidamente nell’ombra del sapere umano
dopo l’arrivo della nuova conoscenza di Galileo e Newton. La filosofia continua
ad esistere solo come una meta-storia per la scienza moderna, e non contiene
alcuna propria conoscenza positiva. In breve, sembra che io abbia ammesso che
il mio articolo era privo di senso, o al massimo una forma soggettiva di
discutere, proveniente da una disciplina scartata e screditata.
Spero
sinceramente di non dovere rispondere, per i lettori di First Things, a tale moderna caricatura della filosofia. La
filosofia è la “scienza dell’esperienza comune” che ci dà la comprensione più
fondamentale e più certa della realtà. E oggi è chiaramente la conoscenza
filosofica della realtà, quella che ha il maggior bisogno di difesa.
Attualmente il
pensiero cristiano della realtà è dominato dal dualismo spirito-materia. Con il
termine “dualismo spirito-materia” io intendo l’atteggiamento mentale che
concepisce la realtà fisica secondo le pretese riduzioniste della scienza
moderna (cioè il positivismo), combinata in modo misterioso con la fede nelle
realtà immateriali dello spirito umano e divino conosciuti solo per fede (cioè
fideismo).
Ma la ragione
umana è molto più di una mera conoscenza “scientifica” positivista. Infatti la
vera scienza è impossibile se prima non si comprende la realtà della natura e
dell’essenza, i principi intelligibili del mondo naturale. Possiamo con grande
successo studiare la natura con i mezzi e le tecniche della scienza moderna.
Però non dobbiamo dimenticare, come hanno dimenticato alcuni scienziati
moderni, che lo studio della realtà con metodi riduzionisti porta ad una
conoscenza incompleta. Per comprendere la realtà quale è, dobbiamo tornare alla
conoscenza prescientifica e postscientifica, la tacita conoscenza che permea la
scienza; la conoscenza che, esaminata criticamente e perfezionata, chiamiamo
filosofia.
Stephen Barr
mi critica per aver fatto confusione tra due cose molto importanti: la modesta
teoria scientifica chiamata neodarwinismo ( che egli definisce come “l’idea che
il motore principale dell’evoluzione è la selezione naturale che agisce sulle
variazioni genetiche casuali”) e quello che egli chiama la pretesa “teologica”
che l’evoluzione sia un processo “privo di guida e non pianificato.” Egli
afferma che “questo è il principale passo falso dell’articolo del cardinale
Schönborn.”
Supponiamo per
un momento che io abbia fatto veramente un errore. Vi è una scusa, una base per
questo mio errore? Barr, trattando con grande delicatezza il darwinismo, non
dice niente. Invece avrebbe potuto dire parecchio. Avrebbe potuto elencare
dozzine di pagine nelle quali gli scienziati darwinisti fanno affermazioni
“teologiche”, in modo aperto e assoluto, affermazioni secondo le quali
l’evoluzione per mezzo di variazione casuale e selezione naturale è un processo
privo di guida e non pianificato.
Molte di
queste affermazioni si trovano non solo nei libri divulgativi, ma anche nei
testi scolastici e nelle riviste scientifiche. Lascio ad altri il compito di
compilare l’elenco completo di tali citazioni. Io ne ho citate tre nel mio
recente catechismo sulla creazione e l’evoluzione nella cattedrale di Santo
Stefano a Vienna. Ecco uno di quei tre esempi, quello dello scienziato
americano Will Provine: “La scienza moderna indica direttamente che il mondo è
organizzato in accordo rigoroso con i principi deterministici oppure con il
caso. Nella natura non esiste alcun principio di intenzionalità. Non vi sono
dei o forze progettanti discernibili razionalmente.”
Secondo Barr
tali affermazioni “teologiche” sono separabili dalla più modesta scienza del neodarwinismo. Sono
d’accordo che c’è differenza tra una modesta scienza darwinista e le
affermazioni metafisiche più ampie fatte spesso a suo nome. Ma quale di queste
due è più propriamente chiamata “neodarwinismo” in modo assoluto, come ho
scritto nel mio articolo?
Per ora sono
felice di concedere che una versione metafisicamente modesta del neodarwinismo
potrebbe essere potenzialmente compatibile con la verità filosofica (e quindi
con l’insegnamento cattolico) della natura. Se un darwinista - seguendo il
progetto di Cartesio e Bacone di comprensione della natura solamente con
riferimento a cause materiali ed efficienti - studia la storia delle cose
viventi e dichiara che non vede alcun principio attivo e organizzativo nelle
sostanze viventi (cause formali), nessun vero piano, scopo o progetto (cause finali),
io non sarei sorpreso dalla sua conclusione. Questa è, ovviamente, compatibile
con la piena verità di un mondo vivente pieno di formalità e finalità. Non è
affatto una sorpresa che la scienza riduzionista non sia in grado di
riconoscere quei precisi aspetti della realtà che essa stessa esclude – o per
lo meno cerca di escludere – con la sua scelta di metodo.
Ma fino a che
punto la biologia moderna, cercando di essere fedele ai propri principi
fondamentali, riesce a escludere la considerazione razionale della causa
finale? Uno dei modi per capire questo è di esaminare il problema della
“casualità” e il ruolo che questa svolge nella moderna biologia evolutiva.
Il concetto di
“casualità” è ovviamente di grande importanza. Secondo Barr, l’errore tecnico del
nocciolo della mia analisi del neodarwinismo è di aver frainteso il modo in cui
il termine “caso” si usa nella biologia darwinista. Egli scrive che «se il
termine “caso” significa necessariamente che alcuni eventi sono “privi di
guida” nel senso che sono “fuori dai confini della divina Provvidenza,” allora
avremmo dovuto condannare come incompatibili con la fede cristiana gran parte
della moderna fisica, chimica, geologia e astronomia, così come la biologia.»
“Questo,
naturalmente, è assurdo. La parola “caso” nell’uso scientifico non significa
senza causa, non pianificato o inspiegabile; significa non correlato. I miei
figli amano osservare le targhe delle automobili che ci sorpassano
sull’autostrada, per vedere da quale stato provengono. La sequenza degli stati
mostra un certo grado di casualità: auto di Kentucky, poi di New Jersey, poi
Florida e così via – perché le automobili non sono correlate: il fatto di
sapere la provenienza di un’automobile non dice nulla sulla provenienza
dell’automobile successiva e così via. Nonostante ciò, ogni automobile si trova
in quel posto a quel ora per una ragione. Ogni viaggio è pianificato e guidato da
una mappa o da un itinerario.”
Sono
certamente d’accordo con molto di ciò che Barr dice, e apprezzo i suoi
deliziosi esempi. Tuttavia, vorrei suggerire che forse qualcosa gli è sfuggito
per quanto riguarda la biologia moderna. Innanzitutto dobbiamo notare che il
ruolo che il caso svolge nella biologia darwinista è molto diverso da quello
svolto nella termodinamica, nella teoria quantistica e nelle altre scienze
naturali. In queste discipline il caso riflette la nostra incapacità di predire
o conoscere il preciso comportamento di parti del sistema (o forse, nel caso
del mondo dei quanti, alcune delle proprietà intrinseche del sistema). Però in
tutti questi casi il comportamento “casuale” delle parti è incorporato e
limitato dalla struttura concettuale precisa e profondamente matematica
dell’insieme, che rende il comportamento generale del sistema ordinato e
intelligibile.
La casualità
della biologia neodarwinista non ha nulla a che fare con tutto questo. Essa è
semplicemente cieca. La variazione mediante la mutazione genetica è cieca. La
selezione naturale è altrettanto cieca: l’ambiente è in continuo cambiamento,
ma neanche le caratteristiche del
cambiamento – che sono ciò che dirige l’evoluzione mediante la selezione
naturale – sono correlate ad alcunchè, secondo i darwinisti. Eppure da questa
confusione inintelligibile e priva di limitazioni emerge, deus ex machina, il mondo degli organismi viventi, con la sua
straordinaria intelligibilità e preciso ordine. Ed è questo il nocciolo della
scienza biologica neodarwinista.
Comunque sia,
torniamo all’esempio fatto da Barr con le targhe automobilistiche, e proviamo
ad allargarlo per vedere cosa potrebbe insegnarci. Supponiamo che la famiglia
Barr parta, dalla propria casa nel Delaware, per un viaggio in direzione sud, e
– mentre ascoltano una breve lezione introduttiva sul vero significato della
casualità – i bambini cominciano a scrivere gli stati che sono sulle targhe
delle automobili che passano. Dopo alcune ore, durante una pausa di lavoro, i
bambini forniscono i seguenti dati: mentre ciascuna delle targhe non sembra
correlata con la precedente, con la successiva, o con qualsiasi altro elemento
dell’ambiente circostante, sembra tuttavia che nei dati ci sia una certa
tipologia. All’inizio, quasi tutte le targhe erano del Delaware. Poco più tardi
la maggior parte diventava del Maryland. Poche ore dopo si notava un grande
aumento delle targhe del Distretto di Columbia, che quasi pareggiavano quelle
del Maryland. Poco dopo la maggioranza diventava della Virginia. Dopo invece
c’è stato un grande incremento delle targhe della Nord Carolina. Siamo di
fronte ad una tipologia, una caratteristica specifica? Si può pensare ad una
qualche spiegazione per questo quadro specifico?
________
Il biologo
darwinista si trova di fronte ad una domanda precisamente analoga mentre studia
la storia della vita. Se limita il suo sguardo solamente sulla presunta
variazione casuale, questa potrebbe facilmente sembrare non correlata ad
alcunchè di interessante, e rimanere quindi inintelligibile. Non riconoscendo
nella variabilità alcuna caratteristica specifica, egli riassume la propria
ignoranza sotto il termine rispettabile di “casualità”. Ma se fa un passo
indietro e guarda la sviluppo della vita, egli vedrebbe un quadro ovvio,
preciso in modo schiacciante. Le variazioni verificatesi nella storia della
vita sono state esattamente quelle necessarie per produrre il set di piante e animali che esiste
attualmente. In particolare, sono state esattamente le variazioni
necessarie per il salto evolutivo che ha
prodotto la persona umana. Se questa non è una correlazione potente e
rilevante, allora non so proprio cosa potrebbe contare, nella mente
dell’osservatore, come prova contro la casualità.
Qualcuno
potrebbe obiettare: questa è pura tautologia, non conoscenza scientifica. Io ho
preso la conclusione come assunzione, ho “truccato le carte” e così via. Ma non
è vero. Io ho semplicemente collegato due fatti indiscutibili: l’evoluzione si
è verificata (o almeno lo assumeremo ai fini di questa analisi), e l’attuale
biosfera è il risultato. I due fatti sono perfettamente correlati. I fatti non
sono tautologie per il semplice motivo che sono veri. Se il biologo moderno sceglie di ignorare questa indubbia
correlazione, io non ho obiezioni. Egli è libero di definire la sua particolare
scienza in termini così ristretti, come ritenuto utile per acquistare un certo
tipo di conoscenza. Però non deve poi chiedere a tutti gli altri, che non sono
limitati dai suoi limiti metodologici autoimposti, di ignorare la palese verità
della realtà, ad esempio la natura teleologica dell’evoluzione.
Torniamo al
discorso eloquente di Barr. Secondo lui la mia definizione del neodarwinismo è
troppo ampia ed è una estensione ingiustificata della teoria nell’ambito della
“teologia”. Cosa si intende con questo uso del termine? Che possiamo
riconoscere che la teleologia nel mondo vivente sia reale soltanto per mezzo della verità rivelata? Che la
ragione umana non è in grado, se non aiutata, di comprendere l’evidente ordine,
scopo e intelligenza così chiaramente manifesti nel mondo degli esseri viventi?
Che adoriamo un Dio ingiusto, il quale – come insegna Romani 1:19-20 – punisce
le persone perché non riescono a rispettare la legge naturale, una legge che
secondo san Paolo loro non possono non riconoscere nell’evidente ordine del
mondo naturale?
L’articolo di
Barr menziona il problema del progetto in biologia, ma non dichiara in modo
chiaro che la ragione può comprendere la realtà del progetto senza l’aiuto della fede. Se ho capito
bene (e spero di sbagliarmi), su questo argomento Barr ha seguito la tendenza
largamente predominante tra i commentatori cattolici dell’evoluzione
neodarwinista, i quali discutono volentieri l’incompatibilità di quest’ultima
con le verità della fede, ma
raramente si preoccupano di discutere se e in che modo essa è compatibile con
le verità della ragione.
Forse ora, che
il ruolo del fideismo viene riproposto, io potrei tornare con più successo al
problema del significato vero del termine “neodarwinismo.” Se, come in molti
sembrano pensare, il neodarwinismo è efficace come “ipotesi che sconfigge il
progetto” al livello della ragione, ma si salva da qualsiasi conclusione
impropria ed estrema grazie all’intervento della teologia, allora la mia definizione è giusta. Se la ragione è
incapace di comprendere la realtà della teleologia nelle cose viventi e nella
loro storia, allora il neodarwinismo – che ovviamente è incapace di prendere in
considerazione le verità teleologiche – può giustamente essere considerato una
teoria che sostiene, per dirla con le parole che ho usato, che l’evoluzione è
“un processo privo di guida e non pianificato di variazione casuale e selezione
naturale.” Quello che molti cattolici sembrano sostenere è che, per quanto il
nostro intelletto privo di aiuto possa comprendere, perfino nella versione
“metafisicamente modesta” del neodarwinismo, non esiste né un piano reale, né
scopo, né progetto negli esseri viventi, e nel modo più assoluto nessuna
direzione nell’evoluzione; tuttavia, sappiamo per fede che tutte queste cose
invece ci sono. In altre parole il neodarwinismo “metafisicamente modesto” non
è poi così modesto. Questo significa che il darwinismo è in conflitto non solo
con la realtà conosciuta soltanto per fede. Nel dibattito sul progetto nella
natura sola fides assume un
significato completamente nuovo.
La scienza
moderna da sola potrebbe risultare incapace di comprendere le verità
fondamentali della natura, che fanno parte del tessuto della teologia e della
moralità cattoliche. E nemmeno la teologia fornisce queste verità fondamentali.
Prima della scienza e prima della teologia viene la filosofia, la “scienza
dell’esperienza comune”, il cui ruolo in queste questioni cruciali è
indispensabile.
Veniamo ora al
cuore del problema: il positivismo. La scienza moderna esclude a priori le cause finali e formali,
quindi studia la natura con il metodo riduzionista del meccanicismo (cause
efficienti e materiali), poi dichiara che le cause finali e formali sono
ovviamente irreali, e sostiene anche che il suo modo di conoscere il mondo
materiale ha la priorità su tutte le altre forme di conoscenza. Oltre ad essere
meccanicista, la scienza moderna è anche storicista: sostiene che la
descrizione completa della storia di una entità, su base di cause efficienti e
materiali, è la completa spiegazione dell’entità stessa – in altre parole, il
modo di capire come una cosa è venuta in
esistenza è identico al modo di capire cosa
essa sia. Il pensiero cattolico rifiuta, però, questo errore di
ragionamento sul mondo naturale, e propende invece per una comprensione olista
della realtà, comprensione basata su tutte le facoltà della ragione e tutte le cause evidenti nella natura –
inclusa la causalità “verticale” di forma e finalità.
Qualcuno
potrebbe obiettare che il mio breve articolo in New York Times era ingannevole, perché è stato troppo facilmente
frainteso per un ragionamento sui dettagli scientifici. Infatti io mi aspettavo
un iniziale fraintendimento. Però anche se fosse stato possibile formulare in
mille parole una dichiarazione altamente qualificata e dettagliata sui rapporti
tra scienza moderna, filosofia e teologia, l’articolo sarebbe stato lo stesso
scartato come “pura filosofia”, non in grado di sfidare l’egemonia dello
scientismo. Era di cruciale importanza che la dichiarazione a favore del
progetto nella natura non fosse inferiore alla tesi “scientifica” (nel senso
moderno). Infatti, la mia tesi era superiore alla tesi “scientifica” perché era
basata su verità e principi più certi e più durevoli.
Il mondo moderno ha assoluto bisogno di questo messaggio. Ciò che spesso è
spacciato per scienza moderna – col suo pesante carico di materialismo e
positivismo – è semplicemente in errore, da diversi e fondamentali punti di
vista, nei riguardi della natura. La scienza moderna è spesso, nelle parole del
mio articolo, “ideologia e non scienza”. I problemi creati dal positivismo sono
particolarmente gravi nelle implicazioni estreme anti-teleologiche della teoria
darwiniana dell’evoluzione, che è diventata (secondo una frase di alcuni anni
fa di papa Benedetto XVI) la nuova “massima filosofia” del mondo moderno, una
descrizione fondamentale e totalizzante della realtà, che va molto oltre la
scienza descrittiva e riduzionista sulla quale si basa. Il mio articolo
intendeva svegliare i cattolici dal loro sonno dogmatico nei confronti del
positivismo in generale e l’evoluzionismo in particolare. Sembra che lo scopo
sia stato raggiunto.
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