1. Il
gioco delle "tre carte"
Nei
testi scolastici (ma non solo) l'evoluzionismo è trattato facendo una specie di
"gioco delle tre carte": si indirizza l'attenzione su due carte attraenti e così
il lettore non si accorge che gliene viene rifilata una terza. Per far questo si
definisce in genere l'evoluzione in termini molto vaghi, dandone poi più di una
versione. Si finisce così per considerare come "evoluzione" qualsiasi
cambiamento che si produce nel corso delle generazioni, mescolando insieme
tre variazioni concettualmente molto differenti fra loro.
Tutti sanno che i fratelli sono diversi fra loro e diversi dai
genitori. Questo tipo di variazione è dato dal rimescolamento genico,
dovuto al fatto che ciascun genitore trasmette ai suoi figli solo la metà del
patrimonio genetico che possiede. Se abbiamo due mazzi di carte da 40, per
esempio, e ne peschiamo 20 da un mazzo e 20 da un altro, avremo un nuovo mazzo
da 40 carte che differirà dai due mazzi di partenza: ciò anche se i due mazzi di
partenza fossero stati uguali fra loro. Nel nuovo mazzo, però, non ci sono carte
nuove, ma solo una diversa combinazione di quelle già esistenti. Questo
fenomeno (rientrante in quella che viene definita "microevoluzione") spiega
molto bene il formarsi delle varie razze all'interno di una determinata
specie, non può però assolutamente spiegare la comparsa di caratteri veramente
nuovi, né il passaggio da una specie ad un'altra più complessa. Rimescolare le
carte non ne produce di nuove, nemmeno in miliardi di anni.
La
seconda variazione ben nota ed accettata da tutti è che, a forza di rimescolarsi
e di duplicarsi, qualche gene finisce per guastarsi e diviene incapace di
svolgere la sua funzione (in genere la produzione di una determinata proteina).
A volte la funzione è così importante che l'individuo muore prima ancora di
nascere, altre volte sopravvive e, in particolari circostanze, quella mancanza
potrebbe addirittura facilitarlo. Gli occhi umani, per esempio, dovrebbero
essere di colore scuro, ma quando l'organismo non è più in grado di produrre un
determinato pigmento, diventano azzurri: biologicamente è un difetto, ma per
l'individuo può essere un vantaggio estetico. Anche questo tipo di cambiamenti
(rientranti nelle cosiddette mutazioni) non può spiegare la comparsa di
caratteri veramente nuovi e, per non dar luogo ad equivoci, bisognerebbe
chiamare questo fenomeno col termine di involuzione, perché comporta una
perdita di informazione e di complessità.
Il
terzo tipo di variazione dovrebbe far aumentare la complessità dei figli
rispetto ai genitori, fornendoli di organi nuovi mai posseduti prima dalla
specie. Se gli uccelli derivano da un tipo di rettile, per esempio, significa
che col passare delle generazioni, ad un certo punto, ad un determinato rettile
sono cominciate a spuntate le ali. Questo tipo di variazione (detta
macroevoluzione) non è mai stata osservata, cozza contro le tante
conoscenze acquisite dopo Darwin e costituisce il centro delle contestazioni che
vengono fatte agli evoluzionisti. Su di essa, perciò, e non sul resto, si
dovrebbe concentrare l'esposizione della teoria evolutiva, smettendo di portare
esempi di rimescolamento genetico, o di involuzione, come se essi dimostrassero
la macroevoluzione.
2.
Figure ingannevoli
Per
non rimanere sul generico, prendiamo in esame un testo scolastico
internazionalmente diffuso ed in circolazione da più di vent'anni, quello della
Helena Curtis, giunto negli Stati Uniti alla quinta edizione e, in Italia, alla
quarta (Helena Curtis - N. Sue Barnes, Invito alla Biologia B. Evoluzione,
corpo umano, Ecologia, Zanichelli, Bologna, 1996).
All'inizio del volume (p. 261) la Curtis mette correttamente in
chiaro che per evoluzione si intende che "tutti gli esseri viventi hanno un
antenato comune nel lontano passato", antenato comune identificato sempre in un
organismo unicellulare. Questa definizione richiama alla mente, come è giusto,
soprattutto la macroevoluzione. Nel glossario, invece, l'evoluzione è così
definita: "Cambiamenti nel pool genico che avvengono da una generazione alla
successiva in seguito a processi come mutazione, selezione naturale,
accoppiamento non casuale e deriva genica". Non ci mettiamo a spiegare i vari
processi evocati, ma è evidente che ci si sta riferendo soprattutto al
rimescolamento genetico e all'involuzione.
L'equivoco fra i vari concetti si vede chiaramente dalle varie figure
presenti, nessuna delle quali fa vedere concretamente la macroevoluzione.
A p. 263, per esempio, due figure illustrano la variazione del numero di setole
nell'addome di un moscerino (che sempre moscerino resta); a p. 265 un'altra
figura fa vedere la "brachidattilia", cioè una mano con dita raccorciate perché
hanno perso la capacità di crescere correttamente; a p. 266 viene
mostrata la famosa pecora divenuta nana che non è più in grado di saltare i
recinti; e così via. Le fotografie sono vere, ma è falso il messaggio che si
trasmette al lettore, il quale ha l'impressione che tutta l'evoluzione
sia così dimostrata.
3. Alberi genealogici immaginari
La
mancanza dei supposti progenitori comuni si può vedere proprio nelle
figure che dovrebbero mostrarli: i famosi "alberi evolutivi". Uno è a p. 307 e
riguarda quasi tutte le specie, quello di p. 326 è invece incentrato sui
mammiferi, mentre a p. 329 viene tracciata l'evoluzione delle "proscimmie
primitive", dalle quali sarebbe venuto anche l'uomo.
In
un vero albero evolutivo dovrebbe essere rappresentato alla base il "progenitore
comune" e poi, via via, i progenitori delle varie "branche", fino ad arrivare
agli ultimi rametti, cioè alle specie attualmente esistenti. Essendo una
ricostruzione storica basata sui fossili, si può evidentemente giustificare la
presenza qua e là di lacune. Nelle suddette tre figure, però, come succede di
norma, non c'è raffigurato nemmeno un progenitore comune e tutte le
specie conosciute (sia viventi che fossili) sono poste nei rametti terminali.
Insomma, è tutta una lacuna e perciò quelle figure dimostrano che gli antenati
comuni non esistono.
"Questa affermazione non è corretta", ribattono gli evoluzionisti, "i
progenitori comuni sono esistiti e prima o poi saranno trovati". È vero, non si
può dimostrare la "non esistenza" di qualcosa. Anche quando nessuno ha trovato
funghi si può sostenere che nel bosco in effetti ci siano. Se però li hanno
accanitamente cercati in tanti senza trovarne nemmeno uno, allora è ragionevole
supporre che i funghi effettivamente siano assenti. In ogni caso, chi continua a
credere nella presenza dei funghi in quel bosco non può accusare di
irrazionalità chi non ci crede.
Ci
limitiamo a queste poche contestazioni dell'evoluzionismo e della sua
presentazione nei testi scolastici, ma chi è interessato ad approfondire la
questione può attingere ad una sempre più abbondante documentazione
antievoluzionista, sia su carta che in Internet.
Fernando De
Angelis
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