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Evoluzione e struttura nel Genesi biblico
del prof. Giuseppe Sermonti - 28/02/2006
 

Stimati lettori,
il professor Giuseppe Sermonti ci ha onorati inviandoci un suo lavoro riguardo ad una possibile lettura ed interpretazione dei capitoli uno e due del libro di Genesi. Abbiamo apprezzato molto il fatto che il noto scienziato, pioniere dell’antidarwinismo, abbia  affrontato il problema delle origini della vita anche tenendo conto del testo biblico di Genesi. Con molta attenzione e rispetto abbiamo letto  l’articolo con le riflessioni del prof. Sermonti, che meritano una analisi da parte di un esperto in Antico Testamento. Pertanto, con il solo intento di fare maggiore chiarezza possibile su un argomento cosi delicato, abbiamo girato il predetto lavoro al teologo professor Giovanni Leonardi, che ha risposto positivamente. Ne è seguito, quindi, un gradevole dialogo, che riteniamo opportuno pubblicare per fare cosa gradita ai nostri lettori, che sono sensibili ai temi che trattano di Bibbia e scienza. Ringraziamo di cuore sia il prof. Sermonti che il prof. Leonardi per il positivo e costruttivo apporto che hanno dato alla nostra testata. Ringraziamo anche i nostri lettori per l’attenzione con cui leggeranno i seguenti articoli e ci aspettiamo, a nostra volta, di leggere il loro parere e  le loro riflessioni.

La REDAZIONE

Clicca qui per leggere il testo del prof. Giuseppe Sermonti

Clicca qui per leggere il commento del prof. Giovanni Leonardi


EVOLUZIONE E STRUTTURA NEL GENESI BIBLICO

di Giuseppe Sermonti

  1. Il genesi storico (Gen.1)
  2. L’evoluzionismo, una genesi senza creatore
  3. Il genesi mitico (Gen.2) e lo strutturalismo dinamico
  4. Nostalgia dell’eternità

La teoria dell’evoluzione cosmica e biologica vigente a  tutt’oggi ha la struttura storica del Genesi 1: ambedue iniziano con la creazione dal nulla, procedono con assestamenti astrali e geologici, annunciano la comparsa successiva di vari tipi vegetali e animali e terminano con la genesi dell’uomo e con il suo predominio sulla natura. Il Genesi 2 ha struttura simbolica: inizia con la formazione dell’uomo, che presiede (fa da modello) alla definizione degli altri animali, e si conclude con la nascita della donna (increata), principio generativo di tutti i viventi. Rispetto all’ordine cronologico del Genesi 1, il Genesi 2 (più antico) prospetta un ordine gerarchico e strutturale, che inizia con la creatura più totale e archetipica (l’uomo, e poi la donna) e scende verso forme specializzate e parziali.         

1. Il Genesi storico (Gen.1)

Nei miei scritti critici sul darwinismo ho sempre riguardato il Creazionismo come una realtà minore, portata sul palcoscenico dagli evoluzionisti a fare la parte dell’interlocutore di comodo, dell’uomo di paglia, facilmente contestabile, scientificamente risibile. Mi parve un gioco troppo facile e sleale, quello degli evoluzionisti, di fondare le proprie ragioni sulla contrapposizione ad una creazione in sei giorni, all’alito divino sull’uomo di terra, ad Eva fabbricata con la costola di Adamo, alla Terra antica solo 6000 anni. Questo articolo comincia col mio  ravvedimento. Sbagliavo: il vero avversario della vulgata darwinista è, dalla “Origine” al 2000, proprio il testo del Genesi Biblico, nelle sue due versioni. La Selezione Naturale di Darwin -Wallace è, prima di essere una deduzione osservativa, un procedimento filosofico postulato al fine di surrogare con concetti naturalistici una asserita opera sovrannaturale, di detronizzare il Deus ex machina dell’antica commedia. Per l’evoluzionismo, se Dio interviene, lo fa solo all’inizio, con un soffio e via!.

“C’è una grandeur - scrive Darwin in chiusura della sua Origine - in questa veduta della vita con le sue molte potenze, che sono state originariamente insufflate (breathed) dal Creatore, in poche forme o in una…”.

In seguito il Creatore si metterebbe in disparte e lascerebbe che tutto procedesse spontaneamente e automaticamente, senza bisogno di ulteriori istruzioni per l’uso. “L’ordinaria successione per generazione - precisa Darwin poche righe prima - non è stata spezzata neppure una volta e nessun cataclisma ha desolato l’intero mondo.”

Nella Tabella 1, alcuni passi del Genesi 1 sono comparati ad alcune frasi tratte da libri moderni sulla Evoluzione cosmica e biologica. Il parallelismo è notevole, al punto che non è azzardato asserire che il processo dell’evoluzione naturale risulti una versione laica delle stesse vicende descritte nel Genesi 1. L’operazione compiuta da Darwin e dagli astrofisici non è stata quella di comporre una storia dell’universo e della vita del tutto nuova, ma di adottare quella biblica, introducendo alcuni aggiornamenti e escludendo ogni riferimento al Creatore.

 

Tab. 1. Confronto tra Genesi 1 e teoria dell’evoluzione, cosmica e biologica

GENESI 1

EVOLUZIONE

          

 

3. Dio disse “Vi sia luce”. E vi fu luce.

L’universo ebbe inizio con una colossale esplosione. (big bang) (R8).

4. Dio separò la luce dalle tenebre…

In un miliardesimo di secondo la forza primordiale si era scissa nelle forze che conosciamo (R31).

7. Dio fece il firmamento…

La materia e l’energia scaturite dal big bang diedero origine al sistema gerarchico che costituisce l’universo attuale (R40).

9. Le acque di sotto si ammassarono nelle loro masse e apparve l’asciutto. Dio chiamò  terra l’asciutto e mare la massa delle acque.

In quel tempo (Cambriano) gran parte del globo era coperto dai mari. Sappiamo ben poco intorno all’aspetto della terraferma (H43).

12. La terra fece spuntare verzura, graminacee… e alberi…

Un Evento importante (del Devoniano) fu il diffondersi delle piante terrestri (H46).

21. Dio creò i grandi cetacei e tutti gli esseri vivi e guizzanti di cui brulicano le acque…          

Il periodo (Devoniano) è spesso chiamato “l’età dei pesci (H46).

25. Dio fece le fiere della terra… e il bestiame e tutti i rettili del suolo.

(Nel Carbonifero) nacquero i primi vertebrati in grado di vivere sulla terraferma: i rettili (H40). Questo periodo (Eocene) è il principio dell’età dei mammiferi (H56).

27. Dio creò l’uomo a sua immagine… Maschio e femmina li creò.

Il periodo Pleistocenico è l’età dell’uomo (H60).

28. Dio disse loro: “Siate fecondi e moltiplacatevi, riempite la terra e soggiogatela.”

Alcuni scienziati affermano che l’Universo è stato predisposto per favorire una singola specie, quella umana (Principio antropico forte) (R183).

I numeri di GENESI indicano i versetti di Genesi 1 della Bibbia. I numeri di EVOLUZIONE si riferiscono alle pagine de L’Universo, dal Big Bang alla fine del tempo, di Colin A. Ronan, Mondatori 1992 (preceduti da R), o a quelle de    La Storia dell’Evoluzione, di Sir Julian Huxley, De Agostini 1958 (preceduti da H).

Possiamo riferire la dissacrazione darwiniana al mito di Prometeo. Il semidio greco non inventa un mondo nuovo. Egli adotta quello olimpico, sottraendo a Zeus le realtà supreme e trasferendole all’umanità con una indebita appropriazione, con il furto originario che darà all’uomo conoscenza e potere. Con il suo atto, Prometeo promuove il trapasso dal mondo del mito a quello della scienza. Il Prometeo goethiano conclude con l’affronto del semidio redentore allo Zeus detronizzato:                 

“Qui sto, qui plasmo gli uomini
a somiglianza mia,
un popolo a me eguale
nel pianger, nel soffrire,
nel goder, nel gioire,
nel non badare a te,
come fo io.” 

La controversia generata dal darwinismo, prima di essere materia scientifica è contrapposizione teologica. Riguarda non il processo, ma l’Autore, sovrano assoluto o re esiliato fuori dal suo regno.

Dalla metà dell’ottocento molte teorie scientifiche si sono susseguite ad emendare o a contraddire la Selezione Naturale, ma esse, o sono state integrate nelle Grandi Sintesi di metà novecento, come note a margine, come optional, oppure sono state semplicemente ignorate o negate. Che si sia parlato di Ologenesi, di Strutture Dinamiche, di Neutralismo, che abbiano espresso le loro visioni D’Arcy, Thom o Grassé, che siano emersi il genoma mobile, la neutralità molecolare o le mutazioni dirette, tutto questo non ha scalfito l’assioma centrale del darwinismo, e cioè che la spontaneità della natura ha sostituito l’opera del Creatore biblico. D’altronde, aggiungono con supponenza i negatori della Bibbia, il Genesi è stato scritto da sacerdoti incolti, e rivolto a un popolo primitivo, cui non si potevano raccontare che favole. 

Indubbiamente il Genesi 1 contiene metafore, miracoli, vaghezze ma, tra tutte le antiche cosmogonie e antropogonie si evidenzia per la sobrietà di un rendiconto naturalistico, senza ierogamie o scontri tra divinità primigenie, senza mostri, senza cataclismi o diluvi, senza castrazioni o decapitazioni. Esso risponde ai requisiti della visione “attualista” di Lyell e Darwin. Nessun fenomeno vi accade che non sia naturalisticamente plausibile e pensabile nell’attualità, nessun tempo speciale vi è evocato, nessun artefice soprannaturale che vada oltre al proporre e all’approvare. Se mai, nel Genesi 1, c’è una carenza di riferimenti all’Eternità. Ogni cosa appare per una parola di Dio, e sancito da un “e vide che era buono”.

La più lontana epopea della creazione è l’Enuma Elish assiro-babilonese, scritto nella prima parte del secondo millennio. Tutto il tono dell’epopea è catastrofico e mostruoso. Nulla della sobrietà biblica. Vi si narra di Apsu, il generatore, e di Tiamat, la generatrice, che si congiungono nel caos dando vita a una stirpe di draghi mostruosi. Dopo parecchie ere compaiono i primi dei, uno dei quali, Ea, uccide Apsu. Tiamat, con l’aiuto dei suoi mostri, che ha avuto dal figlio Kingu, si prepara alla vendetta e si trova a combattere contro Marduk, figlio di Ea. L’eroe, salito sul carro della Tempesta, dopo aver lanciato contro Tiamat maledizioni, sfide e incantesimi, imprigiona la dea mostruosa nella sua rete, le strappa le viscere, le spezza il cranio e si erige sulla nemica sconfitta.  Seziona il corpo in due parti, come si separano le valve di un mollusco, e forma con una il firmamento, per impedire alle acque di sopra di cadere sulla terra, con l’altra le fondamenta della terra e del mare. Alla fine Marduk crea l’uomo col sangue di Kingu. E’ stato notato (Graves e Patai) che il Genesi 1 mantiene alcuni elementi della cosmogonia babilonese.

Anche l’epopea olimpica della creazione, nei versi di Esiodo, è terribile e sanguinaria. Dal Caos emerge la selvaggia Madre Terra, o Gea, che genera il terrifico Urano. Questo la feconda con piogge tempestose da cui sorgono piante, fiere e giganti mostruosi: i centimani Briareo, Gige e Cotto, i tre Ciclopi e infine le stirpe dei Titani. Guidati da Crono, ispirati da Gea, essi assaltano Urano nel sonno. Crono evira il padre con un falcetto e getta i genitali lontano nel mare. Da questi spunta la prima Afrodite e dal sangue le tre Erinni…Dopo terremoti e diluvi, nascono i primi uomini dalle ossa della Terra.  

2. L‘evoluzionismo, una genesi senza creatore  

Tra il testo del Genesi 1 e la teoria dell’Evoluzione, che, nata alla fine dell’ottocento, è approdata quasi intatta al duemila, le corrispondenze sono così impressionanti (v.tabella 1) da adombrare una derivazione storica di questa da quello o l’emergenza dei due testi da uno stesso disegno logico.

Le differenze tra la tradizione biblica e l’evoluzionismo di maniera sono secondarie e non hanno carattere scientifico! Esse sono sostanzialmente queste:   

GENESI EVOLUZIONE
Dio interviene a più riprese Dio solo all’inizio (o mai)
Emergenza indipendente dei taxa Continuità tra i taxa
Divinità dell’uomo Animalità dell’uomo

Per rendere automatica e continuativa l’emergenza successiva dei gruppi viventi, l’unico espediente logico era quello di postulare che i più recenti derivassero, per trasformazione graduale e accidentale, dai più antichi. Per quanto riguarda la sublimità dell’uomo, J. Monod ci ha fatto l’ultimo sberleffo: “Il nostro numero è uscito alla roulette.”

La trasformazione cieca e graduale  dei moderni, ancorché mal documentata e lacunosa, è l’evoluzione, che s’impone fin dalla prima formulazione come l’unico processo capace di lasciare Elohim fuori dalla realtà. Che il meccanismo sia il Caso, o la Selezione Naturale o la loro combinazione ha poca rilevanza. I primi evoluzionisti furono profondamente in disaccordo sul meccanismo del processo, che si presentava loro come necessità logica più che come risultanza dell’osservazione.

“Che le specie siano derivate le une dalle altre - scrivono V. Delage e M. Goldsmith (1927) - non è deduzione che si fonda sopra dei fatti, ma nozione che si impone al nostro spirito come la sola accettabile, dal momento che abbiamo abbandonato la teoria delle creazioni soprannaturali.”

Nelle formulazioni più moderne dell’evoluzione, la selezione naturale è relegata alla genetica di popolazione, riservata nell’origine delle specie, mentre la gradualità del processo di macroevoluzione rimane inspiegata e non documentata. Ma, ripeto, tutto questo ha poca importanza, di fronte all’esigenza di far precipitare Iddio dalla sua Macchina. Senza autore, la generazione è di necessità spontanea e imprevedibile.

Si legge sul Grand Dictionnaire Universel du XIX Siecle, di Pierre La Rousse (1872), alla voce « Génération » :  

«La genesi spontanea non è più un’ipotesi, ma una necessità filosofica. Soltanto essa è razionale, soltanto essa ci sbarazza per sempre dalle puerili cosmogonie e fa rientrare nelle quinte quel deus ex machina del tutto artificiale che secoli di ignoranza hanno a lungo adorato.» 

Le esperienze di Redi nel ‘600, di Spallanzani nel ‘700, di Pasteur nell’800 sono derubricate a “… osservazioni la cui perfetta sperimentazione è manifestamente impossibile, nonostante la potenza dei nostri strumenti.” E così quegli esperimenti che hanno fondato la biologia moderna e i suoi misteri, che ci hanno iniziato alla complessità irripetibile della vita, sono stati trasferiti alla puerilità e alla ignoranza per una “necessità filosofica” (in realtà “teologica”) che ha tarpato le ali a secoli di grande biologia. L’anatomia, la sistematica, la biogeografia, l’embriologia, la biologia molecolare sono state accolte solo per ciò che atteneva a una “necessità logica” a priori mentre la biologia si trasformava in una faustiana biotecnologia.

La “Legge Biogenetica Fondamentale” di E. Haeckel, secondo cui “l’ontogenesi ricapitola la filogenesi”, ancorché imperfetta e fraudolenta nelle dimostrazioni, ha gravato per oltre un secolo sulla embriologia. La sistematica è stata distorta dalla pretesa di farne una prova delle “discendenze divergenti”, la biologia molecolare ha interpretato il suo messaggio incantato come il “testo” della vita, su cui le mutazioni casuali potevano sbizzarrirsi nella stesura di nuovi testi. “Tutto è scritto nel messaggio dell’acido nucleico!” aveva proclamato nel 1974 F. Jacob, per emendarsi solo tre anni dopo (1977):

“…non sono le mutazioni casuali (nell’acido nucleico, ndr) che hanno generato la diversificazione tra gli organismi. Ciò che distingue una farfalla da un leone, una gallina da una mosca o un verme da una balena è molto meno una differenza nei costituenti chimici che nell’organizzazione o distribuzione di questi costituenti.” 

Secondo S.J. Gould, la paleontologia ha proposto al darwinismo tre antichi problemi: 1. La storia della vita presenta una direzione? 2. E’ essa stata modellata da forze esterne o interne? 3. E’ avvenuta per gradi o per salti?

“ La formulazione di questi problemi - ha concluso – ha preceduto il pensiero evolutivo e non ha trovata alcuna soluzione entro il paradigma darwiniano.”

Il grande messaggio scettico dell’evoluzione senza Dio non solo non ha fornito risposta ai grandi problemi della comparsa e successione dei viventi, ma ha anche oscurato il restante territorio della biologia, persino in quei campi che non avevano pretese profetiche, ma la sola intenzione di raccontarsi e di avvicinare rispettosamente l’uomo alla natura.

3. Il Genesi mitico (Gen.2)

I critici della creazione biblica hanno l’abitudine di limitare la loro analisi al Genesi 1, che, come abbiamo visto, è un tardo resoconto storicizzato della comparsa di astri, acqua, terra, piante e animali, ed infine dell’uomo. La vera rivelazione dell’Antico Testamento si trova piuttosto nel Genesi 2, scritto un mezzo millennio prima del Genesi 1 e di carattere mitico-poetico. In esso l’uomo apre la serie delle creature e la donna la conclude.

Il Genesi 2 è stato scritto quando gli ebrei non avevano ancora subito l’esilio babilonese. Il Genesi 1 sarà composto poco dopo il ritorno dall’esilio e posto in apertura della Bibbia. In essi Dio ha un nome diverso: Jahweh (o Jahve)  nella versione mitica (2), Elohim (o Jahweh Elohim) in quella storica.

Nel genesi mitico la vita è un soffio, che solo l’uomo, tra tutti gli animali, riceve; è pensiero e parola, riservati all’uomo (e, per clonazione, alla sua compagna), mentre gli altri animali ne restano privi e saranno animati da una sola parola, quello che l’uomo sceglierà per ognuno di loro. L’ordine di comparsa dei viventi è completamente differente.

GENESI 1

GENESI 2

verzura, graminacee, alberi uomo
pesci, cetacei, volatili  alberi (giardino)
fiere, bestiame, rettili   bestie e volatili  
uomo e donna donna

L’ordine cronologico di comparsa delle specie nel Genesi 2 è del tutto improponibile come sequenza storica, irriferibile a un cammino evolutivo, estraneo alla scienza positiva degli ultimi secoli. Esso sembra anche privo di significato morale, con quell’uomo posto non a corona ma a primordio della biosfera.  Io cercherò di provare che è invece questa genesi mitica che propone i segreti della vita, ordinando le specie non secondo una favolosa cronologia, ma secondo un solido rapporto gerarchico e strutturale.

Da un punto di vista embriologico e anatomico l’uomo è considerato, dalla moderna anatomia comparata, una creatura poco differenziata, embrionale, originaria. Vedremo che ciò vale anche in una prospettiva bio-molecolare. Preferisco illustrare questo concetto con una fiaba di T.H. White, “The Once and Future King” (Berkeley 1958). E’ la parabola della creazione narrata da un venditore ambulante.  

Dapprima Iddio creò una serie di embrioni, perfettamente somiglianti (nella migliore tradizione di von Baer). Li chiamò davanti al suo trono e chiese loro che specializzazioni avrebbero desiderato per la loro forma adulta. Uno per volta essi scelsero le loro armi, le loro difese, il loro isolamento. Finalmente l’embrione umano si avvicinò al trono e disse a Dio:

  • Penso che tu mi abbia fatto nella forma in cui sono, per ragioni che Tu conosci bene, e che sarebbe scorretto cambiarla. Se posso fare la mia scelta, resterei come sono. Non cambierei nessuna delle parti che mi hai dato…  Resterei un embrione indifeso per tutta la vita…

  • Ben fatto – esclamò il Creatore compiaciuto. – Ecco, embrioni tutti, venite qui con i vostri becchi e le vostre quisquilie ad ammirare il Nostro primo Uomo. Egli è il solo che abbia risolto il nostro enigma… In quanto a te, Uomo,… tu sarai come un embrione sino alla sepoltura… Eternamente fanciullo, resterai onnipotenziale, a Nostra immagine e somiglianza, e potrai comprendere alcuni dei Nostri dolori e provare alcune delle Nostre gioie…  

L’uomo risulta, dall’anatomia dei vertebrati (e nella fiaba), la specie meno specializzata, la più fedele alla forma del proprio embrione, la meno “derivata”. In un convegno della Pontificia Accademia delle Scienze, sull’evoluzione dei Primati, cui ho partecipato nel 1982, ho sottolineato che lo scheletro umano, non deformato dall’uso e dalla specializzazione, è il modello di riferimento per tutti i primati (e, per estensione, per tutti i vertebrati). Confrontate la bella mano a ventaglio dell’uomo con quella dello scimmione, allungata e arcuata, o con quella del cavallo, ridotta a un dito zoccoluto, con quella del pipistrello trasformata in un telaio da ombrello, con quella di un cetaceo, sbriciolata in una miriade di ossicini composti in una pinna.

Diritto nella sua figura, il capo eretto, l’uomo è l’immagine esemplare della forma vivente, con le braccia non stirate dalla brachiazione arborea, con la schiena non chinata per l’appoggio delle nocche al suolo. Libero nelle sue lineari geometrie, iscritto in un cerchio quando le braccia si estendono, egli rappresenta l’asse del mondo e la croce cosmica. La sua struttura è il risultato di originarie modalità di sviluppo e non di secondari aggiustamenti, e attraverso esso la forma del vertebrato manifesta la sua gloriosa bellezza. I tratti giovanili conservano alle membra umane l’eleganza e l’armonia della giovinezza della specie. Non circoscritto da alcuna funzione specializzata, il corpo umano è dedicato all’indefinito ed in questo destino ineffabile, di ascesa o di caduta, brilla la scintilla del divino.(64)

“Che cos’è l’uomo? – scrive Westenhoefer – Un essere unico nel suo genere, che si distingue quindi da tutti gli altri. Egli opera, perché è il modo in cui si conserva in esistenza, costruendo se stesso. Egli è non-specializzato, primitivo, ritardato, ed anche staccato dal mondo, aperto al mondo.” 

La sua primordialità consiste nel contenere tutte le potenze (come sviluppo di inespresse funzioni matematiche) e di non manifestarne alcuna, mantenendo il piano generale. La creazione dell’uomo avviene attraverso un soffio indistinto, che lo rende onnipotenziale, e per questo partecipe dell’eternità. La manifestazione delle varie potenze - ali, artigli, becco - corrisponde alla perdita delle altre soluzioni alternative (vedi la novella di White).

Nel Genesi 2 l’uomo è il primo dei viventi, che sono fatti simili a lui, sul suo prototipo. 

6. Allora Jahwe Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita; così l’uomo divenne un essere vivente.18. Poi Jahwe Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che sia simile a lui.” 19.Allora Jahwe Dio plasmò ancora dal suolo tutte le bestie selvatiche e tutti i volatili del cielo…

La primogenitura dell’uomo è asserita da Westwnhoefer (1948) in questi termini:  

“L’uomo è il più antico dei mammiferi, e , fra tutti, sembra quello che meno si è allontanato dal suo ipotetico prototipo.”

L’uomo “eterno embrione” si colloca bene nel quadro della teoria “staminale”  della evoluzione (designazione mia, nda), postulata da P.- Paul Grassé (1973). Secondo lo zoologo francese la vita si propaga attraverso una linea (o una rete) di organismi indifferenziati, larvali, che egli chiama “la linea delle madri”. Egli paragona questa linea ad un rizoma sotterraneo, a uno stolone di fragola. Da questo spuntano, volta a volta, qua o là, verticilli di ramoscelli che si espandono dallo stelo sommerso. Essi corrispondono alle radiazioni (o esplosioni) di forme affini, testimoniate dalla paleontologia (per esempio, la radiazione dei rettili nel carbonifero superiore o quella dei mammiferi nel paleocene). I ramoscelli sono fratelli tra loro, ma sono anche fratelli (non discendenti) dei ramoscelli spuntati a monte da antiche gemmazioni. Tutte le forme gemmate dalla linea madre sono, in senso profondo, originarie, primogenite. Esse si distinguono per ciò che hanno perso, più che per ciò che esprimono dopo la svolta che le ha allontanate dallo stelo. In questo quadro l’uomo è il più vicino allo stelo, al limite è quello che deve ancora nascere, e nello stesso tempo è l’essere originario, il primo destinatario del soffio invisibile da cui è stata generata la sua vita e ogni vita. 

Il quadro che abbiamo presentato rassomiglia a quello tracciato da Giorgio de Santillana e Hertha van Dechend (Il mulino di Amleto, Adelphi, 1983), alla ricerca delle varie versioni della leggenda di Amleto in lontani paesi, vagando dalla Danimarca a Roma, dalla Mesopotania all’Islanda, dalla Polinesia al Messico precolombiano. Concludono gli autori:

      “… la vita originaria del pensiero si aprì una strada nel buio, diramò nelle profondità le sue radici e i suoi viticci, fino a che la pianta vivente  non uscì alla luce sotto cieli diversi. A mezzo mondo di distanza, fu possibile scoprire un uguale viaggio della mente…”

Questa amletica figura dai cento volti è la vita in tutte le sue forme, collegate ma non discendenti l’una dall’altra, e l’uomo è tra queste la più indeterminata, quella che ancora dubita tra “l’essere e il non essere”.

La primogenitura dell’uomo entro la sua famiglia di Primati è attestata anche dai recenti studi delle loro molecole (DNA mitocondriale). Da quando la linea umana si è distaccata da quella dei Primati (radiazione dei Primati antropomorfi), la molecola degli uomini ha subito 13 refusi, contro 34 dello scimpanzé. In termini canonici questo voleva dire che l’uomo è molto meno “evoluto” degli scimmioni africani e che quindi “l’antenato comune” è piuttosto un uomo che una scimmia, che la linea umana è rimasta, per così dire, bambina rispetto a quella quadrumane. Sulla base di questi dati Alan Templeton aveva concluso:  

“… (L’uomo) è il Peter Pan del mondo dei Primati – il bambino che si è rifiutato di crescere.”

Le genealogie che pongono l’uomo all’ultimo posto nel regno animale, come il più tardo e il più vecchio – il Genesi 1 e l’evoluzionismo – trascurano la struttura essenziale dell’uomo e il significato sacro di questa.

3. Il Genesi mitico (Gen. 2) e lo strutturalismo dinamico

Anche il Genesi 2 ha trasferito i suoi principi alla scienza, nelle concezioni, medievali o moderne, che  privilegiano l’aspetto permanente, la stabilità strutturale, gli archetipi eterni, rispetto alla storia. In esse la normativa (la geometria) della vita esiste prima della vita, fuori del tempo, nella sua totalità inespressa e l’emergenza delle forme corrisponde all’attuarsi di alcune di queste potenzialità nelle specie particolari. Queste visioni si conciliano con la priorità dell’uomo rispetto a tutti gli altri esseri, poiché l’uomo è colui che contiene, inespresso, il massimo delle potenzialità, è l’indifferenziato, l’animale nudo, il bambino non cresciuto, l’eterno embrione.

Nel Genesi 2, i diversi animali sono evocati con un nome, che Adamo pronuncia al loro passaggio. Egli conosce tutte le parole, mentre le bestie selvatiche, il bestiame, gli uccelli ne posseggono una sola, quella che l’uomo darà loro. Essi sono “creature parziali”. La donna nasce dalla costola dell’uomo, anch’ella come creatura totale, con un procedimento vegetale, che oggi chiamiamo “clonazione”. Il procedimento è analogo a quello messo in opera da Cronos, quando con un falcetto taglia i genitali del padre Urano e ne trae la prima donna, Afrodite Anadiomene, uscita dalle acque. Come Afrodite, Eva diviene “la madre di tutti i viventi” (Gen. 3-20), l’iniziatrice di un mondo matriarcale, nel quale l’uomo va a vivere presso la donna (“perciò l’uomo abbandona il padre e la madre…”) (Gen. 2-24). Il libro 2 del Genesi termina col versetto:

25. Ora ambedue erano nudi, l’uomo e la sua donna, e non se ne vergognarono.

La nudità esprime non la indecenza della prima coppia, ma il loro essere inermi, privi di protezioni e di armi (e di nome), come invece tutte le bestie e i volatili. Via via che li acquistano, gli animali perdono la loro onnipotenzialità e si chiudono nella loro specializzazione. 

Il riconoscimento nelle specie viventi di strutture permanenti, che si manifestano - qua o là, prima o poi -  in forme specifiche e particolari, che costituiscono un sistema prefissato di possibilità, è il tema centrale di un importante filone biologico, che fu chiamato (spregiativamente) “vitalismo”, “fissismo”, “preformismo” e, recentemente, “strutturalismo dinamico” o “paradigma generativo”. Il suo principio è dichiarato chiaramente da René Thom:

“Io credo che in biologia esistano struttura formali, in concreto entità geometriche, che prescrivono le sole forme che un sistema dinamico può presentare in un dato ambiente… Ogni forma propria aspira all’esistenza e attrae il fronte d’onda degli esseri esistenti.” 

4. Nostalgia dell’eternità

Accanto al darwinismo, e oscurata da questo, è sempre rimasta in vita una biologia strutturalista, estranea al pensiero storico e attenta alle permanenze dei sistemi viventi. Per essa la forma animale deriva da alcuni principi generativi, da alcune potenzialità incorporee, la “virtute informativa” o “intelletto possibile” della scolastica, quali Dante esprime nel verso famoso:

“guarda il calor del sol che si fa vino (Purg, xxv, 77).

In linguaggio moderno, la forma è espressione di alcune norme morfogenetiche, di alcune equazioni di base che trovano, nelle diverse specie, la loro particolare soluzione.

“Ogni organismo - ha scritto Brian Goodwin - porta in sé il potenziale per creare una grande varietà di forme, poiché ogni campo morfogenetico è descritto da equazioni con molte soluzioni, che definiscono l’insieme delle possibilità morfologiche… Il processo biologico di creazione o generazione consiste nella selezione o evocazione di particolari quadri, da parte dei geni o dell’ambiente, da un insieme potenziale specificato dalle leggi di organizzazione dello stato vivente.” (in G.C. Webster e B.C. Goodwin, Il Problema della Forma in Biologia, Armando, Roma, 1988).

Le “strutture formali” postulate da Thom sono un complesso di norme, esistite da sempre al di fuori degli oggetti,  che prescrivono le possibilità del mondo. In termini mitici, esse corrispondono alla “Grande Madre”, che offre ai viventi suoi figli la propria forma generale, ed essi la esprimono nelle loro soluzioni particolari. 

Un eguale concetto è stato espresso poeticamente da Hector Bianciotti:

Ogni uomo reca in sé uomini parziali che si ignorano: nasciamo numerosi, moriamo uno solo – o nessuno – e raccontare è ricordare.” (L’Amore non è Amato, Sellerio, Palermo 1984, p.101).  

La conclusione del Genesi 2, che chiude con la formazione singolare della donna, prospetta un mondo fondato su un “principio generativo”, piuttosto che su un “principio competitivo” come il mondo del Genesi 1, concluso dall’animale uomo (“maschio e femmina li creò, 1, 26), destinato alla moltiplicazione e al dominio sugli altri esseri. La pre-esistenza di strutture formali o regole di sviluppo antecedenti alla creazione delle specie particolari è espressa più esplicitamente e fuor di metafora nella figura della Sapienza (Proverbi, 8): 

“22. Jahwe mi creò fin dall’inizio del suo potere, prima delle sue opere,
23. dall’eternità fui stabilita, dalle origini, dai primordi della terra.
24. Quando ancora non c’erano abissi io fui concepita… Stavo accanto a lui come architetto.”

Ne tesse le lodi e ne descrive le qualità Salomone (Sapienza, 7):  

22. In essa, infatti, vi è uno spirito intelligente, santo,
unico e molteplice, sottile,
celere, perspicace, senza macchia,
lucido, propizio, amante del bene, penetrante…
23. incoercibile, benefico, amante degli uomini
immutabile, fermo,
senza ansie,
tutto può, tutto vigila
e penetra ogni spirito
intelligente, puro e più sottile.
 

Lima-de-Faria considera la origine delle specie come una fenomenologia tarda e secondaria e ferma l’attenzione su quello che lui nomina “l’altro lato dell’evoluzione”. Questo riguarda le forme prime, i piani fondamentali, che esistono nel mondo matematico e minerale prima che nella vita, che sempre esisteranno, e che i viventi hanno utilizzato e utilizzeranno nei millenni per svolgere i loro compiti particolari.

Dice Kohelet:  Ciò che fu è quello che sarà, ciò che avvenne è quello che avverrà: perciò nulla è nuovo sotto il sole (Ecclesiaste, 1-9).

 Nelle due Genesi, come nella scienza, si mantiene la contraddizione-contrapposizione tra un bisogno di storia (evoluzione) e un’esigenza di stabilità (struttura), tra l’aspirazione al progresso e all’adattamento, e quella che Hector Bianciotti chiamò “nostalgia dell’eternità”.

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Evoluzione e struttura nel Genesi biblico

Una riflessione sullo scritto del prof. Giuseppe Sermonti

Di Giovanni Leonardi 

Ho cominciato a conoscere e apprezzare il prof. Sermonti fin dalla pubblicazione del libro Dopo Darwin scritto insieme al prof. Fondi. So degli altri suoi libri anche se personalmente ho letto solo Dimenticare Darwin, ombre sull’evoluzione di cui ho molto apprezzato anche, mi si perdonerà se dico questo di un libro che affronta un tema scientifico,  la poesia con cui è capace di parlare della natura. Personalmente l’ho ascoltato in un ormai lontano dibattito con un giovane ricercatore di opposte convinzioni nella sala conferenze della Biblioteca di Prato. Mi ha colpito allora la pacatezza con cui discuteva delle sue convinzioni, pacatezza che appariva ancora più evidente di fronte alla vis polemica del giovane interlocutore di allora. Una recente apparizione in un dibattito pubblico mi fa capire che, nonostante i conflitti,  quella virtù non è svanita e gliene sono riconoscente perché - soprattutto nel campo di cui ci occupiamo - sono i fatti che difendono la verità, non le emozioni e soprattutto non l’aggressività. 

Mi fa piacere che ora il prof. Sermonti si apra ad una riflessione sulla Bibbia in rapporto all’origine della vita, anche se entra qui in un campo che non è meno minato di quello dell’evoluzionismo e del quale non so se conosce tutte le problematiche. Mi permetto quindi di fare notare alcuni dati della discussione e dare brevemente ragione delle convinzioni dell’Aiso. Immagino questo scritto come un dialogo con il professore. Spero abbia un po’ di tempo e un po’ di pazienza per me. 

Somiglianze che non vanno ignorate

Credo sia di un certo interesse notare come la storia dell’evoluzionismo sia perfettamente equiparabile, sul piano della filosofia di base e dei metodi, a quella della critica moderna ai primi capitoli della Bibbia, quelli che più di ogni altro affrontano il tema delle origini e del senso della nostra esistenza. 

Anche se ipotesi evoluzioniste erano state avanzate precedentemente, fu certamente Charles Darwin a dare credibilità e successo alla teoria, dotandola di una organicità nuova e sostenendola con argomentazioni che, al suo tempo, apparivano convincenti. A nostro parere, c’era comunque anche un presupposto psicologico e filosofico di fondo che rendeva la teoria ricevibile: la convinzione di origine illuministica secondo cui tutto dovesse essere compreso alla luce della ragione umana e non della fede vista ormai come fatto superstizioso.[1]

I progressi della scienza e della tecnologia avevano creato un ampio substrato psicologico e spirituale in cui l’idea di progresso diventava una realtà forte e inarrestabile. In tale prospettiva, una teoria che si presentasse come scientifica e che rendesse conto dell’esistenza della natura facendo partire il tutto dall’estremamente semplice originario per condurlo alla complessità del presente sulla base di un teorema altrettanto semplice come quello della selezione naturale, rinunciando all’idea di Dio come originatore del tutto, non poteva che avere successo. L’uomo era alla fine libero dai legami con il suo Creatore e, come aveva già annunziato l’antico serpente (Gen. 3:4,5), era diventato il dio di se stesso. L’Origine delle specie, pubblicato nel 1859, con i suoi precorsi degli anni quaranta, è allo stesso tempo segno delle prospettive, che abbiamo accennato, e impulso al loro sviluppo. 

Sul piano biblico avvenne esattamente lo stesso, a cominciare soprattutto dal libro del Genesi. L’idea antica secondo cui tutto il libro era il risultato di un’unica mente (quelle di Mosè) guidata dallo Spirito Divino, lasciò il passo a quella di una totale umanità del testo che fu visto a sua volta come il risultato di un lungo processo evolutivo durante il quale elementi più o meno brevi (e quindi semplici) si trovarono a essere assemblati e armonizzati formando strutture sempre più complesse e ricche fino al risultato finale che possediamo ancora oggi. Non Dio avrebbe suscitato il testo, né Egli nè avrebbe guidato l’evoluzione. Il ruolo che la selezione naturale darwinista svolse nell’ambito dell’evoluzione biologica, fu assunto, nell’ambito della critica biblica, dal genio anonimo popolare (storia delle forme di Gunkel), o dall’interesse religioso e politico delle classi dominanti (ipotesi documentaria di Graf-Wellhausen). 

La visione evoluzionistica del testo biblico aveva avuto degli antecedenti, ma fu Julius Wellhausen che, come aveva fatto Darwin in ambito biologico, diede alla tesi organicità, logicità e successo. La sua tesi, pubblicata nel 1876 col titolo Die Komposition des Hexateuchs, vedeva il Pentateuco come il risultato di un lungo processo storico-letterario le cui origini non erano chiaramente definibili ma che si era cristallizzato in alcune tappe principali. Verso l’850 a.C, nel regno di Giuda, sarebbe stato redatto un primo documento detto Javista per tenere conto delle esigenze della monarchia davidica. Verso il 750, il regno avversario di Israele avrebbe risposto con la redazione di un secondo documento, detto Eloista, che teneva maggiormente conto della loro visione delle cose. Verso il 650, in un momento storico in cui la divisione nazionale veniva a mancare per la scomparsa del regno di Israele, qualcuno avrebbe unificato le due tradizioni in un documento J-E. Nel 621 sarebbe stata creata la pia frode del Deuteronomista per incoraggiare la riforma religiosa di Giosia con la centralizzazione del culto a Gerusalemme, e infine, durante l’esilio babilonese, sarebbe nato il cosiddetto sacerdotale (Priestercodex). Esdra, il grande scriba, eroe della restaurazione spirituale della nazione ebraica, avrebbe infine unificato tutti questi documenti creando il Pentateuco che, dopo minori rimaneggiamenti, avrebbe assunto la sua forma definitiva attuale verso il II sec. A.C.     

Come scrisse Hahn, Wellhausen “occupò nel campo della critica dell’Antico Testamento una posizione analoga a quella tenuta da Darwin nell’area della biologia.”[2] Come Darwin ebbe il merito di non descrivere solo dei fatti (o quelli che lui credeva tali), ma li inserì invece in una visione organica della storia del mondo e della vita, cosa che fu certamente all’origine del suo successo, così fece Wellhausen in rapporto alla sua teoria documentaria. 

Con Wellhausen, la critica dell’Antico Testamento uscì dalla fredda descrizione dei dati letterari e diventò testimonianza dell’anima viva della storia e della spiritualità del popolo ebraico. E tutto questo senza fare ricorso a Dio, partendo da presupposti di tipo evoluzionistico in cui, come in tutti gli altri popoli, anche la religiosità d’Israele si sarebbe evoluta dall’originario animismo,  ancora presente nelle popolazioni “primitive”  del nostro mondo, al monoteismo delle culture più avanzate, passando attraverso le fasi intermedie del politeismo (credenza in diversi dèi) e del monolatrismo (adorazione speciale di uno dei tanti dèi esistenti). C’era poco da fare notare che all’epoca in cui Israele entrò nella storia, l’animismo era ormai assente dal medio oriente, o che le prove di un monolatrismo erano delle forzature che non tenevano conto della natura del linguaggio. La teoria era affascinante e soddisfaceva lo spirito del tempo. Ora, anche sul piano più prettamente religioso, l’uomo poteva dirsi affrancato dal Creatore. Anche la religione si sottometteva allo spirito scientifico e si creava da sé. Come avvenne per l’evoluzione biologica darwiniana, la cui filosofia di base sopravvive nonostante le continue critiche e smentite cui sono state sottoposte le sue fondamenta, così accade che anche la teoria evoluzionistica di Wellhausen, seppure criticata e rivista per molti aspetti, rimane sempre esaltata e condivisa nella sua filosofia di fondo. 

Per Wellhausen e gli altri vicini a lui, i testi dell’antico Genesi non potevano parlare di un mondo reale che nessuno, d’altra parte, poteva allora conoscere; ma erano testimonianze fantasiose anche se suggestive di una realtà mitica. Oggi l’archeologia biblica ha ampiamente dimostrato il quadro storico in cui si muovevano i personaggi biblici da Abramo in poi. Ma molti rimangono ancora legati agli antichi presupposti e alle antiche conclusioni di base. Al di là dei dati e dei problemi oggettivi da cui esse possono nascere, sono i tempi a richiedere la loro permanenza, è lo spirito dell’uomo moderno che ne ha bisogno per nutrire il proprio bisogno di indipendenza ... fino a quando forse riscopriremo altri bisogni e sapremo allora guardare ai fatti con occhi diversi. 

Va da sé un’altra somiglianza tra i due fenomeni: la stessa discriminazione che gli scienziati di convinzione  creazionista subiscono nel mondo culturale accademico moderno così pregno di convinzioni evoluzioniste, è subita anche dai teologi “conservatori” in rapporto al liberalismo imperante negli istituti culturali che si occupano del fenomeno religioso.

La critica di fondo all’evoluzione

Chi ha già letto lo scritto del prof. Sermonti potrà notare la nostra identità di vedute sul senso più profondo dell’evoluzionismo. Sia per noi sia per il professore, l’evoluzionismo è soprattutto un tentativo di escludere Dio dall’orizzonte della nostra storia e della nostra vita. Mi sembra molto interessante l’opinione di Sermonti quando afferma che l’evoluzionismo, così come si è venuto a configurare, non fa altro che rinnovare quanto Genesi 1 già diceva, escludendo però la figura del Creatore se non soltanto (e solo per alcuni) in rapporto al fiat iniziale. Dò per scontato che con le sue poche frasi, Sermonti non voglia rendere conto di tutte le componenti dell’evoluzionismo moderno (molti, ad esempio, vedono la mano di Dio anche nel processo evolutivo in sé: “concordismo” o “evoluzionismo teista”). Possiamo quindi ritrovarci in quello che lui dice. Notiamo tuttavia quella che a noi appare come una incongruenza nel suo modo di leggere il testo biblico, lettura che si svolge partendo dai presupposti e con i metodi che sono propri dei sostenitori del pensiero che si vuole criticare (non solo viene riconosciuta l’esistenza dei documenti wellhausiani, ma se ne accetta la datazione e anche una delle argomentazioni più antiche come quella di diversi nomi attribuiti a Dio). Conoscendo la situazione capisco che non era facile assumere una posizione diversa, ma può essere utile sapere che questo potrebbe farci vittima della forza della cultura di impostazione storico-critica wellhausiana allo stesso modo in cui molti sono vittime di una visione darwinista o neo darwinista solo perché vinti dalla ormai preponderante e ossequiente letteratura sull’argomento e dal martellamento ossessivo dei mass media favorevoli alla tesi.

Il rapporto tra Genesi 1 e 2

La gran parte dei commentari moderni sul libro del Genesi, rispecchia o dà per scontata la teoria documentaria di Wellhausen. Il prof. Sermonti, forse senza conoscerne i presupposti e i metodi, sviluppa la sua tesi proprio sullo sfondo di questa visione. Allo stesso modo mi sembra che, come avviene in molti commentari tendenti a proteggere da una parte il valore spirituale del testo biblico pur negandone il senso storico, lo si legga influenzati da preoccupazioni che molto probabilmente sono più nostre che dello scrittore originale. 

La teoria documentaria classica attribuisce Genesi 1 al Sacerdotale (fine epoca esilica quindi) mentre Genesi 2 è attribuito allo Javista e sarebbe quindi più antico. Non staremo qui a discutere le ragioni per questa distinzione – che noi rifiutiamo – perché richiederebbe una trattazione molto più lunga e di tipo totalmente diverso da quella che possiamo offrire qui. Mentre gli interpreti “liberali” (per necessità di semplificazione, chiamo così quegli studiosi che accettano i presupposti evoluzionistici di Wellhausen o altri simili), prediligono in genere il testo di Genesi 1 come culturalmente e spiritualmente più avanzato, il professore Sermonti predilige invece Genesi 2 perché ponendo l’uomo all’inizio della creazione ne farebbe l’archetipo di tutte le altre forme animali, cosa che corrisponderebbe perfettamente alla sua visione della storia della vita. La nostra impressione è però che, così facendo, si faccia dire a Genesi 2 quello che il testo non vuole dire; allo stesso modo in cui gli Evoluzionisti teisti fanno dire a Genesi 1 quello che essi hanno già deciso di credere indipendentemente da questo testo. 

Per noi, la realtà è che entrambi i primi capitoli del Genesi, nonostante la diversità di linguaggio ed alcuni problemi non facili da risolvere, ma di secondaria importanza, contraddicono pesantemente la visione evoluzionistica e danno lo stesso messaggio di base. 

E’ vero che Genesi 2 ha un linguaggio più immaginifico o mitologico (non so se anche più “poetico”) di Genesi 1, ma ciò è finalizzato a criticare, come aveva già fatto a suo modo Genesi 1, la visione mitica del mondo caratteristica di quell’epoca. Lo si vede, ad esempio, paragonando ciò che il testo biblico dice sull’albero della vita con quello che troviamo, ad esempio, nel mito mesopotamico di Ghilgamesh. In quest’ultimo, gli dèi lo nascondono in fondo al mare perché  l’uomo non giunga mai a possederlo, mentre l’Iddio del Genesi lo pone al centro dell’Eden e lo offre lui stesso all’uomo. Lo si vede da ciò che lo stesso mito dice del serpente, descritto come alleato degli dèi affinché l’uomo continui a morire,  mentre Genesi 2 né fa l’avversario bugiardo di Dio, il nemico che allontana la creature dal Padre che lo ama.[3] Per Genesi 1, lo stesso Sermonti dà ampia  ragione della sua natura antimitica. Anche il lettore non addentro a queste tematiche potrà facilmente apprezzare il fatto che quando il testo biblico deve parlare della creazione del sole e della luna (vv. 14-17) evita persino di chiamarli per nome, perché per gli antichi essi erano degli déi, cosa che la Bibbia rifiuta in modo totale. Genesi 1 dice soltanto che erano delle luci, delle lampade e dei segni per scandire il tempo dell’uomo.

Tutti i commentatori liberali vedono in Genesi 2 una storia diversa della creazione. Sermonti segue la loro scia anche se nega a questo capitolo un’intenzione storicista, facendone un modello esistenziale e introducendovi una sua tematica del tutto speciale. Però, come altri studiosi riconoscono, Genesi 2 non può essere visto come una descrizione alternativa e contrastante della creazione. Innanzitutto mancherebbe la creazione fondamentale del cielo e degli astri, del mare e dei suoi abitanti, elementi senza i quali il mondo conosciuto non esisterebbe e la stessa vita dell’uomo non andrebbe avanti. Anche la creazione del suolo e del processo del suo annacquamento, fatto così determinante per la vita, è presupposto come esistente, non descritto mentre viene creato. Solo dell’uomo si descrive con certezza la creazione. Su quella degli animali, si può discutere perché il verbo usato può essere inteso legittimamente come un passato remoto, “creò”, nel qual caso il testo porrebbe la loro creazione dopo quella dell’uomo, creando un conflitto con Genesi 1:24-28 dove  la loro creazione precede quella dell’uomo anche se il tutto avviene nello stesso giorno. Alcune traduzioni moderne come la Nuova Diodati in campo protestante e la traduzione delle Paoline traducono ancora in questo modo. Altre traduzioni, come la Nuova Riveduta o la New International Version, altrettanto legittimamente, intendono il tempo del verbo come se si riferisse ad un momento precedente: “Dio ... avendo formato dalla terra tutti gli animali ... li condusse all'uomo.” In questo modo la creazione degli animali viene ricondotta, come in Genesi 1, a prima della creazione dell’uomo. La scelta tra le due opzioni non nasce da esigenze grammaticali, ma dalla visione d’insieme dei testi e non vediamo perché si debba introdurre una discrepanza non necessaria.

La questione delle piante è più complessa e la comprensione del testo biblico dipende in buona parte da come si comprendono i riferimenti ai vegetali che non esistevano ancora e alla pioggia che non c’era, cose non così ovvie come potrebbe dedursi dalla semplice lettura delle traduzioni. Non potendo entrare qui in una discussione sui dettagli, mi limito a condividere la mia impressione sul significato generale del testo. Mentre in Genesi 1 l’autore ci ha descritto la creazione del mondo e della vita in termini generali e assoluti, con Genesi 2 comincia invece un dialogo più specifico sulla vita dell’uomo nei suoi rapporti interpersonali e con il resto del mondo così come poteva essere percepito dall’agricoltore o dal pastore del suo tempo. Egli ci dice dunque, che il mondo che si conosceva al suo tempo, il mondo dei cespugli del deserto e dei campi coltivati a cereali, il mondo insomma della lotta e della fatica quotidiana per la vita non esisteva quando Dio creò il mondo. Esisteva invece la vita ideale di chi era stato posto in un giardino irrigato che, con piccola cura da parte dell’uomo, produceva spontaneamente e generosamente i frutti necessari alla vita. Nel Medio Oriente antico, l’ideale di molti contadini era il possesso di un giardino, un pezzo di terra dove la presenza dell’acqua rendesse la vita facile e prospera (il nostro “paradiso” significa “giardino”, appunto). Quello che ci viene allora detto è che la casa provveduta da Dio all’uomo era il meglio che si potesse desiderare. Al mondo della fatica si giunge solo dopo il peccato e la maledizione che ne consegue sull’uomo stesso e sul mondo.

La questione dei tempi delle varie fasi della creazione non è più importante (e molti verbi ebraici possono essere tradotti con valori temporali diversi). Quello che importa è il quadro generale della vita che non c’era e che poi venne, e di quello che Dio veramente fece. In Genesi 1 tutto è descritto in termini esplicitamente cronologici come indicato dall’insistente ripetizione di “e fu il primo ... il secondo ... il terzo ... il quarto ... giorno”, ma questo manca totalmente in Genesi 2 dove si vuole soprattutto creare l’impressione di un mondo che direttamente ruota attorno all’uomo. Che si parli di qualcosa prima o dopo della creazione dell’uomo ha poca importanza: quello che importa è ciò che Dio fece, non quando fece una cosa rispetto all’altra. In questo senso possiamo essere parzialmente vicini al sentire del prof. Sermonti quando attribuisce al testo un valore più funzionale che cronologico. 

Qual è allora la funzione di Genesi 2 rispetto a Genesi 1? Qualcosa abbiamo già detto, ma possiamo aggiungere altro, anche se solo per cenni: Genesi 1 risponde alla domanda fondamentale di ogni essere pensante: Chi siamo noi? Da dove veniamo? Il testo ci dice: siamo creature di Dio da cui viene tutto quello che esiste, il suo ordine, la sua bellezza, la sua armonia. Il testo dice ai suoi primi lettori, che questo Dio non era come gli uomini erano giunti ad immaginarlo. Non era un dio che sorgeva dalla natura con la quale aveva dovuto lottare per emergere ed affermarsi su di essa, ma un Dio da cui la natura stessa veniva e sulla quale Egli signoreggiava in modo incontrastato. Un Dio che non aveva  bisogno di lottare che  creò un mondo in cui non c’era lotta, dove la terra produceva spontaneamente i suoi frutti per gli esseri animati, la cui vita non era mai vissuta a scapito della vita degli altri. Tutti godevano liberamente di una vita data con una ricchezza senza limiti  “Tutto era molto buono” (v. 31) è la sintesi della creazione narrata da Genesi 1. 

Genesi 2 risponde invece ad altre domande: Se Dio ha creato tutto così buono, da dove viene il male, la lotta, la fatica, la morte che sperimentiamo tutti i giorni? Da dove viene la vita come la viviamo ora, in questo mondo così diverso, la vita dell’agricoltore, del pastore, con la sua lotta per strappare al suolo quel poco che basta al sostentamento? Da dove vengono gli stessi rapporti tra gli uomini molto spesso così problematici? 

Come in Genesi 1, anche qui la risposta non viene data attraverso delle affermazioni teoriche, ma attraverso la plasticità della narrazione. Il mondo in quanto tale esiste già. Come sia sorto è già stato detto. Ora ci si concentra sul mondo del lavoro e dell’attività umana. Eden era un mondo di pace e di armonia, come quello di Genesi 1: Dio vi aveva messo tutto quello che era necessario alla vita: alberi di ogni tipo e abbondanza d’acqua: attraverso fiumi e attraverso la rugiada: entrambi abbondanti e continui come continua e florida scorreva la vita di tutto. Non c’era da aspettare la pioggia per avere vita e non c’era paura delle inondazioni. In Genesi 2, l’uomo è posto al centro della creazione come in Genesi 1 è posto al suo culmine. In ogni caso, la centralità dell’uomo è affermata. E come in Genesi 1 l’uomo è creato a immagine di Dio, signore della natura, così Genesi 2 ci dice che Dio crea l’uomo con la libertà e la responsabilità di un essere morale capace di rispettare il limite tra sé e il suo Creatore, e quello esistente tra il bene e il male. Genesi 2 ci dice anche che quella signoria sulla natura che l’uomo aveva ricevuto in Genesi 1, non si esprime attraverso un atteggiamento distruttivo di sfruttamento, ma attraverso un atteggiamento regale di servizio e protezione. A un mondo dove la donna era già abbondantemente diventata serva del maschio, il testo ci dice che Dio aveva creato Eva dalla stessa carne di Adamo attribuendole dignità e valore. Lo stesso aveva fatto Genesi 1 dicendo che quell’uomo creato a immagine di Dio era “maschio e femmina”. No, non c’è differenza tra Genesi 1 e 2 per quel che riguarda la visione delle origini e il senso della vita. In Genesi 2 c’è solo un linguaggio diverso, un linguaggio usato per dire che quel Dio, che sovranamente aveva creato il mondo, era tuttavia un Dio vicino all’uomo, un Dio che lo crea toccandolo, plasmandolo con una vicinanza e intimità straordinaria, un Dio che crea non semplicemente il mondo in astratto, ma il mondo che è casa dell’uomo. Una casa diversa però da come i primi lettori concretamente la conoscevano. Tutto è cambiato a causa della ribellione dell’uomo a Dio, ribellione che ha distrutto l’armonia tra la creatura e il Creatore, ed ha introdotto in loro stessi e in tutto il resto, la disarmonia, la lotta e la morte. Da questo nasce il mondo con le spine, con gli arbusti o comunque li si voglia intendere che fanno parte della vita dei piccoli coltivatori  o dei pastori di quel tempo e di tutti i tempi. 

Né Genesi 1 né Genesi 2 possono armonizzarsi con la tesi evoluzionistica, non solo perché entrambi vedono la creazione dei viventi come esseri già specificati e perfetti, ma anche e soprattutto perché entrambi i capitoli sono stati fondamentalmente scritti per dirci che Dio non ha bisogno della fatica dei milioni di anni e della pena della lotta e della morte per creare e sostenere la vita, come invece l’evoluzionismo ha iscritto nel più profondo del suo DNA ideologico. 

Condividiamo quindi con il prof. Sermonti la tesi che il vero nemico dell’Evoluzionismo è la visione biblica della creazione. Ce ne differenziamo invece per il fatto di credere che il vero nemico non sia solo genesi 2, ma tutto il racconto della creazione a partire da quel “Nel principio Dio creò i cieli e  la terra” (Genesi 1:1). 

D’altra parte, perché discutere sul valore di Genesi in rapporto all’evoluzione? Se non si crede che questo libro abbia in Dio la sua prima origine, perché affaticarsi a considerarlo in tutto o in parte? Se si crede che Genesi ci presenti una visione che ha valore perché viene da Dio, allora bisogna accettarlo completamente come dicendoci la verità. Genesi 1 e 2 sono soltanto l’inizio di un percorso. Il Vangelo di Gesù Cristo e la speranza che ci offre di un mondo originario restaurato alla sua primitiva armonia e bellezza ne sono la conclusione.  

L’uomo e gli animali

Il prof. Sermonti scrive: “Nel genesi mitico [cap. 2,3] la vita è un soffio, che solo l’uomo, tra tutti gli animali, riceve; è pensiero e parola, riservati all’uomo (e, per clonazione, alla sua compagna), mentre gli altri animali ne restano privi e saranno animati da una sola parola, quello che l’uomo sceglierà per ognuno di loro.” E’ un pensiero molto bello e vi intuisco sensibilità poetica oltre che logica. Tuttavia, sul piano testuale, mi sembra che difficilmente si possa attribuire al soffio dell’uomo un carattere di esclusività, perché Genesi attribuisce lo stesso soffio a tutti gli animali (Confronta Gn 2:7 con 6:17; 7:15,22. I termini neshmah e ruach sono usati come sinonimi per dire alito, respiro, soffio, vita). Il fatto che Adamo sia invitato da Dio a dare un nome agli animali, non è lo stesso che dare vita. Gli animali esistono per volontà e potere di Dio: è da Lui che ricevono il soffio. Dare loro un nome, nella terminologia biblica, significa piuttosto riconoscerne la natura specifica ed esercitare su di essi un’autorità e un dominio (anche questo fatto presente in Genesi 1). 

E’ proprio sul rapporto tra uomo e animale che l’opinione del prof. Sermonti ci sembra maggiormente differire dalla visione biblica. Provo a spiegarmi. 

Mi sembra di capire che il prof. Sermonti inserisca la sua visione scientifica dell’origine e dello sviluppo della vita sullo sfondo del quadro fornito dalla geologia moderna con i suoi lunghissimi tempi e la comparsa di nuovi tipi (mi si perdonerà la terminologia non proprio scientifica) durante lo svolgersi delle diverse ere. A differenza dell’evoluzionismo corrente, il professor Sermonti fa però notare che tali nuove forme di vita non sembrano essere il risultato di lenti adattamenti dovuti alla selezione naturale o a mutamenti genetici casuali. Egli considera questi fattori come inadeguati a spiegare la realtà dei dati oggettivi. Avanza quindi la tesi che tutte le forme viventi esistenti siano in realtà manifestazioni di una possibilità già presente nella creazione originale e che aspettino solo le circostanze opportune per svelarsi improvvisamente. E’ una tesi che mi affascina e alla quale di tanto in tanto ripenso per capirne l’oggettività e le implicazioni. Si tratterebbe di un’altra versione del concetto di creazione continua? Se così fosse non contraddirebbe la visione di una creazione conclusa prospettata da Genesi 1 in cui le varie forme viventi appaiono già presenti de facto al momento della creazione? Non contraddirebbe anche il fatto, presente in Genesi 2, che l’uomo abbia dato un nome agli animali, ne abbia cioè riconosciuto l’identità e diversità in un momento iniziale della storia? Quali limiti attribuisce il prof. Sermonti a questa capacità del vivente di contenere in sé il progetto di tante altre forme possibili? Se tale possibilità fosse limitata entro il quadro di quello che noi chiameremmo “variazioni sul tema”, rimanendo sempre nell’ambito, ad esempio, di quelli che noi chiamiamo generi o famiglie, come potremmo spiegare il fatto che alcuni di essi non sono testimoniati nella successione stratigrafica? Sarebbe questa una prova del fatto che essi non esistevano in certe ere e che siano sorti improvvisamente in epoche successive? O non si può forse leggere la natura stessa degli strati geologici e quella dei fossili in essi contenuti come  testimonianza di un catastrofismo legato, ad esempio al diluvio biblico, che porterebbe ad un accorciamento enorme dei tempi geologici? Certo, la tesi potrebbe aiutare a rispondere a delle domande che anche i creazionisti biblici si pongono e, se accolta entro i limiti cui accennavamo sopra, potrebbe spiegare la molteplicità straordinaria delle forme esistenti. Alla fine, come ogni ipotesi, anche questa deve confrontarsi con i fatti, ma i fatti sono spesso letti alla luce di presupposti. Uno è quello della geologia uniformista, un altro quello del catastrofismo biblico. Sul piano scientifico sia le ipotesi che i presupposti vanno sostenuti o rifiutati in base ai fatti che possono sostenerli o contraddirli. Se ci si pone però sul piano della fiducia nel messaggio biblico, mi sembra difficile non vedere proprio nel fatto che l’uomo è chiamato a dare un nome agli animali, il fatto che l’uomo non sia l’archetipo universale della vita, ma colui che venendo dopo prende consapevolezza di ciò che già esiste e lo riceve in dono. 

Il fatto che l’uomo sia il meno specializzato tra le tante specie, prova che è il più vecchio dei primati e dei vertebrati e che questi sorgono come particolarità del modello che lui offre, o è semplicemente colui che nel progetto di Dio doveva avere più libertà di scegliere la propria vita e la capacità di gestire il mondo in cui tutti gli altri vivono?      

L’uomo bambino

Scrive il prof. Sermonti: “La primogenitura dell’uomo entro la sua famiglia di Primati è attestata anche dai recenti studi delle loro molecole (DNA mitocondriale). Da quando la linea umana si è distaccata da quella dei Primati (radiazione dei Primati antropomorfi), la molecola degli uomini ha subito 13 refusi, contro 34 dello scimpanzé. In termini canonici questo voleva dire che l’uomo è molto meno “evoluto” degli scimmioni africani e che quindi “l’antenato comune” è piuttosto un uomo che una scimmia, che la linea umana è rimasta, per così dire, bambina rispetto a quella quadrumane.”

Non sono un genetista e non saprei come valutare i dati ai quali il professore si riferisce. Mi chiedo soltanto, e da ignorante,  come si faccia a sapere che il DNA dell’uomo abbia subito meno refusi di quello dei primati antropomorfi a partire da un dato periodo o un dato antenato comune. Come si fa a sapere com’era il DNA di tale antenato se esso non esiste più? E se anche esistesse ancora, come si farebbe a sapere che è proprio lui quello da cui gli altri derivano? Cosa sarebbero poi questi refusi? Si tratta di errori funzionali? Ma se fosse così come hanno fatto i loro portatori a sopravvivere? E se sopravvivono, come si fa a dire che sono errori? Sono persona curiosa, a volte anche persino infantile. Tutto il ragionamento non presuppone, di fatto, quell’evoluzionismo e i suoi meccanismi supposti che si vorrebbe invece rifiutare? Mi farebbe piacere capire meglio e lo dico senza malizia perché anche dal mio punto di vista religioso, il fatto che qualche scimmione possa essere il risultato di una involuzione dell’essere umano mi porrebbe meno problemi del contrario. 

Adamo ed Eva

Il professore Sermonti spiega la nascita di Eva dalla costola di Adamo come una sorta di “clonazione” attribuendo così anche a lei i caratteri di archetipo dell’uomo. E’ una visione che onora la donna sul piano morale e spirituale, e dovrebbe farlo anche sul piano sociale. L’intenzione non è lontana da quella che probabilmente ha il testo biblico. E tuttavia vi sono delle diversità che non si possono ignorare, soprattutto quando, come fa il prof. Sermonti, si pone il testo biblico in parallelo con la mitologia greca che fa nascere Afrodite Anadiomene, “la madre di tutti i viventi”, dai testicoli di Urano che il figlio Cronos taglia con un falcetto.  Il prof. Sermonti fa infine notare come Genesi 2 si chiude con l’affermazione sulla nudità senza vergogna dell’uomo e della donna, e commenta: “La nudità esprime non la indecenza della prima coppia, ma il loro essere inermi, privi di protezioni e di armi (e di nome), come invece tutte le bestie e i volatili. Via via che li acquistano, gli animali perdono la loro onnipotenzialità e si chiudono nella loro specializzazione.”  

Offro alcune alternative:

1.      La storia della donna tratta dalla costola di Adamo è probabilmente il frutto di un gioco di parole sulla parola ebraica sala’ che può significare sia costola, che fianco e da qui anche lato, aspetto. Quello che il testo vorrebbe dire è probabilmente che la donna rappresenta un aspetto complementare dell’essere umano insieme con il maschio. Non si tratta quindi di una vera clonazione (ma capisco che probabilmente anche il prof. Sermonti usa il termine in senso molto lato) portante a un essere identico ma ad un essere distinto all’interno di una unità di base che attribuisce ad entrambi la stessa dignità e valore. Il paragone con la nascita di Afrodite fa perdere questa peculiarità del testo biblico.

2.      Il testo biblico non attribuisce alla nudità originale alcuna connotazione morale negativa. In questo concordo con il prof. Sermonti. Il sottolineare che “non ne avevano vergogna” tende probabilmente a enfatizzare il fatto già sottolineato in Genesi 1 che tutto quello che Dio aveva creato era buono. Vuole forse anche dire che l’uomo e la donna, vivendo in armonia con Dio, pienamente inseriti nel suo progetto di vita, accoglievano se stessi con innocenza e candore. Sarà il peccato, a introdurre disarmonia, vergogna di sé e timore dell’altro e di fronte all’altro. Allora la nudità sarà vergogna, ma non alla creazione di Dio. Interpretare questa nudità come segno del loro essere indifesi, non armati come le altre creature, mi sembra obbligare il testo entro i limiti di una problematica che non è la sua. Altrimenti cosa vorrebbe dire il fatto che dopo il peccato l’uomo e la donna si fecero delle cinture di fico, che poi Dio sostituì con tuniche di pelle? Non dovrebbe questo portare alla conclusione che l’uomo non è più l’animale bambino che conserva tutte le potenzialità? Che ha  perso la sua natura biologica originaria diventando uno tra i tanti animali specializzati? Ma non sarebbe questo proprio il contrario di quello che si vorrebbe dimostrare?

3.      Il testo di Genesi 2 attribuisce in qualche modo dei nomi sia all’uomo che ad alla donna. Adamo è chiamato tale già fin dal v. 7. Certo, si potrebbe obiettare che qui Adam è usato come nome comune e che solo più tardi acquisterà il valore di nome personale, ma i nomi ebraici hanno valore diverso dai nostri, essi sono descrittivi di ciò che la persona è: ed Adamo è quello che Adam significa, “colui che viene dalla terra”. Lo stesso avviene per la prima donna di cui, subito dopo la sua apparizione, Adamo dice che sarebbe stata chiamata isha, femminile di ish, uomo, “perché è stata tratta dall’uomo”. Successivamente, in Genesi 3:20, Adamo chiama sua moglie Eva, perché, dice, “è stata la madre di tutti i viventi.” Adamo dà quindi nomi non solo agli animali ma anche alla moglie, prima e dopo del peccato, anche se probabilmente con un senso in parte diverso come la linea del racconto impone di pensare (riconoscimento della natura dell’altra ma non necessariamente dominio su di lei). Il fatto che gli animali ricevano un nome non dovrebbe quindi simboleggiare la loro perdita di potenzialità tranne che, non lo si voglia dire anche di Eva, cosa che  però il testo non mi sembra consentire. 

Evoluzione o eternità?

A conclusione del suo scritto, il prof. Sermonti ritorna sulla distinzione tra Genesi 1 e Genesi 2 facendo del primo il modello della competitività evoluzionistica, del secondo il modello della stabilità e dell’eterno. Confesso che mi viene difficile capire il perché. L’unica spiegazione cui mi sembra ci si riferisca esplicitamente è il riferimento al dominio dell’uomo sulla natura in Genesi 1. Alcuni critici della Bibbia hanno voluto vedere in questo dominio la causa dei mali derivanti dallo sfruttamento dell’uomo sulla natura, ma il testo non identifica tale dominio con lo sfruttamento. Esso viene inquadrato invece in un progetto di Dio in cui ogni cosa è in armonia con il resto della creazione, in cui non solo ogni cosa è buona in se stessa ma in cui l’insieme è “molto buono”. Il contesto biblico della creazione impone di vedere il dominio dell’uomo sulla natura come segno dello stesso atteggiamento che Dio ebbe verso di essa nel crearla. Non per niente l’uomo è creato “ad immagine di Dio”. Se si vuole cercare un modello di assenza di competitività è proprio in Genesi 1 che esso è più chiaramente presente: solo in esso si afferma il totale vegetarianesimo di tutti i viventi, segno di rispetto per tutti e di pace con tutti.  Mi viene da pensare che il prof. Sermonti sia stato influenzato, nella sua valutazione, da quanto aveva detto all’inizio del suo scritto, cioè che Genesi 1 è usato come modello ideologico ateo dagli evoluzionisti. Il professore mi perdonerà se azzardo un paragone con Cristo. Nel suo nome i crociati e tanti altri hanno ucciso milioni di persone, eppure Cristo ha soltanto dato se stesso per amore dei suoi nemici ed ha insegnato ai suoi discepoli a fare altrettanto. 

Sia Genesi 1 sia Genesi 2 descrivono un Creatore dinamico ed una vita dinamica,  ma non evolutiva né competitiva.  La creazione è già perfetta ed è quindi chiamata alla stabilità anche se non all’immobilismo. Essa viene posta dal Creatore all’inizio del cammino dell’eternità e solo la ribellione dell’uomo rende doloroso il cammino che alcuni addirittura smarriscono. Il Vangelo in cui confidiamo ci permette di riprenderlo con nuova sicurezza e slancio, perché ci chiama a camminare con Colui che conosce la strada smarrita perché lui stesso è “la via, la verità, e la vita”.       

Con affetto e riconoscenza,

Past. Giovanni Leonardi

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[1] Tengo a precisare che, a mio personale parere, la tesi sul primato della ragione non è da rifiutare. Bisogna solo esercitarla con umiltà, qualità che sembra spesso mancare a molti illuministi dei tempi passati e anche del nostro.

[2] Old Testament in Modern Research (1954), p. 11. Cit. in R. K. Harrison, Introduction to the Old Testament, Inter-Varsity Press, 1969, p. 21.

[3] Parlando di Genesi 1, Sermonti nota:E’ stato notato (Graves e Patai) che il Genesi 1 mantiene alcuni elementi della cosmogonia babilonese”. Nel suo contesto, tale frase sembra quasi essere prova del fatto che Genesi 1 abbia veramente la sua origine in epoca esilica. Tuttavia, anche se il parere di Graves e Patai risultasse vero, non significherebbe molto sul piano cronologico perché i miti babilonesi dovevano essere molto conosciuti anche altrove e anche prima dell’esilio. D’altra parte, se l’argomentazione fosse corretta, allora dovrebbe ben più a ragione essere applicata a Genesi 2 per i diretti riferimenti al mito di Ghilgamesh che stiamo riportando.

 

Sito a cura dell'A.I.S.O. Associazione Italiana Studi sulle Origini - aggiornato il 31/01/2014 

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