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L'origine della vita
di Andrea Bartelloni, da IL CORRIERE DEL SUD 30 dicembre 2005 - 31/01/2006
 

«La vita, ci dice la scienza ufficiale, è apparsa sulla terra per la combinazione casuale di elementi chimici in condizioni particolari di temperatura,  di pressione e di irradiazione. L’unicellulare nel corso dei millenni è divenuto un aggregato di cellule, di cui alcune, differenziandosi, hanno contribuito a formare gli organi specifici del primo animale, che viveva nel mare. Questa esistenza acquatica non era senza dubbio priva di disagi, poiché il primo animale veniva sempre più spesso a respirare alla superficie dell’acqua. Il movimento l’aveva trasformato in pesce, la respirazione aerea ne fece una sorta di batrace. Dimentico dell’oceano primordiale, che i biologi gli hanno assegnato come habitat, si diresse verso le vicine paludi. Diventato rospo o rana, si allontanò dagli stagni e vivendo, non si sa bene perché, sulle rocce, divenne rettile. La lucertola – poiché questo era il suo nuovo nome – ha esitato: certi individui della sua famiglia hanno scelto di correre nei campi, e ciò li ha trasformati in mammiferi; altri invece, facendo il trapezio sugli alberi, hanno finito per diventare uccelli lungo il corso dei millenni.

Tutto ciò, dicono i biologi, si è sviluppato a cespuglio: certe branche inutili si sono disseccate e sono morte, altre invece si sono sviluppate dando a loro volta altre ramificazioni di forme che sono giunte oppure no fino a noi a seconda del loro adattamento all’ambiente e delle loro facoltà di sopravvivenza. Certi mammiferi, che avevano l’abitudine di arrampicarsi sugli alberi, hanno visto le loro zampe trasformarsi in mani e, poiché erano costretti a tenere la testa alta, questa ginnastica ha considerevolmente aumentato la loro capacità cefalica: queste furono le prime scimmie… una delle quali in seguito riservò le sorprese che ben sappiamo. Era nata la saga dell’umanità così come l’uomo bianco ama ripeterla nelle scuole, nelle università e nei musei (…).»

Questo scriveva nelle prime pagine del suo L’uomo e l’invisibile (Borla, 1967), Jean Servier, etnologo francese, profondo conoscitore di culture e civiltà, attraverso lo studio delle quali dimostrò l’eguaglianza tra gli uomini in ogni epoca e regione cogliendo in tutti la stessa tensione verso l’invisibile.

E non faceva dell’umorismo, ma si atteneva alla vulgata di allora e anche attuale, che descrive così l’origine della vita sulla terra e, per quanto riguarda  l’ominazione, le cose non cambiano: « (…) scimmie (…) mettevano al mondo degli esseri dal pelo rado e la cui principale occupazione era di giocare con schegge di selce proferendo curiose onomatopee»; piccoli che venivano abbandonati nel cuore della foresta dove vedrà la luce la prima coppia di preumani. Avevano le arcate sopraccigliari prominenti, la fronte sfuggente, camminavano saltellando; correndo persero il prognatismo spiccato delle arcate mascellari, e così via fino all’homo sapiens sapiens che con la sua sapienza è arrivato a descrivere quanto sopra. Sembra una favola, ma i dati puri della ricerca scientifica, la genetica, la paleontologia, ecc., non spiegano come si sia passati da una specie all’altra. Rimane il mistero che viene riempito il più delle volte dal caso

Per sommi capi è così, il caso e la necessità necessitano di fantasiose invenzioni e guai a chi osi criticarle! Le polemiche degli ultimi mesi sull’ intelligent design dimostrano che la posta in gioco è molto alta e si cerca di ridicolizzare le critiche attaccando i creazionisti che leggono la genesi come un testo scientifico.

Ma il problema è un altro: le teorie evoluzioniste non reggono alla prova dei fatti, solamente la microevoluzione (per intenderci quella che, ad es. riguarda le mutazioni dei batteri che diventano resistenti agli antibiotici) ha dei fondamenti scientifici, ma nessuno è riuscito a dimostrare la macro evoluzione di qualsiasi specie vivente o estinta.  Rimane l’ipotesi.

Allora occorre prenderne atto e avere il coraggio di tenere ben distinti i campi dello studio delle origini della vita e degli esseri viventi e le conseguenze filosofiche che soggiacciono all’evoluzionismo, come bene ha sottolineato il ministro Buttiglione in un suo intervento a proposito dell’insegnamento dell’evoluzione nelle scuole: « E' particolarmente importante fare attenzione alle età degli allievi ai quali si impartisce l'insegnamento sull'evoluzionismo. Se esso viene insegnato in una età troppo precoce, in cui lo studente non è ancora capace di distinguere con chiarezza fra scienza e filosofia o religione, è inevitabile che esso venga inteso in un senso sbagliato, creando un danno grave sia alla formazione di una autentica mentalità scientifica che a quella di una autentica coscienza filosofica e religiosa.»

Distinzione di campi lasciando alla scienza quello che è della scienza e alla filosofia quello che è della filosofia.

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Sito a cura dell'A.I.S.O. Associazione Italiana Studi sulle Origini - aggiornato il 31/01/2014 

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