«La vita, ci dice la scienza
ufficiale, è apparsa sulla terra per la combinazione casuale di elementi
chimici in condizioni particolari di temperatura, di pressione e di
irradiazione. L’unicellulare nel corso dei millenni è divenuto un aggregato
di cellule, di cui alcune, differenziandosi, hanno contribuito a formare gli
organi specifici del primo animale, che viveva nel mare. Questa esistenza
acquatica non era senza dubbio priva di disagi, poiché il primo animale veniva
sempre più spesso a respirare alla superficie dell’acqua. Il movimento
l’aveva trasformato in pesce, la respirazione aerea ne fece una sorta di
batrace. Dimentico dell’oceano primordiale, che i biologi gli hanno assegnato
come habitat, si diresse verso le vicine paludi. Diventato rospo o rana, si
allontanò dagli stagni e vivendo, non si sa bene perché, sulle rocce, divenne
rettile. La lucertola – poiché questo era il suo nuovo nome – ha esitato:
certi individui della sua famiglia hanno scelto di correre nei campi, e ciò li
ha trasformati in mammiferi; altri invece, facendo il trapezio sugli alberi,
hanno finito per diventare uccelli lungo il corso dei millenni.
Tutto ciò, dicono i biologi, si
è sviluppato a cespuglio: certe branche inutili si sono disseccate e sono
morte, altre invece si sono sviluppate dando a loro volta altre ramificazioni di
forme che sono giunte oppure no fino a noi a seconda del loro adattamento
all’ambiente e delle loro facoltà di sopravvivenza. Certi mammiferi, che
avevano l’abitudine di arrampicarsi sugli alberi, hanno visto le loro zampe
trasformarsi in mani e, poiché erano costretti a tenere la testa alta, questa
ginnastica ha considerevolmente aumentato la loro capacità cefalica: queste
furono le prime scimmie… una delle quali in seguito riservò le sorprese che
ben sappiamo. Era nata la saga dell’umanità così come l’uomo bianco ama
ripeterla nelle scuole, nelle università e nei musei (…).»
Questo scriveva nelle prime pagine
del suo L’uomo e l’invisibile (Borla, 1967), Jean Servier, etnologo
francese, profondo conoscitore di culture e civiltà, attraverso lo studio delle
quali dimostrò l’eguaglianza tra gli uomini in ogni epoca e regione cogliendo
in tutti la stessa tensione verso l’invisibile.
E non faceva dell’umorismo, ma si
atteneva alla vulgata di allora e anche attuale, che descrive così l’origine
della vita sulla terra e, per quanto riguarda l’ominazione, le cose non
cambiano: « (…) scimmie (…) mettevano al mondo degli esseri dal pelo
rado e la cui principale occupazione era di giocare con schegge di selce
proferendo curiose onomatopee»; piccoli che venivano
abbandonati nel cuore della foresta dove vedrà la luce la prima coppia di
preumani. Avevano le arcate sopraccigliari prominenti, la fronte sfuggente,
camminavano saltellando; correndo persero il prognatismo spiccato delle arcate
mascellari, e così via fino all’homo sapiens sapiens che con la sua
sapienza è arrivato a descrivere quanto sopra. Sembra una favola, ma i dati
puri della ricerca scientifica, la genetica, la paleontologia, ecc., non
spiegano come si sia passati da una specie all’altra. Rimane il mistero che
viene riempito il più delle volte dal caso
Per sommi capi è così, il caso e la
necessità necessitano di fantasiose invenzioni e guai a chi osi criticarle! Le
polemiche degli ultimi mesi sull’ intelligent design dimostrano che la
posta in gioco è molto alta e si cerca di ridicolizzare le critiche attaccando
i creazionisti che leggono la genesi come un testo scientifico.
Ma il problema è un altro: le teorie
evoluzioniste non reggono alla prova dei fatti, solamente la microevoluzione
(per intenderci quella che, ad es. riguarda le mutazioni dei batteri che
diventano resistenti agli antibiotici) ha dei fondamenti scientifici, ma nessuno
è riuscito a dimostrare la macro evoluzione di qualsiasi specie vivente o
estinta. Rimane l’ipotesi.
Allora occorre prenderne atto e avere
il coraggio di tenere ben distinti i campi dello studio delle origini della vita
e degli esseri viventi e le conseguenze filosofiche che soggiacciono
all’evoluzionismo, come bene ha sottolineato il ministro Buttiglione in un suo
intervento a proposito dell’insegnamento dell’evoluzione nelle scuole: « E'
particolarmente importante fare attenzione alle età degli allievi ai quali si
impartisce l'insegnamento sull'evoluzionismo. Se esso viene insegnato in una età
troppo precoce, in cui lo studente non è ancora capace di distinguere con
chiarezza fra scienza e filosofia o religione, è inevitabile che esso venga
inteso in un senso sbagliato, creando un danno grave sia alla formazione di una
autentica mentalità scientifica che a quella di una autentica coscienza
filosofica e religiosa.»
Distinzione di campi lasciando alla
scienza quello che è della scienza e alla filosofia quello che è della
filosofia.
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