Questo interessante articolo è tratto dal sito Controcorrente,
all'interno del quale Fernando De Angelis tiene la rubrica Proiezioni
culturali, che vi invitiamo a visitare. Per gentile concessione
dell'autore, Fernando De Angelis, e di Nicola Martella,
responsabile del sito Controcorrente,
vi riportiamo di seguito il testo dell'articolo in questione, che riteniamo
essere di interesse, per la tematica trattata.
«Dio creò a sua immagine l’uomo […], polvere [presa] dalla terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale» (Gn 1,27; 2,7)
1. L’IMMAGINE ESCLUSIVA DELL’ONNIPOTENTE:
I primi due capitoli della Genesi, seppur con parole molto semplici, fanno un ritratto straordinario e complesso dell’uomo. Fuori del contesto biblico, nessuno lo pone così in alto da arrivare a definirlo immagine esclusiva dell’Onnipotente Creatore, del quale ha in sé il «soffio» (Gn 2,7).
Nella cultura greca c’è sì il concetto di somiglianza fra gli dèi e gli uomini, però non è una convergenza «verso l’alto», ma «verso il basso», cioè ottenuta concependo una divinità con una natura simile a quella dell’uomo corrotto. In altre culture si riconosce che nell’uomo c’è qualcosa di divino, ma questo elemento divino non gli è esclusivo, perché lo si vede in tutte le cose, fino al punto che certi animali, a volte, sono considerati più vicini alla Deità dell’uomo.
Tornando alla Bibbia, la possibile sintonia fra Dio e l’uomo non si vede solo in quello straordinario «stare insieme» nel giardino d’Eden (Gn 2,15-25) perché, con alcuni uomini, Dio continuerà ad avere un rapporto di condivisione anche dopo la corruzione descritta in Genesi 3. Abrahamo, infatti, viene definito da Dio come «l’amico mio» (Is 41,8; Gen 18,17-33) e, con Mosè, Dio parlava «come un uomo parla con il proprio amico» (Es 3,11).
2. L’INTIMA ASSOCIAZIONE FRA UOMO E DEITÀ:
Quanto detto fin qui, è però poca cosa, se si considera che Dio stesso arrivò poi, in Gesù, ad assumere una forma umana. E ciò non avvenne «travestendosi» momentaneamente da uomo, ma percorrendo il comune sentiero degli uomini: prima nelle viscere di una donna e poi sottomettendosi ai genitori nel crescere in sapienza, in statura e in grazia (Lc 1,31.42; 2,52), portando infine il suo corpo umano risorto con sé nel cielo, per sempre (At 1,9; Ap 4,6).
Ne deriva che l’umanità, presente in Gesù, è ora strettamente integrata nell’intera Deità. E ciò vale addirittura come anticipo che apre la porta a tutti i cristiani, come si può vedere dalle parole di Gesù: «Quelli che credono in me […] siano tutti uno. E come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi» (Gv 17,21). Queste sono parole che, se ci si riflette a fondo, danno un senso di vertigine.
3. LA CENTRALITÀ COME «PONTE»:
Abbiamo intitolato questo articolo «La centralità dell’uomo» non solo a motivo della sua elevatezza rispetto al creato, ma anche per la sua posizione di «ponte». Infatti, pur essendo così intimo con Dio a causa del particolare «soffio» ricevuto, il corpo dell’uomo è fatto di quella polvere nella quale convergono i costituenti tipici del mondo minerale (Gn 2,7; 3,19). Con i vegetali, l’uomo ha un intimo contatto perché se ne nutre (Gn 1,29), e oggigiorno sappiamo che la cellula umana ha significative parti in comune con quelle di tutti gli altri viventi. L’affinità con gli animali, infine, è tale che viene perfino presa in considerazione la possibilità che si trovasse fra gli animali un «aiuto adatto» ad Adamo, prima che Dio formasse Eva (Gn 2,18-20). Gli animali si chiamano così proprio perché si riconosce in loro un’anima, seppur diversa da quella umana, ma l’indubbia affinità esistente, non deve far passare in secondo piano il fatto che, secondo la Bibbia, resta un’enorme distanza fra loro e l’uomo. Infatti, per esempio, Dio ricavò dagli animali delle pelli per coprire la prima coppia, poi permise esplicitamente agli uomini di mangiarne e, in seguito, ne comandò l’utilizzo per i vari tipi di sacrifici (Gn 3,21; Lv 1; 11).
4. L’UMANESIMO SECOLARIZZATO È POSSIBILE?:
Questo senso dell’elevatezza e della centralità dell’uomo, è parte essenziale della cultura dell’Occidente ed è fatta propria, in qualche modo, anche da molti non credenti. Questo «umanesimo secolarizzato», chiediamoci, si fonda sulla sola ragione? A noi sembra che la ragione non porti a porre al centro l’uomo, perché l’indagine «scientifica» dell’essere umano ne evidenzia solo il fatto che è un particolare aggregato chimico, che appare fugacemente sulla scena e presto si dissolve. Con la sola ragione, insomma, si finisce prima o poi col convincersi dell’onnipotenza della morte (nichilismo). Il cosiddetto «umanesimo secolarizzato», perciò, a noi sembra un tentativo di conservare certi graditi frutti dell’insegnamento biblico, ma senza riconoscerne la sorgente, o addirittura negandola. Non stupisce, perciò, che l’umanesimo secolarizzato sia presente soprattutto fra chi ha un retaggio in qualche modo cristiano, il quale però, se non è alimentato a ogni generazione, svanisce presto. Come possiamo constatare in questo mondo «post-moderno», molte persone urbanizzate non hanno ormai più nemmeno quella conoscenza superficiale, e a volte superstiziosa, che avevano quelli del precedente mondo contadino; questi ultimi, pur tra tanti equivoci, conservavano in sé il senso di valori che li trascendevano.
5. RIASSUMENDO E CONCLUDENDO:
L’uomo non è una «via di mezzo» fra immagine di Dio, animali, piante ed elementi chimici: è tutte queste cose insieme. L’essere immagine di Dio, però, è ciò che lo distingue da tutto il resto del creato; è pure ciò che ha, di gran lunga, di più prezioso, pertanto è ciò che deve essere più salvaguardato.
Questa dignità l’uomo ce l’ha in quanto discendente di Adamo, dunque indipendentemente dal suo quoziente di intelligenza o dal suo stato di salute.
Si capisce che si potrebbe passare facilmente dall’enunciazione dei principi ai loro risvolti nel campo dell’etica (aborto, eutanasia, vegetarianesimo e altro), ma con questa rubrica vogliamo esplorare i fondamenti della realtà, senza addentrarci nella loro applicazione. Questo anche perché, nel mondo di oggi, certe scelte etiche sbagliate sono spesso frutto di presupposti sbagliati, chiarendo i quali i comportamenti corretti ne sono quasi un’inevitabile conseguenza.
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