Secondo la cultura laica, scientifica e
materialista oggi dominante in Occidente, si può credere nel racconto biblico
sulla creazione solo ignorando la conoscenza scientifica; sorprende che a
sostenere tale tesi sia anche il padre gesuita Giuseppe De Rosa con due articoli
apparsi su La Civiltà Cattolica,
autorevole rivista cattolica, solitamente in forte sintonia con la Santa Sede.
Gli articoli sono stati entrambi onorati con la posizione di apertura dei
quaderni n. 3715 del 2 aprile 2005 (pp. 3-14), e n. 3730 del 19 novembre 2005
(pp. 319-329).
La tesi è sostenuta con chiarezza: «Quando
un cristiano, divenuto adulto, ritorna con il pensiero a quanto gli è stato
insegnato nelle lezioni di catechismo […] si chiede – scettico e sconcertato
– se quello che gli è stato detto di Adamo, formato dal fango della terra
[…] di Eva […]dell’albero del bene e del male […] del serpente che
inganna Eva […] non siano che favole per bambini da non prendersi sul serio.
Se poi questo cristiano ha raggiunto un livello culturale abbastanza alto; in
particolare, se conosce, anche soltanto in maniera elementare, ciò che la
scienza oggi insegna sull’origine dell’uomo con la teoria dell’evoluzione,
rimarrà scandalizzato dall’atteggiamento della Chiesa che continua a
insegnare quella che può apparire una favola per bambini e si convincerà che
c’è opposizione tra quanto insegna la fede cristiana e quanto afferma la
scienza. Si pone così il problema: circa l’origine dell’uomo, davvero c’è
opposizione tra quanto afferma la teoria dell’evoluzione, che la maggior parte
degli scienziati ritiene fondata su prove sicure (anche se non mancano gli
scienziati seri che rifiutano tale teoria), e quanto viene affermato nella Sacra
Scrittura? La risposta è: no. E il motivo è che la Bibbia è un libro che vuol
dare non un insegnamento ‘scientifico’, ma un insegnamento ‘religioso’.
Non vuole, cioè, insegnare ‘come’ storicamente è apparso l’uomo, ma
‘chi’ è l’uomo nel suo rapporto con Dio.» (quaderno 3730, 19 novembre
2005, p. 319).
Ad aprire gli occhi di padre De Rosa, cioè
a fargli capire che il racconto biblico della creazione è una favola, non è
stata dunque una rivelazione divina, ma una teoria scientifica – la teoria
dell’evoluzione – nonostante il fatto che, come De Rosa stesso ammette, «non
mancano gli scienziati seri che rifiutano tale teoria».
Rimane un mistero perché padre De Rosa abbia scelto di seguire gli
scienziati che accettano l’evoluzione, anziché quelli che la rifiutano: forse
per amore della scienza? Non ci sarebbe nulla di strano, dato che i gesuiti
hanno sempre avuto un grande interesse per la scienza, anche se forse non è
stata la scienza il campo nel quale si sono maggiormente distinti durante la
loro lunga storia. Qui, ad esempio, l’autorevole scrittore accetta come
scienza niente meno che una teoria rifiutata da molti scienziati seri, i quali
la ritengono soltanto una rispettabile idea e fra i quali, a titolo di esempio,
possiamo citare gli italiani Antonino Zichichi, Giuseppe Sermonti, Roberto Fondi
e Giulio Dante Guerra; mentre fuori d’Italia troviamo fra gli altri Michael
Denton, William Dembski, Michael Behe, Lee Spetner, Werner Gitt, Dean Kenyon,
Walter Veith e molti altri. Per non parlare del libro di John Ashton, tradotto
anche in italiano (L’origine
dell’Universo, Milano, Armenia, 2003, per la recensione vedi http://www.creazionismo.org/articolo.asp?id=41),
nel quale 50 scienziati di tutto il mondo spiegano perché credono nel racconto
biblico della creazione, lo stesso racconto che per il padre gesuita è invece
una «favola per bambini, da non prendersi sul serio».
Prosegue De Rosa: «In realtà, è
fuorviante prendere alla lettera ciò che è detto circa la formazione
dell’uomo e della donna nel secondo capitolo della Genesi, dando della Bibbia
una lettura fondamentalista, come sta avvenendo attualmente in alcuni territori
degli Stati Uniti, con la conseguenza di opporre la Bibbia alla teoria
dell’evoluzione.» (quaderno 3730, 19 novembre 2005, p. 325) Si può
rispondere che non è vero che a considerare il racconto non metaforico siano
soltanto pochi fondamentalisti in alcuni
territori degli Stati Uniti, perché i primi undici capitoli della Genesi
sono ritenuti appartenenti al genere storiografico (o storico-letterario) da
molti teologi e praticamente dalla totalità degli studiosi dell’Antico
Testamento: sia di religione ebraica, come i rabbini Michel Yehuda Lefkovitz,
Nissim Karelitz e Chaim Kanyevsky, sia cristiani di vario tipo, come lo
ieromonaco Serafim Rouz e l’archimandrita Iannuarij Ivliev (russi ortodossi),
mentre in Occidente abbiamo Herman Bavinck, Julius Wellhausen, G. Ernest Wright,
James Barr, Gerhard von Rad (quest’ultimo citato dallo stesso De Rosa) e molti
altri.
Come si vede, in tutte le religioni basate
sulla Bibbia vi sono sia credenti “creazionisti” che credenti
“evoluzionisti”. Che sappia io, nessuna chiesa – tranne alcune sette
ebraiche ortodosse – obbliga i propri membri a fare una scelta netta tra
“evoluzionismo” e “creazionismo biblico”, ma lascia i membri liberi di
scegliere tra le diverse interpretazioni del racconto della creazione. Ed è per
questo che all’interno di tutte le chiese coesistono diverse interpretazioni
del testo della Genesi e questo vale anche per la Chiesa cattolica, nella quale
padre De Rosa è in buona compagnia, come si può vedere dai recenti interventi
“filoevoluzionisti” del cardinale Poupard e del gesuita e astronomo George
Coyne e in due monumentali opere teologiche (J. Feiner & L Fischer eds., Neues
Glaubensbuch. Degemeinsame christliche Glaube, Freiburg-Basel-Wien, 1973,
pp. 686 e B. Chenu & F. Coudreau eds., La
foi des catholiques. Catéchèse fondamentale, Paris, 1984, pp. 736), dove
in riferimento alla creazione si trovano frasi come « I concetti di
selezione e mutazione sono intellettualmente molto più onesti rispetto a quello
di creazione » ; «La creazione come un progetto cosmico è un idea
ormai sorpassata », «Il concetto di creazione è addirittura un concetto
irreale»; «La creazione significa una chiamata all’uomo. Qualsiasi altra
cosa venga detta di essa, persino nella Bibbia, non è il messaggio della
creazione stessa, ma piuttosto la sua formulazione in parte mitologica e in
parte apocalittica»; «Parlando di Dio come Creatore significa che il primo e
ultimo significato della vita si trova in Dio stesso, presente intimamente nel
nostro essere». Ho scelto queste precise citazioni perché sono state
commentate da un teologo cattolico particolare, l’allora cardinal Joseph
Ratzinger, poi divenuto papa Benedetto XVI, che ha scritto: «Tale riduzione
‘esistenzialista’ del tema della creazione determina, però, una enorme (se
non completa) perdita della realtà della fede, il cui Dio non ha più nulla a
che vedere con la materia.» (J. Ratzinger, In
the Beginning. A Catholic Understanding of the Story of Creation and the Fall,
Edinburgh, T&T Clark, 1995, p. XII). Più recentemente Joseph
Ratzinger, nella sua omelia durante la Messa “Pro eligendo Romano Pontifice”
del 18 aprile 2005, ha stigmatizzato la «moderna opinione» (che è anche
l’opinione di molti moderni teologi), secondo la quale «avere una fede
chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come
fondamentalismo» (http://www.zenit.org/italian,
archivio, 18 aprile 2005, codice ZI05041816).
È evidente, dunque, come l’argomento abbia delle implicazioni sulla
fede e io, data la mia incompetenza, mi sono limitato a fornire solo alcune
citazioni. Torniamo però agli aspetti scientifici a me più congeniali.
Dal punto di vista della metodologia della scienza non è difficile
capire il motivo del paradosso che vede, da una parte scienziati che credono
nella creazione biblica, dall’altra teologi che credono nell’evoluzione.
Nelle scienze naturali - fisica, chimica, biologia – abbiamo due diversi
“tipi” di scienza. Una, chiamata anche scienza sperimentale o operativa,
studia i fenomeni osservabili, misurabili, sperimentabili e riproducibili;
l’altra, chiamata storica, studia invece eventi e fenomeni verificatisi in
passato, perciò non direttamente osservabili e non riproducibili. Le teorie
delle scienze operative possono essere sottoposte a verifica e quindi
convalidate o smentite (falsificate); mentre le teorie delle scienze
storiche non possono esserlo, e di conseguenza non possono essere né
convalidate né falsificate, quantomeno non nel modo che è invece possibile
nelle scienze operative. L’evoluzione è una scienza storica, per la quale non
valgono le severe regole e il rigore scientifico applicati nella scienza
sperimentale e operativa, ciò rende la teoria dell’evoluzione un’idea o
concezione più filosofica e ideologica che scientifica: per questo molti
scienziati non si sentono obbligati a crederla. In compenso, però, la credono
molti teologi.
Quanto a me,
tra scienziati creazionisti e teologi evoluzionisti scelgo i primi. È una
scelta intellettualmente più appagante, anche se una mia anziana zia mi ha
avvertito che riuscire a smentire Darwin non avvicina necessariamente a Dio.
D’altronde è l’unica scelta che posso fare, dato che la mia preparazione è
più scientifica che teologica. Quanto
a padre De Rosa ed ai moderni teologi che la pensano come lui, il loro sforzo di
armonizzare le Sacre Scritture con le acquisizioni scientifiche non solo è
apprezzabile e lodevole, ma è addirittura indispensabile se si vuole avere una
fede accettabile anche per la ragione. Per farlo occorre però conoscere bene la
scienza e la natura del metodo scientifico, altrimenti si finisce per confondere
le acquisizioni della scienza sperimentale con le elaborazioni mentali, le idee,
i concetti, i paradigmi, le visioni del mondo e le cornici interpretative basati
sui preconcetti del naturalismo (materialismo filosofico): è solo per
armonizzarlo con questi preconcetti che è necessario declassare il racconto
biblico a mito o favola. La vera scienza è infatti più compatibile con il
racconto biblico che con le teorie evoluzioniste; lo credeva già san Tommaso
d’Aquino, che considerava la ragione e la fede come provenienti entrambe da
Dio, perciò che non possono contraddirsi. Dato il livello delle conoscenze
dell’epoca, per san Tommaso questa era semplicemente una dichiarazione di
fede, ma dopo settecentocinquanta anni e alla luce dell’attuale livello delle
conoscenze scientifiche, oggi più che fede è una constatazione. Ciò è stato
percepito anche dall’allora cardinal Ratzinger che ha scritto: «Passiamo
direttamente alla questione dell’evoluzione e dei suoi meccanismi. La
microbiologia e la biochimica hanno portato a conoscenze rivoluzionarie in
questo campo. […] Dobbiamo avere il coraggio di dire che i grandi progetti del
creato vivente non sono i prodotti del caso e dell’errore. […] I grandi
progetti del creato vivente indicano una Ragione creatrice ed una Intelligenza
creatrice, e lo fanno oggi in modo più evidente e più chiaro che mai.»
(Joseph Ratzinger, op. cit., pp. 54-56).
Sono ormai 150 anni che gli scienziati di fede
materialista cercano di inficiare il racconto della Genesi. Nonostante il grande
impegno e l’importante aiuto fornito loro da molti teologi moderni, fino ad
oggi tutti i tentativi in tal senso sono falliti. Con l’aumento delle
conoscenze scientifiche e contrariamente alle attese, le teorie materialiste
delle origini sono diventate sempre più speculative, sempre più in contrasto
con i dati delle osservazioni e con le leggi naturali. Perciò coloro che hanno
scelto di credere alle Sacre Scritture ebraico-cristiane hanno davvero di che
essere contenti: il loro Sacro e Antico Libro non contiene solo regole morali e
promesse di salvezza, ma consente loro anche di interpretare la storia del mondo
meglio di tanti uomini con più alta istruzione, che però hanno scelto la
cornice interpretativa della filosofia materialista e i concetti da essa
derivati.
Per
approfondire questo tema, si veda il seguente articolo di Fernando De Angelis:
Antievoluzionismo cattolico in crescita.
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