Tutto è cominciato quando la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato il decreto del governo sui nuovi piani di studio delle scuole medie: è quello il momento in cui qualcuno ha cominciato a far girare l'idea che l'insegnamento della teoria evoluzionista fosse stata eliminata dai programmi della scuola dell'obbligo. Ne sono seguiti appelli e proteste che hanno visto impegnata la parte della comunità scientifica italiana obbediente al dogma dell'evoluzionismo. Il punto però è che nessuno ha eliminato dai programmi scolastici lo studio della teoria evoluzionista; come infatti ha spiegato Giuseppe Bertagna, docente di scienze dell'informazione all'Università di Bergamo e coordinatore del gruppo di lavoro per la riforma dell'insegnamento del ministro Moratti, "accanto alla conoscenza della teoria dell'evoluzione vi sarà posto per la critica della sua degradazione, l'evoluzionismo. Si tratta di andare oltre certi schemini che i libri hanno spacciato come verità acquisita per decenni, quelli per capirci con la scimmia che si trasforma in essere umano". Insomma ai ragazzi non si offre più una sola teoria, ma diverse. Non si vede davvero dove sia il motivo di tanto contendere, a meno che non si pretenda di far passare il darwinismo come una verità rivelata.
Se per alcuni la specie umana discenda dalle scimmie, non è così per molti altri: tanto che la teoria oggi più accreditata in ambito scientifico internazionale, non è la discendenza diretta dell'uomo dalla scimmia, ma la derivazione di uomo e scimmia da un ceppo comune, da cui poi sono scaturite le due specie: l'uomo e la scimmia. Il fatto è che i difensori a spada tratta del darwinismo non vogliono sentire ragioni, perché la loro adesione all'evoluzionismo è di natura ideologica. Un'ideologia su cui vale la pena anche indagare, per vederne i presupposti e le fragili basi.
L'evoluzionismo è una convinzione secondo cui all'inizio esisteva l'amorfo e l'approssimato e solo in un secondo momento sarebbe arrivata l'opera raffinata. Si pensa, cioè, che l'uomo sia nato dalla scimmia, un pò per volta, per graduali adattamenti. Il fatto è che di questa ipotesi o certezza, non esiste né l'ombra né lo straccio di prova documentata. Infatti, quello dell'uomo scimmia, è solo un mito fiorito nella seconda metà dell'800, dopo la pubblicazione dell'Origine delle Specie (1859) di Darwin. In questo testo, però, si parla pochissimo dell'uomo e quando nel 1871 Sir Charles pubblicò L'origine dell'uomo, egli si pronunciò sulle ascendenze e le affinità della nostra specie con pochissima convinzione, "tanto da sembrare", come ha ricordato il genetista Giuseppe Sermonti, "tra tutti i darwinisti il meno deciso al riguardo: egli non riusciva d'attribuire alla selezione naturale la sua idea". Solo alla fine del sesto capitolo Darwin afferma: "I simiadi si sono allora divisi in due grandi rami, le scimmie del nuovo e quelle dell'antico continente, e da queste ultime, in un antichissimo periodo è derivato l'uomo, meraviglia e gloria dell'universo. Così abbiamo dato all'uomo una genealogia di prodigiosa lunghezza, ma non si può dire di grande nobiltà". Ora che teoria scientifica sia questa è lecito quantomento domandarselo.
Si tratta, quindi, solamente di un mito che, nel clima di tardo positivismo che ammorba la cultura italiana, è ancora duro a morire. Mentre attendono ancora d'essere seriamente studiati e divulgati a dovere gli studi di un luminare italiano che questo Paese non ha mai valorizzato abbastanza: quel Sermonti che da decenni, porta avanti l'idea, con scienza e coscienza, che noi, noi uomini, non veniamo dalla scimmia. Ma molto più probabilmente da una semenza più alta e più nobile.
tratto da IL TEMPO (ROMA), mercoledì 19/05/2004, pag.2
|