Un sorprendente recupero dopo una catastrofe ci fa comprendere come la Terra si possa essere ripresa
in seguito al diluvio universale.
Con l’eruzione di Mount S. Helens, il 18 maggio, 1980, la devastazione risultante dell’area intorno al vulcano lasciò in molti sbalorditi per la sua vastità (più di 500 km quadrati). Quella che era stata un’enorme distesa verde di foresta immacolata, limpidi corsi d’acqua di montagna e laghi tranquilli era ora una terra desolata coperta di monotona cenere grigia, legname caduto, distese di vapore di pomice, aride colate di fango e detriti di valanghe. Poco dopo l’eruzione, l’allora presidente degli USA Jimmy Carter paragonò questo paesaggio ad un panorama lunare. Gli scienziati che studiavano l’area colpita si riferivano ad un
«panorama apparentemente sterile»1,
lamentando che «non tornerà mai più come prima, almeno nella nostra vita»2 e ipotizzando che sarebbe stato
«impossibile il recupero perfino per gli insetti»3.
Le pessimistiche predizioni erano errate
Gli scienziati che si affollavano a studiare l’area devastata scoprirono ben presto che le iniziali, pessimistiche previsioni di sterilità a lungo termine erano largamente
infondate4. Per esempio fu scoperto, che entro soli tre anni, il 90% delle specie vegetali originali tornarono a crescere all’interno della zona
dell’esplosione5. Risultò evidente che l’innata capacità di ripresa della creazione era stata sottostimata.
Ritorno della vita - i dettagli
Tuttavia, molte specie furono completamente eliminate dalla zona colpita dalla colata di lava di Mount S. Helens. Mentre la maggior parte delle eruzioni dei vulcani si sviluppano verso l’alto, Mount S. Helens esplose inizialmente in modo laterale, lanciando il suo getto bollente sulla foresta, in direzione nord. Soprannominato ‘vento di pietra’, il carico di roccia, il getto di vapore che ‘abbracciava’ il terreno, avanzò rapidamente verso l’esterno dal vulcano, in un arco di 180°, spianando più di 200 miglia quadrate (500 km quadrati) di foresta in meno di dieci minuti. L’estensione della distruzione biologica fu sbalorditiva. Il legname caduto nell’eruzione sarebbe stato sufficiente a costruire quasi 500.000 case da tre camere da letto. Virtualmente tutto il muschio, la felce, i cespugli e il sottobosco visibile svanirono. Non solo tutti gli organismi viventi nella parte superiore del North Fork Toutle River morirono, ma 15 miglia (24 km) del fiume stesso non esistevano più!6 Le stime delle morti di animali da parte del Washington State Department of Game includevano 11 milioni di pesci, 1 milione di uccelli (tra cui 27.000 galli cedroni); 11.000 lepri; 5.000 cervi; 1.500 alci; 1.400 coyote; 300 linci; 200 orsi bruni; 15 capre di
montagna;7 e 15
coguari8. Inoltre, 57 persone furono contate come morte o disperse.
Pressoché tutte le specie di mammiferi di media-grande dimensione nell’area
colpita,9 e presumibilmente tutte le specie di
uccelli,10 furono sterminate. Ma molte sono tornate, immigrando dall’esterno. Varie specie di uccelli furono avvistate nell’area subito dopo l’eruzione, probabilmente nutrendosi di insetti (gli equipaggi dei primi elicotteri che atterrarono nell’area devastata raccontano che le mosche e molti altri insetti li avevano
preceduti)11,12. Sebbene non tutti questi insetti migratori sopravvissero (gli insetti erbivori non potevano vivere finché le piante non ricrescevano), molte specie sopravvissero - spesso consumando i loro compagni di ‘volo’, vivi e morti. Tra gli arrivi aerei ci furono milioni di ragni portati dal
vento,13 semi di piante e spore di funghi.
Una volta che la vegetazione ebbe iniziato a ricrescere, i grandi mammiferi erbivori come l’alce e il cervo rientrarono nella zona dell’esplosione. Gli alci, animali ditati di grande mobilità, erano in grado di entrare e uscire liberamente da tale zona, e questo accelerava ulteriormente il recupero delle piante, in quanto il loro sterco conteneva semi e sostanze nutritive trasportate dall’esterno dell’area devastata. I castori delle foreste adiacenti seguivano i corsi d’acqua controcorrente verso i laghi della zona del getto. Sorprendentemente, i salmoni e le trote che maturano nell’Oceano Pacifico, al tempo dell’eruzione (e che si pensava fossero intolleranti a qualsiasi cosa che non fossero corsi d’acqua freddi, limpidi e ben ossigenati), risalirono con successo i torrenti intasati di fango e cenere, nel loro stimolo istintivo a deporre le
uova.14
Sebbene milioni di organismi viventi sulla terra furono eliminati, molte forme di vita all’interno dell’area devastata sopravvissero alla furia
dell’esplosione.15 Come? Le formiche sopravvissero in colonie
sotterranee16, le salamandre nel morbido legno di tronchi in decomposizione, i pesci nei laghi coperti di ghiaccio, e le radici delle piante furono protette dall’inferno dell’esplosione grazie al terreno e alla neve. Sebbene un gran numero di queste dovettero soccombere al terribile ambiente del dopo eruzione, alcune hanno continuato a vivere e a riprodursi. Infatti, gli ecologisti riconoscono che la presenza di tali ‘inattesi sopravvissuti’ accelerò di molto il recupero. Le aree acquatiche e quelle nei pressi dei corsi d’acqua mostrarono il recupero più rapido. Almeno 10 delle 16 specie originali di anfibi (rane, rospi e salamandre) sopravvissero all’eruzione.17 I sopravvissuti tra le rane e i rospi esplosero nel paesaggio in recupero, stabilendo rapidamente grandi popolazioni in riproduzione entro la metà degli anni 80.
Oggi, la diversità delle specie (per esempio gli uccelli18) che vivono nell’area devastata dall’eruzione del Mount S. Helens del maggio 1980 sta raggiungendo i suoi livelli di prima dell’eruzione. I tipi di uccelli e di animali che non sono ancora tornati sono soprattutto specie che preferiscono l’habitat della vecchia foresta. Mentre ci vorranno almeno 200 anni prima che la vecchia foresta torni ad occupare la zona colpita (purché non intervengano altri disturbi), il Mount S. Helens ha forzato gli ecologisti a rivedere le loro teorie sulla ‘successione’ ecologica. Questo è avvenuto perché hanno scoperto specie sia ‘pioniere’ sia ‘proprie del clima’ crescere di fianco le une vicino alle altre!
Mount S. Helens e il diluvio universale
L’osservazione del ritorno della vita a Mount S. Helens può fornire indicazioni sul ritorno della vita nel mondo dopo il Diluvio di Noè. Sia il Mount S. Helens che il Diluvio universale furono cataclismi geologici coinvolgenti vulcanismo (Genesi 7:11) estremo, alluvioni, e la distruzione della vita - una su scala locale, l’altra su scala globale. In entrambi i casi, gli organismi sopravvissero e ripopolarono il paesaggio dopo l’evento di disordine. Consideriamo:
1. Molte specie furono completamente eliminate dalla zona dell’esplosione, particolarmente gli uccelli e i grandi mammiferi della terraferma (per esempio, i cervi e gli alci).
Nel Diluvio, morì qualunque cosa avesse alito di vita nelle narici sulla terra asciutta; gli unici a sopravvivere furono quelli con Noè nell’Arca (Genesi 7:21-23). Al Mount S. Helens , queste specie ritornarono al paesaggio devastato attraverso la migrazione dall’esterno della zona di distruzione. Dopo il Diluvio universale, gli animali migrarono dal luogo in cui si fermò l’Arca, moltiplicando e ripopolando la terra.
Interessante il fatto che i tassi di riproduzione degli alci (grandi erbivori) all’inizio del periodo di recupero a Mount S. Helens furono tra i più alti mai visti, probabilmente a causa della disponibilità di foraggio di alta qualità presente nella vegetazione in ripresa. Aumentò anche la sopravvivenza dei discendenti, probabilmente un riflesso del basso numero di predatori, che arrivarono e si moltiplicarono solo più tardi una volta che il numero delle mandrie di animali erbivori era aumentato.
Proprio come la pressione della caccia guidò gli alci nella zona colpita a Mount S. Helens (le autorità locali avevano messo delle restrizioni sulla caccia nell’area devastata), così la popolazione umana post-Diluvio, che si difuse su tutta la terra dopo la dispersione di Babele, deve avere indotto le creature selvatiche a spostarsi in regioni più distanti. Con i loro tassi di riproduzione molto più alti, gli erbivori occuparono probabilmente le zone più remote della terra, in anticipo rispetto ai predatori e all’uomo. Gli uccelli, con la loro capacità di volare, probabilmente sono stati all’avanguardia nella dispersione nel paesaggio devastato dopo il Diluvio, come a Mount S. Helens. Questo potrebbe spiegare perché gli uccelli come il Moa della Nuova Zelanda che potrebbero aver perso l’abilità del volo attraverso una mutazione (perdita di informazioni genetiche), riuscirono a sopravvivere in numero apparentemente grande - finché i cacciatori non finirono per migrare nell’area.
È interessante che, gli animali e gli uccelli che furono i primi a colonizzare il paesaggio devastato a Mount S. Helens sono noti agli ecologisti come ‘generalisti’, cioè in grado di tollerare un ampio insieme di condizioni ambientali e di nutrirsi di una varietà di cibi. Tra i più cospicui dei primi colonizzatori a Mount S. Helens ci fu il corvo comune, che è noto si nutre quasi di tutto, incluse le carogne. Anche ai tempi di Noè, fu il corvo il primo a lasciare l’Arca (Genesi 8:7), settimane prima che la colomba riuscì a sopravvivere nel mondo devastato in seguito al Diluvio (Genesi 8:8-12).
2. Molte specie - piante, microbi, insetti, anfibi e creature acquatiche - sopravvissero nella zona dell’esplosione, se non in forma adulta, quindi come semi, spore, uova e/o larve.
Vale la pena notare che Dio portò nell’Arca solo gli uccelli e gli animali di terra che respirano aria. Mount S. Helens ci mostra che le specie non prese a bordo dell’Arca possono di fatto sopravvivere ai cataclismi geologici.
Sebbene molte piante, anfibi e pesci morirono nell’eruzione (come avvenne senza dubbio nel Diluvio, vedi l’evidenza fossile), molti sopravvissero e si riprodussero. Per quanto riguarda gli insetti, è noto che ci sono miliardi di insetti nell’aria, anche fino ad altitudini di 4500 m (15.000
piedi).19 , 20 Sebbene la maggior parte se non tutti non sarebbero rimasti in alto durante i 40 giorni di pioggia, molti insetti sarebbero sopravvissuti al Diluvio in tronchi o altri detriti galleggianti.
Perfino gli insetti morti, attraverso le loro carcasse, sarebbero state un’importante sorgente di cibo per i sopravvissuti e nutrimento per la vegetazione germogliante mentre le acque del Diluvio recedevano. E come a Spirit Lake, legioni di microbi probabilmente aiutarono a recuperare i laghi e i mari vulcanicamente degradati del dopo Diluvio. Gli animali sull’Arca avrebbero potuto da allora in poi migrare gradualmente dalla regione del Monte Ararat in un paesaggio preparato, già popolato da abbondante vita microbica, vegetale, acquatica e da insetti.
La capacità di recupero della creazione
La conclusione principale da trarre da Mount S. Helens è l’estrema capacità di recupero della creazione. Gli scettici spesso obiettano che il recupero da una catastrofe globale come il Diluvio sarebbe impossibile entro un tempo biblico breve. Mount S. Helens, tuttavia, dimostra con quale rapidità il recupero possa avvenire nel mondo naturale, e in modo completo. Così, seguendo il Diluvio dei giorni di Noè, il rinverdimento e la ripopolazione della terra avrebbero anche potuto avvenire entro un lasso di tempo molto breve. Proprio come la Bibbia afferma.
Morte e rinascita dello Spirit Lake
La mattina del 18 Maggio, 1980, Spirit Lake, un esempio di tranquillità e bellezza, fu quasi interamente cancellato. Circa un terzo della valanga di detriti si affossò direttamente in questo gioiello azzurro, facendo sobbalzare le sue acque per più di 240 metri (800 piedi) sulle pendici nord della montagna, dove trovò il suolo e la vegetazione di un’antica grande foresta, contenente un milione di tronchi. Quando questa zuppa organica tornò giù, fu in un nuovo bacino del lago, elevatosi più di 60 metri (più di 200 piedi) al di sopra del suo livello pre-eruzione. I flussi caldissimi di detriti vulcanici bollirono nella sponda sud del lago, e le rocce e le ceneri vulcaniche piovvero dal cielo. I primi equipaggi degli elicotteri giunti sulla zona della colata raccontano di non essere riusciti a trovare Spirit Lake. Non lo riconobbero con la sua superficie oscurata da un manto di tronchi e pomice fluttuanti.
Quando gli scienziati tornarono a Spirit Lake nel Giugno del 1980, lo trovarono ‘trasformato in un corpo fumante e melmoso di acqua degradata soffocato da fango e tronchi d’albero.’ Essi predissero che ci sarebbero voluti 10-20 anni per tornare alle sue ‘condizioni chimiche e biologiche pre-eruzione.’ In realtà, ne bastarono circa cinque! Come è potuto accadere così rapidamente? Dopo l’eruzione, Spirit Lake divenne un ‘paradiso’ per i microbi. Le sue acque, una volta fredde (10 °C) e limpide, divennero calde (più di 32 °C) e fangose, cariche di detriti organici, nutrienti minerali e altre sostanze chimiche. I batteri proliferarono ad un tasso impressionante in questo brodo, arrivando ad un picco di mezzo miliardo di cellule batteriche per millilitro - una ‘concentrazione probabilmente senza precedenti negli annali della microbiologia ambientale.’ Per un certo tempo, i livelli di ossigeno sono stati così abbassati dall’attività di decomposizione che il lago potè sopportare solo microbi anaerobici (cioè in grado di vivere senza ossigeno). Spirit Lake ribollì quindi come un calderone dal biossido di carbonio fuoruscito, dal metano e dal solfuro di idrogeno generati da questi batteri in entrambi i sedimenti. Per gli scienziati in visita nell’area, l’odore era insopportabile! Tuttavia, i batteri ‘senza ossigeno’ furono cruciali nella decomposizione di grandi quantità di detriti organici sedimentatisi sul fondo del lago durante questa fase del processo di recupero.
Il recupero fu molto accelerato dall’arrivo delle piogge invernali. Questo influsso stagionale di acqua fresca diluì la concentrazione di sostanze chimiche tossiche e innalzò i livelli di ossigeno. Il vento, le onde e il ricambio stagionale del lago favorirono la presenza di ancora più ossigeno, abilitando il ritorno dei microbi dipendenti da questo elemento, i quali assorbirono i nutrienti minerali dall’acqua, aiutando quindi a purificare il lago da queste e altre sostanze chimiche. La limpidezza dell’acqua migliorò, e con una aumentata penetrazione della luce riapparve il fitoplancton. Questo produce cibo tramite la fotosintesi e il rilascio di ossigeno come effetto collaterale. Entro soli cinque anni, la qualità dell’acqua era tornata quasi al suo stato immacolato pre-eruzione - una trasformazione rimarchevole.
Il presente articolo è stato ripreso dalla rivista Creation di
Answers In Genesis, numero 22(2) marzo-maggio 2000. La traduzione è di
Fabio Lugaresi. Gli autori: Keith Swenson è un medico di Portland,
Oregon. Presta servizio in qualità di presidente dell'associazione Design
Science Association, un'organizzazione creazionista fondata a Portland, per
la quale egli conduce viaggi di studio a Mount St Helens. David
Catchpoole, dottore in scienze agrarie, ha lavorato come fisiologo della
flora e come insegnante di scienze, specializzandosi in agricoltura e
orticoltura tropicali. Oggi lavora a pieno tempo per Answers In Genesis a
Brisbane, Australia.
Riferimenti e note
1. Franklin, J.F., MacMahon, J.A., Swanson, F.J., Sedell, J.R., Ecosystem responses to the eruption of Mount St. Helens, National Geographic Research 1(2):198, 1985.
2. Lumsden, R., 1997 Mount St Helens Field Study Tour, Institute for Creation Research, CA, USA, p.30, 1997.
3. Adams, A.B., Leffler, S., Insect recolonization of the northwest sector of the Mount St. Helens blast zone, in Keller, Ref. 4.
4. Keller, S.A.C. (ed.), Mount St. Helens - five years later, Cheney, WA: Eastern Washington University Press, USA, p. 307, 1986.
5. Vedi riferimento n.1, p.198.
6. 6. Un residente lungo il Toutle River descrisse un torrente di fango passante presso la sua casa il pomeriggio del 18 Maggio, 1980, come avente la consistenza di cemento bagnato e simile a ‘una spiaggia sabbiosa in movimento’ con ‘pesci che cadono in cima’. Altri osservatori notarono salmoni e trote saltare fuori dal Toutle; l’acqua era stata improvvisamente riscaldata dai normali 7.2 °C a più di 32.2 °C.
7. Le capre di montagna dalle Olympic Mountains (Washington) furono rilocate nell’area del Mount S. Helens nel 1972 dallo State of Washington Game Department, e furono viste dagli escursionisti occasionali. Tutte e 15 le capre morirono nell’eruzione.
8. Carson, R., Mount St. Helens: The Eruption and Recovery of a Volcano, Sasquatch Books, Seattle, USA, p.83, 1990.
9. Andersen, D.C., MacMahon, J.A., The effects of catastrophic ecosystem disturbance: the redisual mammals at Mount St. Helens, Journal of Mammology 66(3):587, 1985.
10. Si stima che approssimativamente 80 specie di uccelli sarebbero state presenti nella zona dell’esplosione durante Maggio (residenti permanenti, residenti invernali e alcuni migratori).
11. Frenzen, P. and Crisafulli, C., Biological Responses to the 1980 eruptions of Mount St Helens, (information sheet provided by the Mount St Helens National Volcanic Monument), p. 4, 1990.
12. Edwards, J.S., Crawford, R.L., Sugg, P.M., Peterson, M.A., Arthropod recolonization in the blast zone of Mount St Helens, in: Keller, Ref. 4.
13. Molte specie di ragni sfruttarono il vento in un processo noto come ‘ballooning’. Una lunga tela viene rilasciata nell’aria e agisce come un aquilone o un pallone che trasporta il ragno anche per centinaia di miglia. Gli entomologi identificarono più di 75 specie di ragni planare a ‘ballooning’ nella pianura di pomice a Mount S. Helens, e stimarono che due milioni di specie caddero per miglio quadrato ogni giorno da Giugno a Ottobre 1983.
14. Lucas, R.E., Recovery of game fish populations impacted by the May 18, 1980 eruption of Mount St Helens: winter-run steelhead in the Toutle River watershed, in: Keller, Ref. 4.
15. 15. Vedi rif. n.8, p.88.
16. Sugg, P.M., Arthropod populations at Mount St Helens: survival and revival, in: rif. n.4.
17. Cifre basate su dati provenienti da Karlstrom, E.L., Amphibian recovery in the North Fork Toutle River debris avalanche area of Mount St Helens, in: Keller, rif. n.4 (modifiche sulla base di aggiornamenti successivi).
18. I confronti ‘prima e dopo’ dei numeri di specie di uccelli a Mount S. Helens devono tener conto della variazione stagionale. Si è stimato che 80 specie di uccelli erano presenti al momento dell’eruzione. Asikainen, M., Gli uccelli del Mount S. Helens (lista di controllo), Mount S. Helens National Volcanic Monument, 1996, riporta che entro il 1996, 118 specie di uccelli, 80 delle quali erano specie che nidificano, furono regolarmente osservate nella zona colpita!
19. Coad, B.R., Insects captured by airplane are found at surprising heights, Yearbook of Agriculture, U.S. Dept. Agr., pp.320-323, 1931.
20. Hardy, A.C., Milne, P.S., Studies in the distribution of insects by aerial currents, Experiments in aerial tow-netting from kites, Journal of Animal Ecology 7:199-229, 1938.
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