L'INTERPRETAZIONE LETTERARIA

DEI PRIMI CAPITOLI DELLA GENESI:

GRAVI PROBLEMI DI METODO E DI MERITO

Adattamento di una lettera inviata all'Alleanza Evangelica Italiana, sul cui giornale "Idea" Blocher aveva in precedenza difeso la sua interpretazione "letteraria" della Genesi.

  di Fernando De Angelis, tratto dalla rivista " Proiezioni ", n. 1, dicembre 1988, pp. 19-22.

   
1.
 LO SFONDAMENTO DEL CONCORDISMO

  L'interpretazione concordista di Genesi cap. 1-9 consiste nel cercare di far andare d'accordo, cioè concordare, il racconto biblico con le conclusioni della scienza.

Che questo tipo di interpretazione fosse diffusa nel Cattolicesimo e nel Protestantesimo liberale era cosa ben nota. Meno conosciuto era il fatto che essa stesse facendo breccia anche fra gli evangelici non appartenenti alla Federazione.

Nel 1984 fu pubblicato (a cura di Pietro Bolognesi) il libro di Henri Blocher intitolato      «La creazione, l'inizio della Genesi» (edizioni GBU, distribuzione Claudiana). Un libro, come si sa, di fondamentale impostazione concordista. Blocher rifiuterà questa etichetta, ma è proprio da una posizione concordista che egli è partito (intervista ad «Idea», n. 4/1985) e la sua interpretazione letteraria non ne è che una variante moderata.

 
2.  DIFFICOLTÀ DI UNA RISPOSTA ADEGUATA

  Sono stato esortato ad esporre per scritto il mio dissenso a quanto espresso da Blocher su "Idea", ma non ho accettato precedentemente l'invito perché, ad un attacco penetrato così in profondità, bisognava rispondere con mezzi adeguati, cioè più che con una semplice lettera. I mezzi che ritengo adeguati sono: 1) la stesura di un testo creazionista anti-evoluzionista che affronti globalmente i vari problemi legati all'argomento (ne ho compilato una prima parte, in corso di pubblicazione a puntate su "Il Cristiano"; 2) la costituzione di un'Associazione Culturale Evangelica e di una rivista che contrastassero la cultura di questo mondo (e quindi anche l'evoluzionismo) in modo approfondito ed utilizzando la notevole mole di lavoro fatto all'estero.

L'attivazione di queste linee di difesa e contrattacco, esterne ad "Idea", mi hanno fatto sentire il dovere di prendere parte dall'interno al dibattito sulle tesi di Blocher, che "Idea" stessa ha calorosamente sollecitato (e di ciò le va dato il merito), ma che nessun italiano ha finora accolto (ed anche questo è un segno molto preoccupante).

Blocher fa parte di comitati internazionali che difendono l'autorità della Scrittura e nel 1979, nella quinta Assemblea dell'AEI, presentò uno studio (apprezzato anche dal sottoscritto) dal titolo «Caratteri distintivi degli evangelici alla fine del XX secolo» ("Idea", n. 3/1979). Ed è proprio questo il dramma delle presenti riflessioni: dover contrastare con persone che percepisco come fratelli in Cristo e che hanno ricevuto doni preziosi. Ma le deviazioni sono tanto più pericolose quanto più vengono da uomini stimati, perciò non ci si può fare scrupoli nel difendere questioni che si ritengono (insieme a tanti altri credenti) fondamentali. Spero solo che la forza del contrasto non interrompa né il dialogo, né l'amicizia.

 

3.  IL METODO DI BLOCHER ED I FONDAMENTI DELLA RIFORMA

  La Riforma Protestante viene generalmente sintetizzata con i motti di "sola fede", "sola grazia", "sola Scrittura", "tutti sacerdoti". Anche gli evangelici che non si ritengono protestanti, per disaccordo con Lutero e Calvino su altre questioni, si identificano senza riserve con queste sintetiche affermazioni.

Nel suo libro Blocher dice che «I diversi modi in cui avviene l'ispirazione, i quali comprendono la ripresa e il rimaneggiamento di antiche tradizioni e la riflessione sapienzale, sono tutti adattamenti misericordiosi del Signore a situazioni umane e richiedono quindi anche uno studio filologico della Scrittura, Per meglio cogliere il messaggio e l'insegnamento dei testi non è certo superfluo l'aiuto dei lessicografi, dei grammatici, dei semasiologi, degli specialisti di stilistica, come pure degli studiosi di storia e dell'ambiente storico specifico. Sono cioè determinanti i contributi delle "scienze umane", nella misura in cui esse sono scienze» (p. 15). Se un credente, per capire rettamente ed a fondo la Scrittura, ha bisogno di tutta questa cultura, dove vanno a finire i quattro motti di cui sopra? E se i teologi giustificano le loro diverse e contrapposte interpretazioni sulla base di disquisizioni di raffinata istruzione, sulla base di cosa il semplice credente valuterà i diversi teologi?

Cristo e gli apostoli sono vissuti più di mille anni dopo Mosè ed in un contesto politico, culturale e religioso molto diverso. Gli scribi ed i dottori della legge avevano elaborato sottili interpretazioni, ed adattamenti al loro tempo, della Parola di Dio; ma Dio non si compiacque di loro e rinnovò la teologia ed il mondo per mezzo di Gesù, che non aveva fatto studi     (Giov. 7:15) e per mezzo di Pietro e Giovanni che erano «popolani, senza istruzione» (Atti 4:13).

È vero che l'apostolo Paolo era colto, ma usò la cultura per testimoniare con semplicità, e semplice fu anche coi filosofi dell'Aeropàgo (Atti 17:22 seg.). Le difficoltà a comprendere gli scritti di Paolo (2Pietro 3:16) erano di natura morale o di ignoranza della Scrittura, non propriamente culturali. Tutta la Scrittura è stata sempre rivolta al popolo comune, e la predicazione del Vangelo non a caso fu iniziata nel «natio linguaggio » (Atti 2: 8), cioè nei diversi dialetti della moltitudine che ascoltava. Quando i teologi, invece, cercano di servire i credenti nel modo che Blocher ha fatto, cioè con una complessa cultura, si pongono di fatto, anche se non ne hanno l'intenzione, come mediatori fra la Rivelazione di Dio e l'uomo. Di questo Blocher sembra rendersi conto, quando fa appello ad una lettura più profonda (secondo lui) di quella comune. Per accedere a questa comprensione ritenuta superiore, è necessaria l'arte del teologo, ma non un teologo qualsiasi, perché sono molto diversi l'uno dall'altro, bensì di un sano e buon teologo, nel quale poter porre tranquillamente fiducia. No, grazie, preferisco prendere con semplicità la Parola di Dio ed affidarmi ad essa, piuttosto che porre fiducia negli uomini. Voglio essere un cristiano, non un agostiniano o un blocheriano, o qualcos'altro.

Per Blocher prendere la Bibbia nella sua semplicità può essere «andare nel mondo delle leggende e delle fiabe popolari» (p. 194, 9° rigo), «ingenuità» (p. 235, 3° capov.),                   «infantilismo» (p. 250, 10° rigo), «non rendersi conto della situazione» (p. 187, 2° capov.). È bene non lasciarsi intimorire da queste valutazioni ed afferrare saldamente quelle parole di Gesù che dicono: «Io ti rendo lode, o Padre, Signor del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose ai savi e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli fanciulli» (Matt. 11:25).

Certo una funzione la cultura ce la può avere (e come potrebbe credere diversamente il presidente di una Associazione Culturale Evangelica?), come hanno dimostrato Mosé e Daniele, ma non è minimamente quella di gettar luce sulla Bibbia. L'apostolo Paolo per il quale la sapienza di questo mondo era «pazzia presso Dio» (1Cor. 3:19), non cercò di armonizzare l'Antico Testamento con la Scienza di Aristotele!

«Chi ha orecchi da udire oda» (Matteo 13:9), di più non ci dilunghiamo.

Si potrebbe dire: «il teologo svolge un servizio, non vuol essere mediatore», ma il servizio è tale e non è mediazione, se il teologo interpreta la Scrittura con la Scrittura e non fa appello ad autorità esterne ad essa. Il servizio teologico dell'apostolo Paolo, per esempio, era controllabile da tutti, come i ben noti bereani dimostrarono (Atti 17:11). Il metodo usato da Blocher, invece, per come usa la cultura, risulta di fatto un attacco ai pilastri intangibili di      "sola Scrittura" e "tutti sacerdoti". E quando si toccano questi due pilastri, anche gli altri due già visti vengono messi in pericolo.

 

4.  CREAZIONE ALLA LUCE DELL'EVOLUZIONE?

  Blocher ribadisce più volte la sua indipendenza dalla scienza (p. 20, 4° capov.; 27, 2° capov.; 43, ultimi 4 righi; 55, primi tre righi del 3° capov.), ma di fatto poi, si lascia condizionare da essa (p. 22, 42, 54, 287, tutte al 2° capov.) fino a considerare accettabile:      1) che la creazione si inserisca nell'evoluzione come una «meravigliosa parentesi» (p. 206); 2) che Dio abbia formato Adamo dal corpo di un "ominide" (da p. 312, 2° capov., a p. 313, 1° capov.) e che Adamo, anziché essere il primo uomo, potrebbe essere il capo della prima umanità (p. 210, 2° capov., vedi anche p. 318-20).

Blocher riconosce che l'evoluzione è «soltanto un'ipotesi» (p. 308). Come insegnante di Scienze naturali e credente in Cristo dico che, se si tolgono ad essa i puntelli filosofici ed ideologici, essa è, per molti suoi aspetti, scientificamente assurda. Allora perché Blocher si lascia condizionare da essa? Perché la considera «molto affascinante» (p. 308)? Il timore è che sia proprio la filosofia che c'è dietro ad attrarlo, come dimostra l'antipatia per i creazionisti scientifici (chiamati «antiscientisti»), che va oltre il disaccordo su particolari valutazioni. Li raffigura come «patetici kamikaze in lotta contro il mondo accademico» (p. 22), li associa ai Farisei (p, 202) e li considera «fuorviati da un'esegesi indebitamente letterale di Genesi 1» (p. 294). Si possono anche non condividere (in tutto o in parte) le loro proposte, ma chi ha lottato in prima fila, e spesso con riconosciuta efficacia, per difendere la letteralità della Parola di Dio, dovrebbe andare almeno la nostra simpatia. Altrimenti, quando si dice che in certi passi non si può prendere la Bibbia alla lettera, si lascia pensare che si è ben contenti di ciò. E che, indipendentemente dal poterlo fare, non si vuole, o non si vorrebbe, dare alla Scrittura il suo significato più immediato, preferendo speculare sui retroscena e sui significati sottintesi, anche dove la Parola di Dio non ci guida chiaramente in quest'arte che è maestra da sempre nel far approdare nelle nebbie dell'incertezza.

Blocher, nel cui libro non mancano belle pagine ed acute riflessioni, stranamente non si avvede del contrasto fra Jahvè ed un Dio il quale attenda evoluzionisticamente che gli scimmioni si scannino a vicenda affinché, per selezione naturale, emerga l'ominide degno di essere trasformato in uomo. No, quest'ultimo non è il Dio della Bibbia. Assomiglia piuttosto agli imperatori romani, i quali premiavano i gladiatori che erano riusciti ad uccidere tutti gli altri concorrenti. Un Dio così assomiglia a Giove, non al Padre del Signor Gesù Cristo!

 

5.  DOTTRINA E STORIE BIBLICHE: UNO STRETTO LEGAME

  Blocher sa che «la dottrina biblica è in primo luogo storia» (p. 23) e che i primi capitoli della Genesi formano un tutt'uno con la restante parte della medesima (p. 260, 1° capov.) e quindi con tutta la scrittura. Egli critica Ricoer, perché questo teologo «ritiene di poter fare "come se": di poter conservare il significato che lo soddisfa… senza l'inizio storico… Voler preservare le implicazioni della storicità del peccato», prosegue sempre Blocher, «proprio mentre la si nega, è come pretendere di mantenersi a galla in una piscina senza acqua» (p. 219). Gli rivolge poi un «monito solenne: non si può restare nell'ambito della comprensione che la Bibbia fa propria, se non postulando la storicità del racconto di Genesi 3» (p. 221).

Certo Blocher ha cercato di salvare le dottrine più importanti, ma quando si intacca, come abbiamo visto, la formazione di Adamo e si dichiara che sono simboli, o possono esserlo: i sette giorni (p. 57, 2° capov.), la derivazione di Eva dalla costola di Adamo (p. 122-3), i quattro fiumi (p. 142-152), l'albero della vita e quello del bene e del male (p. 160), il serpente (p. 197, primi due righi) ed i cherubini (p. 248-9), si è avvallato un metodo (proprio quello di Ricoer!) e si è iniziata una demolizione che portano naturalmente al disfacimento totale del racconto biblico!

E dire che Blocher stesso afferma che «la Genesi intende offrire la vera ricostruzione, guidata e garantita dall'ispirazione divina, tale da opporsi alle ricostruzioni fantastiche e false: in ciò non vi è nulla che permetta di dare al contenuto del racconto valore simbolico» (p. 207).

 

6.  SINCRETISMO ED AMBIGUITÀ: UN BINOMIO INSCINDIBILE

  Come spiegare queste affermazioni contrapposte? Si annuncia il principio dell'indipendenza dalla scienza, ma poi si è molto condizionati da essa. Si dice che non si possono affermare i significati biblici senza affermare i fatti biblici, ma poi si fa spesso il contrario. Si dice che il racconto non è simbolico, ma poi si vedono simboli dappertutto!

Perché questa ambiguità? Credo che derivi da un atteggiamento sincretista, cioè dal voler metter insieme ciò che è contrapposto (creazionismo biblico ed evoluzionismo). Quando si hanno davanti a sé due traguardi lontani fra loro, il cammino necessariamente non può essere retto, ma guardando ora qua ed ora là, si dovrà procedere necessariamente a zig-zag. Ecco perché il libro di Blocher assomiglia ad un minestrone, con ottimi fagioli, ma anche con amaro e velenoso assenzio. E su quest'ultimo, purtroppo, che ci siamo dovuti concentrare, per metterne in guardia i consumatori. Peccato, viene da dire, poteva essere un buon pasto!

   

7.  SULLA VIA DEL CATTOLICESIMO

  Non è un caso che, sulla via del sincretismo, Blocher incontri chi, da più di mille anni, è maestro di quell'arte, cioè il Cattolicesimo, nella cui dottrina è contenuto in qualche modo tutto il Vangelo, ma anche tutto il suo contrario: e noi sappiamo che non è più Vangelo.

La similitudine fra la posizione di Blocher e quella del Cattolicesimo (p. 299, ultimi tre righi, e 312, all'inizio del 2° capov.) sul fondamento di tutta la storia e la dottrina biblica, dovrebbe far seriamente riflettere. E sarebbe veramente tragico se l'Alleanza Evangelica Italiana, che ha contribuito in modo coraggioso e determinante a contrastare, a livello internazionale, il connubio Cattolicesimo–evangelici, si facesse inavveduto strumento per far penetrare in Italia, sotto mentite spoglie, le basi stesse dell'edificio romano.

Dio ci liberi!

          Capezzine (Arezzo), lì 2/9/88